Navi e aerei da guerra cinesi oltre la linea mediana mentre Pechino sospende la cooperazione con gli Usa su sicurezza e cambiamento climatico
Secondo giorno di esercitazioni militari cinesi, secondo giorno di “new normal” per i taiwanesi. Anche se Nancy Pelosi dal Giappone, ultima tappa del suo tour in Asia, dichiara che «cambiare lo status quo di Taiwan» non era il suo obiettivo, la sensazione è che le regole del gioco sullo Stretto siano cambiate. Nella giornata di ieri 68 aerei e 13 navi da guerra cinesi hanno oltrepassato la “linea mediana”. Il ministero della Difesa taiwanese ha dichiarato che «difenderà la sicurezza nazionale» in modo deciso e ha accusato la Repubblica Popolare Cinese di aver danneggiato lo status quo. Pochi però i dettagli diffusi verso l’audience interna a proposito del sorvolo dei missili balistici del giorno precedente. Il governo taiwanese ha spiegato che la decisione di non far scattare l’allarme aereo è motivata dal fatto che il percorso dei missili non presentava pericoli e che si è voluta proteggere le capacità di intelligence e sorveglianza dell’esercito. Nei prossimi due giorni si ritiene che si intensificherà il blocco navale.
ANCORA IERI il traffico aereo ha subito grossi contraccolpi. Solo 150 voli sono transitati nella Flight Information Region di Taipei, la metà della normale media giornaliera. Tsai Ing-wen ha detto che l’esercito taiwanese è pronto a rispondere «se necessario» ma la sensazione è che si farà di tutto per evitare l’incidente. Il rischio si alzerà se davvero i mezzi militari cinesi dovessero entrare nelle acque territoriali interne di Taiwan, vale a dire a meno di 12 miglia nautiche dalle sue coste. I media cinesi hanno invece sottolineato la «prima volta» dei missili balistici sopra Taiwan. Un modo anche per rimarcare l’effettiva forza della reazione del governo in attesa del tradizionale ritiro di Beidaihe e verso il XX Congresso del Partito comunista dei prossimi mesi. E la sensazione è che le esercitazioni si svolgeranno a intermittenza per un periodo più o meno lungo.
LA CRISI sta intanto avendo già dei chiari riflessi regionali e globali, a partire dalla rottura del dialogo tra Washington e Pechino che sembrava poter essere promettente negli scorsi due mesi. Non solo Pechino ha annunciato sanzioni contro Pelosi per la visita a Taiwan ma, soprattutto, ha sospeso la cooperazione con gli Stati uniti su otto dossier, tre dei quali relativi ai rapporti con gli Stati uniti nella Difesa. Gli altri cinque settori della cooperazione colpiti dalla sospensione sono quelli del rimpatrio degli immigrati «illegali», dell’assistenza giudiziaria, della lotta ai crimini transnazionali, alla droga, e, soprattutto, dei colloqui sul contrasto al cambiamento climatico. In un commento sul Washington Post, l’ambasciatore cinese Qin Gang ha spiegato la prospettiva di Pechino: «La questione di Taiwan riguarda la sovranità e l’unità della Cina, non la democrazia» ed è «uno dei pochissimi problemi che potrebbero portare Cina e Usa a entrare in conflitto». Per poi lasciare intendere che il vigore della risposta al viaggio di Pelosi sia dipeso anche dalla sua agenda: «Viaggiando su un aereo militare ha effettuato una visita ufficiali di alto profilo ed è stato trattato a pieno titolo dalle autorità del Partito Democratico Progressista di Taiwan».
ATTORNO A USA E CINA, si muovono gli altri attori regionali. Se in Corea del Sud il presidente Yoon Suk-yeol ha marcato visita mostrando la posizione ancora sfumata di Seul, in Giappone Fumio Kishida ha non solo ospitato Pelosi ma anche condannato i test cinesi, definendoli «un grave problema per la sicurezza del Giappone». Il ministro della Difesa Nobuo Kishi ha accusato Pechino di aver deliberatamente preso di mira la zona economica speciale nipponica, dove sono caduti 4 missili. Un segnale che per Tokyo sarebbe molto difficile restare fuori da un conflitto su Taiwan e che se possibile allinea ancora di più il paese agli Usa.
C’È CHI RITIENE che lo stesso possa succedere con l’India, i cui media stanno dedicando una grandissima attenzione alla questione taiwanese. Ma secondo Pechino, che continua a incassare il sostegno della Russia, la vicenda può dimostrare ai paesi di Asia e Pacifico che è Washington a minare la sicurezza con le sue «provocazioni». La stessa tesi di Mosca sull’Ucraina.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su Il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.