Lezioni ucraine e l’incontro Xi-Putin. Manovre militari, visite e diplomazia. Le elezioni a Okinawa e il ruolo del Giappone. La prontezza a combattere dei taiwanesi e tanto altro. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
Trascorso un anno dalla prima puntata di Taiwan Files, trascorsa poco più di una settimana dalla puntata precedente in cui si parlava di navi e droni, trascorso un giorno dall’uscita del nuovo e-book di China Files interamente dedicato a Taiwan con 60 pagine di approfondimenti. L’indice che ho curato è diviso in due parti: la prima dedicata ad analizzare le tensioni sullo Stretto e il nuovo status quo (qui il mega recap) dopo la visita di Nancy Pelosi e le esercitazioni militari di Pechino, la seconda per raccontare che cos’è Taiwan e qual è la sua importanza al di là della contesa Usa (qui per sapere come ricevere l’ebook).
Lezioni ucraine e l’incontro Xi-Putin
I parallelismi un po’ sbrigativi si stanno ribaltando: dall’invasione certa dopo quella russa all’invasione cancellata perché il vento sembra ora tirare verso l’Ucraina. Su Taiwan Files lo si scriveva subito dopo l’invasione dell’Ucraina, quando sembrava che Mosca potesse prendere Kiev in pochi giorni. Lo si ribadisce ora che l’esercito russo sembra parzialmente in ritirata sul fianco est dell’Ucraina, o forse in semplice riposizionamento: Taiwan e l’Ucraina sono due storie diverse e non collegate tra loro. Certo che Pechino osserva quanto accade su quel fronte e ne trae dei potenziali insegnamenti, come scritto lo scorso aprile in una puntata dedicata alle “lezioni ucraine”, analizzate nel dettaglio da questo report di Joel Wuthnow, ma appare azzardato pensare che Xi Jinping decida di invadere o meno Taiwan a seconda di come vada a finire in Ucraina.
D’accordo Lev Nachman, che scrive su Twitter: “La sconfitta in corso della Russia probabilmente farà riconsiderare a Xi la sua logica sull’invasione di Taiwan, ma questo non deve essere confuso con il fatto che Xi escluda la guerra in futuro o che abbandoni in qualche modo la rivendicazione della Repubblica Popolare Cinese su Taiwan”.
In queste ultime settimane, come anticipato qui, Pechino sembra aver abbassato il livello delle tensioni. Certo, le manovre militari sullo Stretto proseguono su base quotidiana nel “new normal” che prevede la regolarizzazione delle azioni oltre la “linea mediana”, ma è da sottolineare anche quanto NON è stato fatto o ripetuto. Alle risposte progressivamente meno dirompenti alle delegazioni statunitensi (che hanno certo aumentato il ritmo ma che erano d’altronde sempre avvenute anche prima di Nancy Pelosi) è seguito anche un messaggio chiaro agli ultranazionalisti: state calmi. Per esempio con il congelamento di alcuni account (ne avevo scritto qui) o con l’apparente implicita presa di distanza da Hu Xijin, l’ex direttore del Global Times che aveva paventato persino l’abbattimento del volo della speaker della Camera Usa. Hu Xijin è passato dall’essere descritto “Global Times Special Commentator” a “Senior Media Person”.
Xi è infatti concentrato sul XX Congresso, anche se proprio in questi giorni effettua il suo primo viaggio all’estero dall’inizio della pandemia. Andrà in Kazakistan e in Uzbekistan, dove dovrebbe incontrare Putin a margine del summit SCO (Shanghai Cooperation Organization). Un viaggio che manda diversi messaggi sul fronte interno ed esterno. Fronte interno: segnale di grande fiducia sul XX Congresso, durante il quale Pechino ha annunciato che verrà emendata la Costituzione del Partito comunista: prevedibile venga cementato ulteriormente il suo pensiero mentre Bill Bishop ipotizza anche che gli possa essere conferito il titolo di “leader del popolo”. Fronte esterno: proprio dal Kazakistan, nel 2013, lanciò la Belt and Road (Via della Seta), e qui sta continuando a lanciare nuovi progetti infrastrutturali (per esempio due nuove linee ferroviarie) che paradossalmente erodono l’influenza russa. Ci dovrebbe essere anche un incontro Xi-Modi: segnali interessanti dal confine conteso con de-escalation a due anni e oltre dai violenti scontri militari.
In tutto ciò, movimenti in direzione di Taipei sul fronte ucraino. Oleksandr Merezhko, capo della Commissione per la politica estera e la cooperazione interparlamentare del Parlamento ucraino, ha dichiarato che la Cina sta esercitando pressioni sui legislatori di Kiev per ostacolare le attività del gruppo pro-Taiwan nato su sua iniziativa all’inizio di agosto e che a oggi raccoglie 15 deputati, di cui 10 membri del partito di governo e cinque membri dei partiti di opposizione.
Manovre militari
Continuano nel frattempo le manovre dell’Esercito popolare di liberazione oltre la “linea mediana”. Come ampiamente previsto nelle puntate precedenti di Taiwan Files, si tratta di azioni che Pechino vuole regolarizzare. Ma resta molto spazio per fare di più. Si è qui infatti sottolineato nelle scorse settimane anche quanto non è successo nello scorso mese. Le incursioni oltre la “linea mediana” (non riconosciuta ma ampiamente rispettata da Pechino fino al mese scorso) durano per ora solo pochi secondi, mentre per esempio i passaggi nelle acque contese delle Senkaku/Diaoyu durano molto più tempo. Nei giorni scorsi, per esempio, il Giappone ha segnalato passaggi durati circa un’ora e mezza.
Nei gruppi di mezzi navali e aerei dell’esercito di Pechino appaiono sempre più spesso anche dei droni. In questo caso militari, mentre quelli che nelle scorse settimane si sono presentati regolarmente sopra Kinmen (con uno abbattuto) erano civili. Un abitante di Xiamen, con lo pseudonimo di Quanzhou Captain, la scorsa settimana ha pubblicato sui social media un video che mostra un drone civile che vola dalla metropoli del Fujian alla piccola isola di Lieyu, a circa 5 chilometri di distanza. Il drone ha anche lasciato cadere un messaggio indirizzato alle truppe di stanza in loco e un pacchetto di snack. Quanzhou Captain, che ha rifiutato di rivelare il suo nome o il suo lavoro a causa della delicatezza dell’argomento, ha dichiarato al South China Morning Post di aver agito “per curiosità” nei confronti dell’avamposto taiwanese, con l’intenzione anche di mostrare il suo supporto alla “riunificazione”.
Il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, ha dichiarato che un’invasione di Taiwan rimane una “minaccia distinta”, insistendo sul fatto che l’amministrazione Biden non ha cambiato la sua posizione sullo status quo di Taipei, nonostante Pechino sia convinta del contrario.
Le capacità di combattimento dell’esercito taiwanese sono ora “più mature” ed è in grado di combattere meglio dopo le recenti esercitazioni militari delle forze armate di Pechino, ha dichiarato Tsai Ing-wen durante un’ispezione a una base area nei pressi di Hualien, sulla costa orientale dell’isola principale di Taiwan. “Oltre alle frequenti intrusioni da parte di aerei e navi cinesi, la Cina conduce anche una guerra cognitiva, oltre all’uso di droni”, ha detto ancora Tsai. La scorsa settimana l’esercito taiwanese ha svolto delle esercitazioni nel sud dell’isola principale.
La realtà è però che l’esercito taiwanese sembra fare fatica ad adattarsi alle accresciute capacità offensive dell’Esercito popolare di liberazione. Ne parla il Financial Times. “Taiwan dispone di missili da crociera di produzione nazionale e di diverse centinaia di missili Harpoon nel suo inventario, ma sotto l’assalto concentrato della più grande marina militare del mondo, questi missili sarebbero rapidamente esauriti. La produzione nazionale, che normalmente crea circa 250 missili all’anno, rallenterebbe o cesserebbe del tutto sotto il blocco cinese, e le forniture di equipaggiamento straniero sarebbero fuori questione” scrive invece Foreign Policy. Si può recuperare anche questa intervista che ho fatto all’analista Chieh Chung per quanto riguarda gli scenari militari.
Tsai Ing-wen ha espresso le proprie condoglianze a Pechino per il terremoto nella provincia del Sichuan, in un segnale di dialogo nei confronti di Pechino nonostante settimane di tensioni militari. Anche Pechino aveva espresso le sue condoglianze per un grave incidente ferroviario avvenuto qualche mese fa a Taiwan.
L’ambasciatore cinese in Australia ha avvertito che i taiwanesi che sostengono l’indipendenza formale saranno “puniti” secondo la legge cinese, parlando in un’intervista al programma 7.30 della ABC. All’ambasciatore Xiao Qian è stato chiesto se i taiwanesi saranno “rieducati” in caso di riunificazione con la Repubblica Popolare, come suggerito pubblicamente dall’ambasciatore cinese a Parigi. Xiao ha detto che sarebbero obbligati a conoscere la Cina, ma ha respinto l’idea che l’educazione sarebbe “forzata”. “È una questione di obbligo… non di forza”, ha aggiunto.
Il ruolo del Giappone e le elezioni a Okinawa
Domenica 11 settembre si è votato a Okinawa, la prefettura giapponese più vicina a Taiwan. Il governatore Denny Tamaki ha ottenuto un secondo mandato di quattro anni. Tamaki, appoggiato dall’opposizione, ha sconfitto l’ex sindaco di Ginowan Atsushi Sakima, sostenuto dalla coalizione di governo composta dal Partito Liberale Democratico e da Komeito. Tamaki si oppone al piano di trasferimento della base aerea di Futenma del Corpo dei Marines degli Stati Uniti dalla città densamente popolata di Ginowan alla zona costiera di Henoko, a Nago.
Il segretario di Gabinetto Hirokazu Matsuno ha dichiarato però che il governo continuerà a lavorare per trasferire la base all’interno della Prefettura di Okinawa nonostante il risultato elettorale. Okinawa ospita ancora la maggior parte delle basi statunitensi in Giappone, oltre 50 anni dopo che le isole sono state restituite a Tokyo nel 1972 dall’amministrazione statunitense. Il governo giapponese attribuisce a Okinawa un’importanza strategica per la sua vicinanza a Taiwan, ancora di più dopo le recenti tensioni. Come già scritto, Tokyo starebbe valutando la possibilità di schierare missili a lungo raggio e ha avviato discussioni sui piani di evacuazione dei giapponesi da Taiwan in caso di conflitto. Mosca e Pechino fanno sapere inoltre di vedere potenziale di cooperazione sulle isole contese Curili.
Tra l’altro il ministro della Difesa giapponese, Yasukazu Hamada, ha fatto sapere in un’intervista a Nikkei che il Giappone stoccherà carburante e munizioni presso le isole Nansei, un atollo del Mar Cinese Orientale poco distante da Taiwan. Ad oggi le forze armate giapponesi immagazzinano circa il 70 per cento delle loro munizioni nell’Hokkaido, l’isola più a nord del paese, che dista oltre duemila chilometri da Taiwan. Tale accumulazione di risorse, erede delle dinamiche della Guerra fredda, non si adatta alla situazione di crisi affrontata dal Giappone a breve distanza dai suoi confini meridionali.
La portavoce del ministero degli Esteri di Taipei, Joanne Ou, ha annunciato l’invio di una delegazione ai funerali di stato per Abe Shinzo, in programma il 27 settembre prossimo, aggiungendo che sono in corso discussioni sui componenti la delegazione. Ai funerali privati dell’ex primo ministro giapponese, assassinato l’8 luglio scorso, Taiwan aveva inviato il vice presidente William Lai, fortemente sgradito a Pechino per le sue posizioni pro-indipendenza e probabilissimo candidato presidente alle elezioni del 2024. Qui la puntata di Taiwan Files dedicata all’omicidio di Abe visto da Taiwan.
Visite e diplomazia
Altra settimana diplomaticamente affollata a Taipei. Prima è arrivata l’ennesima delegazione americana a Taiwan, stavolta bipartisan dopo il viaggio solitario della repubblicana Marsha Blackburn, e guidata dalla democratica Stephanie Murphy. La delegazione ha incontrato Tsai Ing-wen, la quale ricevendo Murphy ha detto che Taiwan è fiduciosa di poter firmare un accordo commerciale “di alto livello” con gli Stati Uniti nell’ambito di un nuovo quadro normativo. Per ora gli affari li ha fatti sicuramente la Boeing, come già detto settimana scorsa, mentre Washington e i vari governatori (in primis quello dell’Arizona Doug Doucey) provano ad approfondire la cooperazione nel campo dei semiconduttori.
In visita a Taipei anche una delegazione francese, il viaggio più rilevante da parte di un gruppo di politici di un paese europeo nel post Pelosi. “Taiwan rappresenta un partner per la stabilità nella regione indo-pacifica” ha detto il senatore Cyril Pellevat, sottolineando che la Francia ha “interessi in questo territorio e considera Taiwan un partner per la stabilità della regione”.
Sembra intanto avvicinarsi l’apertura di un ufficio di rappresentanza della Lituania a Taipei. Dei rapporti tra il paese baltico e Taiwan si parla da tempo.
Ma i taiwanesi sono pronti a combattere?
La scorsa settimana si era parlato della vendita del pacchetto di armi da 1,1 miliardi di dollari approvato da Washington per Taiwan. Al di là delle armi, serve però anche qualcuno che le voglia poi usare in caso di conflitto. E che i taiwanesi siano pronti e disposti a farlo è tutto da verificare. Secondo un sondaggio pubblicato dal media taiwanese Global Views Monthly, meno del 45% degli intervistati ritiene che possa esserci una guerra entro i prossimi 5 anni. Ma, anche in caso di invasione, il 65,2% degli intervistati non vorrebbe andare sul campo di battaglia né vederci andare uno dei propri familiari. Si dice pronto a combattere invece il 25,8%. Ne ho scritto qui.
C’è chi organizza gruppi di sopravvivenza civile come la Ong Forward Alliance. Ne scrive William Yang per Deutsche Welle. Intanto Robert Tsao, patron della UMC, colosso dei semiconduttori taiwanese secondo solo alla TSMC, ha messo sul piatto 3 miliardi di dollari taiwanesi di aiuti a governo ed esercito. E ora lancia un programma per formare una “milizia civile”. Una storia e un personaggio interessantissimi sui quali tornerò nel dettaglio nei prossimi giorni. Di questo, oltre che delle recenti visite a Taipei, ho parlato la scorsa settimana a Radio3 Mondo (si ascolta qui).
L’appello di Taipei alle Nazioni Unite
Come ogni anno, il governo taiwanese ha richiesto di poter prendere parte e collaborare con la comunità internazionale in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dalla quale da anni resta fuori in ottemperanza alla “One China Policy”. Il ministro degli Esteri Joseph Wu ha lanciato un appello, riportato per intero da Formiche. Qui un estratto:
“Il tema della 77a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, “Un momento spartiacque: soluzioni trasformative per sfide interconnesse”, ci ricorda in modo evidente le gravi sfide che la comunità internazionale deve affrontare: la pandemia di COVID-19, la carenza di cibo e di energia, l’interruzione delle catene di approvvigionamento globali, il cambiamento climatico, e l’elenco potrebbe continuare. Quando l’ONU parla di “soluzioni congiunte” e “solidarietà” per affrontare “crisi interconnesse”, non potremmo essere più d’accordo. Taiwan è più che disponibile e in grado di far parte di tali soluzioni congiunte. E i 23,5 milioni di taiwanesi resilienti non dovrebbero sicuramente essere esclusi da sforzi globali così importanti”.
Altre notizie
Taiwan ha ripreso l’esenzione dal visto a partire dal 12 settembre per i viaggiatori provenienti da Stati Uniti, Canada, Europa, Australia, Nuova Zelanda e dai 14 alleati diplomatici di Taiwan. Ma aumenta il pressing di chi vuole vedere cancellata anche la quarantena, che al momento prevede 3+4 giorni di isolamento e self health management. In molti ritengono che tale mossa possa arrivare solo dopo le elezioni locali del prossimo 26 novembre, ma visti gli ultimi sviluppi non è escluso che il governo potrebbe optare per la “liberalizzazione” degli arrivi già nel mese di ottobre.
“Tra pressioni militari e isolamento diplomatico, Taiwan si rivolge a film e giochi per riconnettersi con il mondo”, scrive Abc.
L’ex vicepresidente di Taiwan Chen Chien-jen, in visita in Vaticano per la beatificazione dell’ex Papa Giovanni Paolo I, ha scritto sulla sua pagina Facebook domenica scorsa di essere stato “ricevuto in modo speciale” da Papa Francesco prima della cerimonia. Nei giorni scorsi il segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin ha confermato a Tg 2 Post il rientro dalla Cina di una delegazione della Santa Sede e la possibilità di rinnovare l’Accordo siglato nel 2018 sulle nomine dei vescovi.
Taiwan ha registrato una crescita dei salari medi su base mensile prossima allo zero nel 2022. Lo sostiene un sondaggio condotto dalla società di consulenza gestionale 104 Job Bank, secondo cui la media degli stipendi su base mensile è stata di 1.450 dollari. La somma rappresenta un incremento del 3,74 per cento rispetto al 2021, che tuttavia crolla a 0,38 punti percentuali detraendo la spinta inflazionistica del 3,36 per cento di luglio.
Qui la puntata precedente: Navi, droni e semiconduttori
Qui per recuperare tutte le puntate di Taiwan Files
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.