Le parole della leader di Fratelli d’Italia su Pechino e Taipei, la “confusione strategica” di Biden, il percorso complicato del Taiwan Policy Act, manovre militari e diplomatiche, Xi Jinping verso il Congresso e sviluppi normativi su Taiwan, i rapporti Cina-Russia e il summit di Samarcanda, la sfida sui semiconduttori e altro ancora. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
L’Italia è entrata nel dibattito su Taiwan. Dopo una campagna elettorale concentrata come sempre soprattutto o praticamente solo su questioni interne, negli ultimi giorni sono arrivate prima le parole di Silvio Berlusconi su Vladimir Putin e l’invasione dell’Ucraina e poi quelle di Giorgia Meloni su Taiwan. La leader di Fratelli d’Italia e possibile (probabile) premier dopo il voto di domenica 25 settembre, ha definito “inaccettabile” le manovre militari di Pechino e ha invitato l’Unione europea a “dispiegare tutte le armi politiche e diplomatiche a sua disposizione” e “fare più pressione possibile” per impedire alla Cina di provocare qualsiasi conflitto militare nello Stretto. Dopo aver definito Taiwan un partner commerciale strategico per l’Italia e l’Europa, seguendo l’esempio degli Stati Uniti, ha parlato di “errore” in riferimento alla firma del memorandum of understanding sulla Belt and Road da parte del governo gialloverde nel 2019. Una presa di posizione che aveva già espresso più volte anche nelle scorse settimane e che, anzi, questa volta lascia spazio anche a un passaggio possibilista: “Se mi trovassi a dover firmare il rinnovo di quel memorandum domani mattina, difficilmente vedrei le condizioni politiche”. Ma “spero che il tempo serva a Pechino per ammorbidire i suoi toni e fare qualcosa di concreto verso il rispetto della democrazia, dei diritti umani e della legalità internazionale”.
L’Ambasciata di Pechino in Italia non ha apprezzato l’intervista, anche o soprattutto perché è stata resa alla Central News Agency, l’agenzia di stampa taiwanese. “Gli affari di Taiwan sono puramente affari interni della Cina e non tollerano interferenze esterne. Il principio di una sola Cina è il consenso della comunità internazionale e la norma fondamentale delle relazioni internazionali, nonché la premessa politica e la base con cui la Cina stabilisce e sviluppa le relazioni diplomatiche con tutti i Paesi, Italia compresa”, ha affermato in una nota il portavoce dell’ambasciata, che aveva notato anche come nei mesi scorsi Meloni avesse diffuso una fotografia di un suo incontro con Andrea Sing-Ying Lee, rappresentante di Taipei in Italia.
Resta del tutto da vedere se e come l’approdo di Meloni a Palazzo Chigi possa cambiare i rapporti tra Italia e Pechino e tra Italia e Taipei. Non vanno dimenticate, per esempio, le passate giravolte della Lega che passò dal firmare la Belt and Road a marzo 2019 a manifestare con Matteo Salvini davanti all’ambasciata di Pechino per protestare contro le azioni del governo cinese su Hong Kong. Ma qualche tempo dopo il leader della Lega incontrò l’ambasciatore Li Junhua stemperando le critiche precedenti. Possibile che nel prossimo futuro arrivi una delegazione italiana a Taipei? La cosa non accade dal novembre 2019 con una missione al 100% leghista, capitanata dall’ex ministro Centinaio (che solo qualche mese prima accolse Xi Jinping a Fiumicino).
Interessante un passaggio dell’intervista presente solo nella versione in cinese e non riportata dalle agenzie di stampa, quando Meloni evidenzia qualche differenza di prospettiva con Tsai Ing-wen citando “idee politiche diverse“, in riferimento probabilmente alla legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso operata da Taipei nel 2019. Delle differenze della visione di FdI e del governo taiwanese parla anche Giulia Pompili, che spiega qui l’interesse di Meloni per Taiwan. Per recuperare quanto accaduto tra il 2020 e il 2021 qui ci sono tutte le puntate di Go East, la rassegna che ho curato sulle relazioni Italia-Cina.
La “confusione strategica” di Biden su Taiwan
Se tre indizi fanno una prova, quattro dovrebbero essere una sentenza. Quelle di Joe Biden sull’impegno a difendere Taiwan (come scritto già qualche mese fa) non sono gaffe, ma messaggi precisi rivolti a Taipei per rassicurazione e soprattutto a Pechino per deterrenza. La scorsa settimana, durante un’intervista al programma 60 Minutes della Cbs, gli è stato chiesto se gli Usa manderebbero delle truppe a difesa di Taiwan in caso di azione militare di Pechino. E Biden ha risposto: “Sì, se si verificasse un attacco senza precedenti”.
Fine dell’ambiguità strategica? Il Taiwan Relations Act del 1979 e le Sei Assicurazioni di Ronald Reagan (che Pechino ritiene in conflitto coi Tre Comunicati Congiunti Usa-Repubblica Popolare) prevede che gli Stati Uniti si impegnino a impedire qualsiasi azione unilaterale per modificare lo status quo. Ergo, un’invasione di Pechino o una dichiarazione di indipendenza di Taipei. “L’idea che gli Usa vengano in aiuto di Taiwan in caso di attacco non provocato è in realtà conforme all’ambiguità strategica”, sostiene Lev Nachman della National Chengchi University di Taipei. “L’ambiguità strategica significa che a certe condizioni gli Usa difenderebbero Taiwan e in altre non lo farebbero. A essere decisivo è il contesto”.
In effetti, già nel 1996 gli Usa intervennero direttamente mandando una nutrita flotta per interrompere il lancio di missili e le manovre militari durante la terza crisi dello Stretto. Ma ci sono motivi per cui Bonnie Glaser, direttrice Asia Program del German Marshall Fund, sostiene che la Casa Bianca sia entrata in una “confusione strategica”. A partire dalla formula “unprecedented attack“ che per diversi esperti doveva essere “unprovoked attack“. Cioè un attacco non provocato da un’azione taiwanese contraria allo status quo.
Ecco che allora il passaggio più critico delle dichiarazioni diventa quello sull’indipendenza. Biden ribadisce che gli Usa non hanno cambiato la propria posizione e rispettano la politica dell’unica Cina ma aggiunge: “Taiwan decide da sola della propria indipendenza. Non stiamo incoraggiando la loro indipendenza”. Ma una eventuale dichiarazione di indipendenza come Repubblica di Taiwan (comunque mai all’ordine del giorno dell’amministrazione di Tsai Ing-wen) sarebbe una mossa che renderebbe un attacco non “unprovoked” e alla quale dovrebbe opporsi la stessa Washington se fosse unilaterale. “Questa ripetuta insistenza sul fatto che la nostra politica non è cambiata, che gli Stati Uniti si batteranno per Taiwan e che l’indipendenza dipende da Taiwan, sembra nel migliore dei casi un’incoerenza e nel peggiore un cinico atteggiamento per difendersi dalle critiche dei Repubblicani”, attacca John Culver, ex responsabile National Intelligence per l’Asia orientale, con un occhio al Midterm. Come già accaduto nei tre precedenti, un portavoce della Casa Bianca ha parzialmente corretto il tiro. Ma stavolta non è una smentita, è una rilettura delle parole di Biden: “Lo ha già detto in passato, anche a Tokyo a maggio. Anche in quell’occasione ha chiarito che la nostra politica nei confronti di Taiwan non è cambiata”. Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha invitato gli Usa a non inviare “segnali sbagliati” a Taiwan: “Siamo disposti a fare del nostro meglio per lottare per una riunificazione pacifica. Allo stesso tempo, non tollereremo alcuna attività volta alla secessione”. Il governo di Taipei ha ringraziato Biden (che nei giorni precedenti era stato criticato dai media locali per aver ammorbidito alcune parti del Taiwan Policy Act) per aver “riaffermato l’impegno degli Usa sulla sicurezza”. Ne ho scritto qui.
Il Taiwan Policy Act “ammorbidito” da Biden, via libera complicato prima di gennaio
Poche ore prima dell’incontro fra Xi Jinping e Vladimir Putin a Samarcanda, Washington è andata in contropiede su Taipei, con l’annunciata approvazione del Taiwan Policy Act da parte della commissione esteri del Senato. Con 17 voti a favore e 5 contro, è stato compiuto il primo passo verso il possibile aggiornamento più rilevante delle relazioni bilaterali Usa-Taiwan sin dallo switch diplomatico dalla Repubblica di Cina alla Repubblica Popolare Cinese del 1979. Ma attenzione ai dettagli, decisivi così come sull’agenda del viaggio di Nancy Pelosi: l’amministrazione Biden è riuscita a convincere i democratici ad annacquare o addirittura a rimuovere dal testo originario alcuni passaggi per lo più simbolici eppure considerati critici. Non è cambiata la parte relativa al supporto militare. Il disegno di legge autorizza gli Usa a stanziare 4,5 miliardi di dollari in finanziamenti militari destinati a Taiwan tra il 2023 e il 2027, finestra temporale considerata delicata tra presidenziali taiwanesi del 2024 e XXI Congresso del Partito comunista. Prevista la possibilità di ulteriori prestiti fino a 2 miliardi di dollari. Il disegno di legge prevede inoltre che la Casa Bianca imponga sanzioni ad almeno cinque banche statali se la Cina si impegnasse “in una significativa escalation militare”, come un blocco navale o la presa di un’isola minora. Ipotesi che a Taipei ritengono meno probabili di un’invasione su larga scala. Ci sono non a caso differenze di vedute su quali armi acquistare, se quelle per bloccare l’estensione dell’area grigia di Pechino in funzione di deterrenza oppure quelle per difendersi da una vera e propria invasione.
Dopo un incontro tra il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e i leader del Congresso sono state tolte alcune parti del testo. Seguendo una lunga tradizione di ambiguità ed equilibrismo lessicale e semantico, Taiwan non è più ufficialmente designata come “importante alleato non Nato” (status riconosciuto ad Australia, Giappone, Corea del Sud e Israele) ma si raccomanda di “trattarla come se fosse tale”. Escamotage per giustificare un canale privilegiato per trasferimento di armi e cooperazione militare. Sparita la proposta di rinominare l’Ufficio di rappresentanza di Taipei come “Ufficio di Taiwan”, seguendo l’esempio della Lituania che aveva scatenato la coercizione diplomatica e commerciale di Pechino. Modifiche che secondo Biden preservano la tradizionale posizione Usa e offrirebbero sostegno a Taipei senza elevarne lo status diplomatico. Sulla carta, visto che nella prassi viene sistematizzata l’eliminazione delle restrizioni autoimposte negli scambi coi funzionari, come dimostra l’incontro di martedì presso l’ambasciata de facto di Taiwan a Washington con circa 60 politici internazionali a favore di sanzioni per le manovre militari sullo Stretto. Il disegno di legge non piace in ogni caso al governo cinese: l’ambasciatore Qin Gang che il mese scorso aveva parlato di “disintegrazione” dei rapporti Usa-Cina in caso di approvazione. Ma con le modifiche Biden spera di poter tenere la contesa sul terreno “consueto” della vendita di armi, senza avventurarsi su sentieri inediti. L’approvazione non è scontata. Servono il via libera delle camere e la firma di Biden, velatamente criticato dai media taiwanesi per le sue perplessità. Il testo potrebbe essere allegato al budget di difesa per favorirne l’approvazione ma secondo molti osservatori sarà molto complicato che possa ricevere il via libera prima del 4 gennaio 2023, quando inizierà la nuova legislatura post Midterm.
Manovre diplomatiche e militari
Nei giorni scorsi, dopo Samarcanda, l’attenzione si è spostata su New York per l’assemblea Onu. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha incontrato prima il “vecchio amico” Henry Kissinger e poi Antony Blinken. Nonostante i duri avvertimenti di un “possibile conflitto” qualora gli Usa non cambino approccio su Taiwan, si tratta di un primo contatto ufficiale e riavvio del dialogo dopo il viaggio di Pelosi. A inizio agosto Wang aveva evitato l’incontro con Blinken al summit ASEAN in Cambogia. Pechino ha chiesto a Biden di rispettare il suo discorso all’Onu in cui ha ribadito che non vuole una nuova guerra fredda e la politica sullo Stretto non è cambiata.
Come avevo già scritto un mese fa, Mike Pompeo arriva a Taiwan nei prossimi giorni per la sua seconda visita in sei mesi. Per Pechino non sarà difficile sminuirne la rilevanza. Qui avevo raccontato la visita precedente.
Il Pentagono ha apportato modifiche amministrative al modo in cui gestisce la politica di Taiwan. La mossa – che comporta l’assegnazione del portafoglio di Taiwan all’ufficio responsabile della politica per la Cina – potrebbe costituire una nuova linea di attacco per gli oppositori del presidente Joe Biden, che sostengono che sia debole nei confronti della Cina.
Dopo il recente passaggio di due navi americane, un altro mezzo americano è transitato sullo Stretto insieme a una nave canadese.
Due aerei cinesi hanno sorvolato la parte sud-occidentale della zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan, uno dei quali era un veicolo aereo da combattimento senza equipaggio (UCAV) Rainbow CH-4, che sarebbe stato individuato per la prima volta mentre operava vicino a Taiwan. Per il Global Times, le autorità di Taiwan hanno probabilmente fallito nel rilevare gli elicotteri dell’esercito cinese, mentre hanno annunciato il primo rilevamento di un UAV da ricognizione KVD-001.
Secondo fonti Usa, Pechino sarebbe già in grado di operare un blocco navale efficace intorno a Taiwan. Il governo di Taipei fa sapere che lo riterrebbe un atto di guerra.
Taipei sembra intenzionata a estendere il periodo della leva militare dopo un lungo dibattito in merito accelerato dalle esercitazioni militari post Pelosi.
Xi Jinping verso il XX Congresso. Riflessi su Taiwan tra Commissione militare e spettro normativo
Manca meno di un mese all’inizio del XX Congresso del Partito comunista cinese. Pochi dubbi sulla figura che emergerà ancora una volta, la terza, al di sopra di tutti: Xi Jinping. Nell’attesa, proseguono i segnali di forza del presidente della Repubblica Popolare, segretario generale del Partito e capo della Commissione militare centrale. L’ultimo è la revisione del codice su promozioni e retrocessioni dei funzionari. Alla direttiva del 2015 è stata aggiunta l’indicazione di “mettere da parte coloro che hanno ideali e convinzioni vacillanti, posizioni morbide e atteggiamenti vaghi sulle principali questioni che coinvolgono la leadership del partito”, e che quindi potrebbero non sostenere le prove nei “momenti chiave”. Dovrebbero essere esclusi anche coloro che hanno “un debole senso di responsabilità e spirito di lotta”. Il messaggio di fondo è chiaro: chi non mostra lealtà assoluta a Xi perde il posto.
Al Congresso verranno anche annunciati degli emendamenti alla costituzione del Partito. Diverse le speculazioni sul contenuto. Una possibilità è che la formula “Pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era” venga abbreviata in “Pensiero di Xi Jinping”. Un onore che spetta solo a Mao Zedong, mentre per Deng Xiaoping si parla di “Teoria”. Segnali in tal senso sono già arrivati dalla terza risoluzione storica del 2021. Non si tratta di mere questioni semantiche, perché hanno riflessi concreti. Il pensiero di Xi (e dunque la sua linea essendo ancora al comando) rappresenterebbe sempre più un limite invalicabili per non finire fuori dall’ortodossia del Partito.
A Xi potrebbe inoltre essere conferito un nuovo titolo. Dalla seconda parte del 2020 in avanti sempre più media e ufficiali lo hanno chiamato “timoniere”. Da ultimo in un articolo di Li Junru, ex vicepresidente della Scuola di Partito del Comitato Centrale. Di recente, Xi viene talvolta definito anche “leader del popolo”, come Mao. C’è chi ritiene che possa essere reintrodotto il ruolo di presidente del Partito. L’abolizione della presidenza nel 1982 diede il segnale di uno stile di governo meno individualistico e più collettivo. Secondo Nikkei, l’elevazione di pensiero e titolo potrebbe dare a Xi la tranquillità per iniziare a programmare la sua successione, quantomeno per il ruolo (soprattutto cerimoniale) di presidente della Repubblica.
Previsti avvicendamenti anche alla Commissione militare centrale, la cui presidenza è secondo diversi analisti la priorità di Xi. Mercoledì è intervenuto a un seminario sulla difesa nazionale alla presenza dei generali più alti in grado dell’Esercito popolare di liberazione, presentando i risultati della sua riforma militare. Ci si aspettano le promozioni di alcuni fedelissimi, tra cui Miao Hua e Liu Zhenli, coi quali Xi mira ad avere le mani ancora più libere nel caso optasse in futuro per un’azione militare su Taiwan (o in altri lidi). A proposito di Taipei, si lavora anche sul fronte normativo: l’Ufficio per gli Affari di Taiwan ha confermato la possibile introduzione di una nuova legge per la riunificazione o al limite di regole più dettagliate per far scattare l’attuale legge anti secessione.
La visione di Xi su “un paese, due sistemi“, potrebbe entrare nella costituzione. Secondo fonti giapponesi, Xi Jinping ha intenzione di descrivere al prossimo congresso del Partito Comunista, che si terrà una volta ogni cinque anni, la riunificazione di Taiwan come un obiettivo a lungo termine. In una relazione al precedente congresso del partito nel 2017, Xi ha definito la riunificazione di Taiwan come uno dei compiti storici del partito, ma non ha presentato roadmap. Il rapporto dovrebbe anche fare riferimento ai risultati ottenuti durante i 10 anni di governo di Xi come “grandi trasformazioni”.
Ne ho scritto nel dettaglio qui. Di una possibile nuova legge su Taiwan ho parlato diverse volte negli scorsi sei mesi, per esempio qui.
I rapporti Cina-Russia tra Samarcanda e assemblea Onu
A Samarcanda, Xi ha fatto capire che è la Russia ad aver bisogno della Cina e non viceversa. Ed è sempre Xi ora a guidare le gerarchie in Asia centrale, con Pechino che come ha scritto Simone Pieranni si pone come la Cina imperiale: “saggia, paternalista e sinocentrica”. Una Cina che non vuole “rivoluzioni colorate”, come chiarito da Xi che sul “supporto incondizionato all’integrità territoriale” kazaka sembra anche aver lanciato un messaggio di tutela da possibili azioni russe. I media cinesi si sono focalizzati soprattutto sulla dimensione regionale del primo viaggio all’estero di Xi dall’inizio della pandemia: il Quotidiano del Popolo ieri dava più evidenza all’incontro col padrone di casa uzkebo Shavkat Mirziyoyev che a quello con Putin. Xi ha promesso 214 milioni di dollari di grano e altri aiuti, rilanciando la Belt and Road e la neonata Global Security Initiative. Ha inoltre dichiarato che la Cina formerà duemila membri delle forze dell’ordine dei paesi membri e creerà una base di formazione sull’antiterrorismo, con un occhio a Xinjiang e uiguri.
“La Cina rispetta la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i paesi che fanno parte delle Nazioni Unite” e “allo stesso tempo comprendiamo le legittime preoccupazioni della Russia”. Giochino: Quando è stata pronunciata questa frase dal governo cinese? In molti risponderebbero (correttamente, nonostante alcune piccole sfumature diverse) pochi giorni fa dal portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin e ripetuta anche alle Nazioni Unite dal ministro degli Esteri in persona Wang Yi. Altri, però, ricorderebbero che è la stessa identica frase pronunciata dallo stesso Wang Yi nei primi commenti all’invasione dell’Ucraina lo scorso febbraio.
Il mancato appoggio ai referendum di Donetsk e Lugansk era scontato. Pechino non ha mai riconosciuto neppure l’annessione della Crimea, nonostante abbia utilizzato quella crisi per attrarre a sé Mosca. Prevedibile che accada lo stesso ora, con Xi fermo nella sua opposizione al principio di autodeterminazione che fa valere in Tibet, Xinjiang, Hong Kong e (anche se non la controlla) Taiwan. Nel recente passato la Russia ha mostrato di voler andare in contropiede sul tema Taipei. Come scrivevo qui ricostruendo il contesto della visita di Pelosi, in riferimento alla contingenza di inizio giugno: “È un momento delicato, la Russia chiede maggiore supporto a Pechino. Xi rilascia dichiarazioni di sostegno retorico, ma a Mosca vorrebbero di più. Il 15 giugno la seconda telefonata dall’inizio dell’invasione tra Vladimir Putin e Xi. Più che il coronamento di un matrimonio, un modo per cercare garanzie che la relazione sta proseguendo. Nelle settimane seguenti la Russia intensifica i passaggi al largo del Giappone. Il 1° e 2 luglio tre navi della marina russa navigano al largo della contea di Hualien, costa orientale di Taiwan. L’intenzione sembra quella di mostrare a Washington coordinamento totale con Pechino, mandando anche un segnale all’amico «senza limiti» avvicinandogli il fronte di crisi. «I russi hanno esagerato stavolta», dichiara in quei giorni Zhou Chenming, ricercatore all’Istituto di Scienza e Tecnologia Militare Yuan Wang, con sede a Pechino. Ma quelle per il Partito comunista sono acque cinesi. E «la Cina non vuole che gli americani si avvicinino, né vuole che lo facciano i russi», dice Zhou.
Ma la Cina non ha intenzione di scaricare Putin. Xi sa che anche facendolo non cancellerebbe le tensioni con gli Usa e l’occidente. Ma soprattutto, a Pechino fa comodo avere un partner sempre più legato a sé perché sempre più dipendente. Questo porta vantaggi commerciali e strategici notevoli alla Cina, che può importare energia a prezzi scontati, diffondere l’utilizzo della sua moneta sul piano internazionale e proiettarsi da padrone di casa in Asia centrale e in futuro magari anche sull’Artico. Per le ex repubbliche sovietiche, la Cina agisce ormai come unico garante della stabilità, sia di fronte alle “rivoluzioni colorate” fomentate dall’occidente, sia implicitamente di fronte a eventuali azioni dell’indisciplinato amico russo.
Pechino condanna duramente l’approccio americano non solo a fini retorici da utilizzare sullo Stretto di Taiwan, ma anche perché teme che l’obiettivo finale di Washington sia quello del “regime change” a Mosca. Se Biden va al muro contro muro ideologico, Xi può permettersi ancora meno un crollo di Putin per non stimolare insidiose equazioni. Ecco perché alla Cina, che ci guadagna su una Russia impegnata in Ucraina per legarla a se stessa e chiedere spazio in aree considerate strategiche, l’innalzamento del livello del conflitto spaventa. Se c’è il rischio che Mosca perda e Putin crolli, meglio forse fermarsi in tempo per non dover fare i contri con una Russia non solo indebolita ma sconfitta.
Ne ho scritto nel dettaglio per la Stampa (qui) e Wired (qui).
La sfida sui semiconduttori
Il gigante taiwanese dei semiconduttori Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc) prevede di avviare la produzione di microchip con architettura a tre nanometri entro fine anno. Ne avevo scritto qui qualche tempo fa.
Il governo continuerà a collaborare con l’industria locale dei semiconduttori per rafforzare ulteriormente la catena di fornitura esplorando nuove tecnologie, tra cui lo sviluppo di semiconduttori di terza generazione, ha dichiarato il vice premier Shen Jong-chin in apertura del Semicon di Taipei, interamente dedicato al mondo dei chip.
La GlobalWafers Co Ltd di Taiwan prevede di iniziare a novembre la costruzione del suo nuovo impianto da 5 miliardi di dollari in Texas, come ha dichiarato martedì la presidente e amministratore delegato della società. L’azienda ha dichiarato a giugno che avrebbe costruito l’impianto per la produzione di wafer di silicio da 300 millimetri utilizzati nei semiconduttori, abbandonando un piano di investimento in Germania che era stato abbandonato.
Foxconn e Vedanta hanno annunciato un progetto da 19,5 miliardi di dollari (16,9 miliardi di sterline) per la costruzione di una delle prime fabbriche di chip in India. L’azienda taiwanese e il gigante minerario indiano si uniscono nel momento in cui il governo spinge per incrementare la produzione di chip nel paese. L’anno scorso il governo del primo ministro Narendra Modi ha annunciato un pacchetto di 10 miliardi di dollari per attirare gli investitori. All’impianto, che sarà costruito nello Stato natale di Modi, il Gujarat, sono stati promessi incentivi.
Per il Wall Street Journal i semiconduttori sono un aspetto importante della volontà di Biden di proteggere Taiwan.
Dell’importanza e del ruolo dei semiconduttori di Taiwan sono tornato a scrivere qui.
Su Wired ho invece raccontato l’interessante e simbolica vicenda di Robert Tsao: un capitano di industria che straccia la cittadinanza della Repubblica di Cina, alias Taiwan, perché voleva investire in Repubblica popolare cinese quando non era consentito. Ma che poi, a oltre un decennio di distanza, la chiede indietro presentando in cambio un assegno da quasi cento milioni di euro da spendere in armi e nella creazione di una “milizia civile” per aiutare Taiwan a difendersi da Pechino, la cui forza militare è sempre più evidente. Nelle tese ultime settimane sullo Stretto, dalle parti di Taipei non è passata inosservata la storia di Robert Tsao. Continua qui.
Altre notizie e segnalazioni
Wang Kwo-tsai, ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni di Taipei, ha chiesto la partecipazione di Taiwan nell’ICAO. Si legge nella sua richiesta, che cita anche le esercitazioni militari di Pechino e il loro impatto sull’aviazione civile: “Dal momento che l’industria aeronautica globale è stata particolarmente colpita dalla pandemia, la collaborazione tra tutti gli stakeholders a sostegno della salute dei passeggeri e di viaggi sicuri è più importante che mai. Nessuna autorità dei aviazione civile dovrebbe essere esclusa. L’ICAO terrà la 41a sessione dell’Assemblea con l’obiettivo dichiarato di riconnettere il mondo. Includere Taiwan aiuterebbe il mondo a raggiungere questo obiettivo.
Dal 13 ottobre Taiwan dovrebbe rimuovere la necessità di quarantena per gli arrivi dall’estero, aprendo di fatto i confini dopo oltre due anni e mezzo di restrizioni per il Covid.
Nel weekend del 17-18 settembre Taiwan è stata colpita da un forte sciame sismico che ha provocato anche danni sostanziosi a strade ed edifici.
Polemica anche sui funerali della Regina Elisabetta: il rappresentante di Taipei a Londra, Kelly Hsieh, ha firmato il registro delle condoglianze in qualità di “invitato speciale” dal governo britannico, secondo quanto afferma una nota del ministero degli Esteri di Taiwan. “Le autorità del Partito Democratico-Progressista di Taiwan hanno usato il cordoglio per clamore politico. Tale comportamento è disgustoso”, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning. La partecipazione della Cina – rappresentata dal vice presidente Wang Qishan – ai funerali della regina ha suscitato polemiche a Londra nell’ala più conservatrice dei Tories.
La banca centrale ha abbassato le previsioni di crescita del prodotto interno lordo di Taiwan nel 2022 al 3,51%, dopo aver concluso la riunione trimestrale di policy giovedì.
Taiwan intende incrementare la capacità installata di energia fotovoltaica di 2,5 gigawatt durante il 2022, nel tentativo di promuovere lo sviluppo sostenibile centrato sulle rinnovabili. Lo ha dichiarato la ministra dell’Economia, Wang Mei-hua, intervenendo alla cerimonia di presentazione di un rapporto relativo alle pratiche per raggiungere l’azzeramento delle emissioni entro il 2050. L’energia è per Taiwan un problema serio.
Il governo del Giappone sta valutando la costruzione a Okinawa di un rifugio per l’evacuazione di cittadini giapponesi da Taiwan, nel caso l’isola venga aggredita militarmente dalla Cina. Lo hanno rivelato fonti governative citate dalla stampa giapponese, che ricorda come le prospettive di una crisi militare a Taiwan hanno gia’ aumentato significativamente la presenza delle Forze di autodifesa giapponesi nelle isole più remote e meridionali dell’Arcipelago giapponese, inclusa Yonaguni, che dista da Taiwan appena 110 chilometri.
L‘ufficio di rappresentanza della Lituania a Taipei ha aperto i battenti, in coda a una battaglia diplomatica tra Vilnius e Pechino.
Entra nel vivo la campagna per le elezioni locali del 26 novembre. Ci torno a brevissimo con un focus dedicato.
Circa il 30% dei 690 mila lavoratori migranti di Taiwan è impiegato nella economia di cura: decine di migliaia di badanti e assistenti domestiche provenienti dai paesi del Sudest Asiatico che sperimentano discriminazioni diffuse oltre che l’esclusione dalle legge sugli Standard lavorativi. Ma a molto poco dal diventare una super-aged society, Taiwan ha bisogno di lavoratrici che siano “fidelizzate”. Ne ha scritto qui Vittoria Mazzieri.
Da leggere questa ricerca con interviste a esperti sui possibili scenari delle relazioni intrastretto.
Esce invece il 7 ottobre “L’isola sospesa” di Stefano Pelaggi, che racconta aspetti storici e contemporanei che hanno portato Taiwan a giocare un “ruolo praticamente unico al mondo”. Qui un estratto.
Qui invece per recuperare l‘ebook di China Files di settembre, interamente dedicato a Taiwan.
Qui per recuperare tutte le puntate di Taiwan Files
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.