Dalla serie tv Wave Makers alle “due Taiwan”. Droni-scorpione e forum sulla Difesa. Usa-Taiwan tra promesse e ritardi. Una seconda visita di Tsai negli Usa? Primo taiwanese accusato di separatismo. La polemica tra Ma Ying-jeou e McCaul. Taipei in recessione. Italia-Taiwan tra chip e diplomazia. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
Mancano poco più di 8 mesi alle elezioni presidenziali taiwanesi. Per iniziare a entrare nel clima, su Netflix è uscito da poco Wave Makers, una serie che racconta in maniera puntuale e precisa quello che si muove dietro una campagna elettorale taiwanese. Soprattutto dal punto di vista della comunicazione, visto che tra intrighi e campagne i protagonisti sono proprio i componenti dell’ufficio stampa ed elettorale di un partito dal nome immaginario, ma che rimanda piuttosto esplicitamente al DPP della presidente Tsai Ing-wen. Si tratta di un lavoro come detto molto realistico, che restituisce anche fedelmente la componente pittoresca delle sempre movimentate campagne elettorali taiwanesi.
Al pubblico sta piacendo. E anche alla stessa Tsai, che lo ha spinto su Twitter. Personaggi, nomi e partiti sono immaginari ma chi non è un neofita della politica taiwanese si accorge subito dei riferimenti al DPP e alla stessa figura di Tsai nella candidata immaginaria dell’opposizione, paladina di un cambiamento votato al futuro e alle nuove generazioni, con forti tinte femministe. Elementi che stanno facendo storcere il naso, seppur sottotraccia, al Guomindang. Anche nella realtà, come nella fiction, Taiwan è nei mesi pre elettorali e la serie presenta di fatto una situazione ribaltata rispetto alla realtà. Il partito di maggioranza sembra assomigliare al GMD, nonostante si indaghi meno al suo interno e pressoché tutti i protagonisti dello show siano appartenenti al partito di opposizione.
Insomma, quasi un tentativo (per i più maliziosi) di far percepire il DPP come una forza di cambiamento e novità rispetto all’ordine costituito, quando nella realtà è al governo dal 2016. In particolare, sotto esame il passaggio in cui si palesa il fatto che in caso di vittoria dell’opposizione finalmente si avrà un via libera ai matrimoni tra persone dello stesso sesso. Un risultato in realtà già raggiunto dall’amministrazione Tsai nel 2019. E la figura della candidata presidente sembra rimandare in molti tratti alla stessa Tsai.
La vicenda si inserisce in un contesto in cui il governo taiwanese spinge molto produzioni autoctone per rafforzare il senso di alterità politico-culturale-identitaria nei confronti della Repubblica popolare cinese, grande assente della serie in cui non vengono mai nominate le questioni intrastretto. Del tema avevo scritto diverso tempo fa, qui. In ogni caso, consigliata la visione della serie per acquisire qualche familiarità con il mondo politico taiwanese, che resta spesso poco conosciuto all’esterno.
Le due Taiwan
Taiwan, Repubblica di Cina. O Repubblica di Cina, Taiwan. A Taipei e dintorni, scelte lessicali e ortografiche celano spesso una sfumatura identitaria. Come si capisce già dal suo nome bifronte, non esiste una sola Taiwan. C’è quella di Tsai Ing-wen e del Partito progressista democratico (DPP), per cui la virgola va sempre davanti a “Repubblica di Cina”, il nome con cui Taiwan è indipendente de facto. E poi c’è quella di Ma Ying-jeou e del Guomindang (GMD), per cui la virgola va sempre davanti a Taiwan, immaginata ancora come un segmento di un territorio nazionale che comprenderebbe anche la Cina continentale.
Il voto del 2024 è stato già bollato in maniera antitetica dai due partiti principali. Ma ha parlato di scelta tra “guerra e pace”, dove ovviamente la vittoria del DPP potrebbe portare secondo l’ex presidente a un conflitto sullo Stretto. Lai ha risposto definendola invece una scelta tra “totalitarismo e democrazia”, alludendo al fatto che un’eventuale vittoria del GMD porterebbe a una “riunificazione”. Quasi nove taiwanesi su dieci, invece, sperano che entrambi abbiano torto. E che continuino a contare le sfumature.
Ne ho scritto in un long form per Valigia Blu, sperando di chiarire gli onnipresenti dubbi su alcuni aspetti della questione politico-identitaria.
Droni-scorpione e movimenti diplomatici
Lo chiamano “scorpione a due code”. È un nuovo drone da combattimento cinese, in grado di trasportare missili sotto le ali e di effettuare missioni ad alta quota e a lungo raggio, fino a 6 mila chilometri. Per la prima volta, ieri è volato intorno a Taiwan. Ha oltrepassato la linea mediana a sud ovest dell’isola, circumnavigata per tre quarti per poi rientrare oltre la linea mediana a nord est dello Stretto. L’impiego di droni è per Pechino una componente chiave di un’ipotetica azione militare su Taiwan. Con l’inedito impiego del TB-001, e la sua rotta ben più prolungata delle consuete manovre oltre la linea mediana, la Cina manda un nuovo messaggio di sovranità sull’area. Insieme allo scorpione a due code, il ministero della Difesa di Taipei ha segnalato i movimenti di 6 navi e 37 jet, 19 dei quali oltre la linea mediana o nello spazio di identificazione di difesa aerea.
Dopo una decina di giorni di calma apparente, le manovre sono tornate dunque ad aumentare dopo la fine delle esercitazioni militari avviate in risposta all’incontro fra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker del Congresso americano, Kevin McCarthy (qui lo speciale sul tema). Sempre ieri, peraltro, l’Esercito popolare di liberazione ha dichiarato di aver monitorato il passaggio di un aereo da pattugliamento marittimo degli Stati uniti sullo Stretto. Episodio che si inserisce secondo le forze armate cinesi in una serie di “azioni provocatorie”, che comprendono anche il recente transito del cacciatorpediniere Uss Milius.
Non è un caso che le tensioni tornino ad alzarsi in giorni densi di eventi, sia a livello militare che diplomatico. Negli scorsi giorni si è svolto a Taipei il Taiwan-US Defense Industry Forum, prima edizione dopo 4 anni. L’evento, a cui sono stati presenti importanti fornitori di armi americani, sarà aperto da un discorso di Steven Rudder, ex comandante dei marines nel Pacifico. Il tutto mentre si discute della possibile creazione di un deposito di armi statunitensi sull’isola, così come di un aumento della presenza di consiglieri e istruttori militari. “Il governo taiwanese invita i lupi in casa“, ha commentato Tan Kefei, portavoce del ministero della Difesa di Pechino, sostenendo che “il complesso militare-industriale statunitense cerca di esportare la guerra a scopo di lucro”.
A Taipei è arrivato anche John Bolton, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump e in lizza per le primarie repubblicane in vista delle presidenziali del 2024. Il falco anticinese è stato invitato a parlare a eventi organizzati da gruppi pro-indipendenza taiwanesi, su posizioni ben più radicali dell’attuale governo, ma ha incontrato anche Tsai. Bolton ha in passato chiesto il pieno riconoscimento diplomatico di Taiwan e lo stazionamento diretto di truppe americane.
Ne ho scritto qui.
A indispettire Pechino anche (o soprattutto) il rafforzamento della rete di alleanze militari di Washington in Asia orientale. Nel comunicato congiunto Usa-Corea del sud, risultato del vertice tra Yoon Suk-yeol e Joe Biden (ne ho scritto qui), i due paesi si dicono contrari a “qualsiasi tentativo unilaterale di cambiare lo status quo nell’Indo-Pacifico, attraverso rivendicazioni marittime illegittime, la militarizzazione di elementi rivendicati e attività coercitive”. Ne è seguita una forte polemica tra Pechino e Seul.
Lunedì 1° maggio è stato alla Casa bianca anche Ferdinand Marcos Junior, a pochi giorni di distanza dalla conclusione delle più vaste esercitazioni congiunte di sempre tra Filippine e Usa nel mar Cinese meridionale, che hanno incluso anche un inedito attacco antinave simulato. Qualche giorno prima si è sfiorata la collisione tra una nave della guardia costiera cinese e un pattugliatore filippino che stava entrando in una secca contesa.
La postura di Manila è cruciale in riferimento a Taiwan, come dimostra anche il doppio passaggio della portaerei Shandong per lo stretto di Bashi, che separa le Filippine dall’isola che Pechino vuole “riunificare”. Per riuscirci, non ha a disposizione solo le armi. Tre giorni fa la procura suprema del popolo ha comunicato per la prima volta l’incriminazione di un cittadino taiwanese per l’accusa di separatismo.
Primo taiwanese accusato di separatismo
Si tratta di Yang Chih-yuan, attivista di 33 anni arrestato lo scorso agosto a Wenzhou subito dopo la visita di Nancy Pelosi a Taipei. Allora era apparsa una chiara ritorsione al’incontro fra Pelosi e Lee Ming-che, altro attivista taiwanese che aveva passato qualche anno nelle carceri continentali.
Dopo quasi 9 mesi di silenzio, la procura suprema del popolo di pechino ha comunicato l’incriminazione di Yang. La sua colpa sarebbe quella di aver sostenuto un referendum sull’indipendenza e aver partecipato alla fondazione del Partito Nazionalista di Taiwan, che persegue una dichiarazione di indipendenza formale e l’adesione di Taipei alle Nazioni Unite.
Attività svolte oltre un decennio fa a Taiwan, ma che ora possono costare a Yang da 10 anni all’ergastolo. O persino una condanna a morte, se i giudici sentenzieranno che ha causato danno particolarmente gravi alla sovranità nazionale cinese.
Le accuse a Yang mostrano la volontà di Pechino di dare una base legale alla sua pretesa di sovranità su Taiwan. E si accompagnano a mosse come l’inserimento di figure politiche in una lista nera di secessionisti, nel tentativo di recidere i legami tra il partito di maggioranza e il mondo imprenditoriale taiwanese che fa affari in Cina.
Nonostante una netta diminuzione dall’inizio del Covid. i taiwanesi che vivono e lavorano sull’altra sponda dello Stretto sono ancora più di un milione. Vicende come quella di Yang possono avere un impatto anche più profondo delle grandi manovre militari.
Ne ho parlato qui, intorno al minuto 10.
Una seconda visita di Tsai negli Usa?
I deputati americani e Taipei stanno spingendo affinché la leader taiwanese Tsai Ing-wen partecipi al vertice della Cooperazione economica Asia-Pacifico (Apec) di quest’anno, nonostante le obiezioni di Pechino. In una lettera inviata al Segretario di Stato americano Antony Blinken, 21 repubblicani della Camera hanno sollecitato il Dipartimento di Stato a invitare Tsai al vertice di quest’anno, che si terrà a San Francisco il 12 novembre. Lo scrive il South China Morning Post. A marzo avevo già scritto su La Stampa dell’ipotesi di un secondo passaggio americano di Tsai in un periodo tra agosto (insediamento nuovo presidente del Paraguay e novembre col summit Apec). Qui un focus su Taiwan Files.
Il sindaco di Nuova Taipei Hou Yu-ih ha dichiarato che la Repubblica di Cina (ROC) e Taiwan sono “inseparabili”, come “vetro e acqua”, aggiungendo che l’esistenza della ROC dovrebbe essere riconosciuta dalla comunità internazionale. Hou, considerato il candidato preferito dal Guomindag per le elezioni presidenziali del 2024, ha usato per la prima volta “acqua e vetro” come analogia al rapporto tra la Repubblica Popolare Cinese e Taiwan. Quando un bicchiere si rompe, l’acqua nel bicchiere si rovescia, ha spiegato Hou, sottolineando l’importanza della sicurezza nazionale per Taipei.
Terry Gou, patron di Foxconn, è il principale rivale di Hou Yu-ih sulla strada della nomina del candidato presidenziale del Gmd (ne ho scritto qui). Gou ha dichiarato che non ha in programma visite in Cina continentale, ma afferma di essere l’unico in grado di garantire in caso di vittoria alle elezioni che Pechino non attaccherà.
“L’impasse tra Washington e Pechino lascia il mantenimento dello status quo tra le due sponde dello Stretto come unica opzione per il futuro di Taiwan”, ha dichiarato invece l’ex sindaco di Taipei e aspirante presidente del Partito Popolare di Taiwan (TPP) Ko Wen-je. Il presidente del TPP, che ha compiuto un viaggio di tre settimane negli Stati Uniti, ha pronunciato queste parole durante un forum ospitato dalla Elliott School of International Affairs della George Washington University.
A proposito di elezioni, due analisi del South China Morning Post tra DPP e GMD.
Usa-Taiwan tra promesse e ritardi
Circa 200 consiglieri militari statunitensi sono attualmente di stanza nelle basi di Taiwan, secondo diverse fonti media. Non una novità assoluta, se n’era già parlato in autunno del 2021. Taiwan è in trattative con Washington su potenziali scorte di armi sull’isola o nelle sue vicinanze.
Taiwan è “cruciale” per la pace e la stabilità nella regione indo-pacifica e ci sono molti modi in cui l’isola e gli Stati Uniti possono collaborare, ha dichiarato Laura Rosenberger, in visita a Taiwan per sei giorni in qualità di nuovo capo dell’American Institute in Taiwan (AIT).
Il comandante statunitense della regione indo-pacifica John Aquilino ha dichiarato ai legislatori della Commissione per i servizi armati della Camera di non condividere la tempistica stabilita dal suo predecessore e basata sui commenti del leader cinese Xi Jinping, secondo cui la Cina starebbe rafforzando le proprie forze armate per essere pronta ad attaccare entro il 2027. Intanto Pechino ha rivisto le sue regole di coscrizione militare.
Xi Jinping è orientato verso l’unificazione di Taiwan in modo “pacifico”, ma sta anche preparando una possibile azione militare per raggiungere l’obiettivo, ha dichiarato Avril Haines, direttore dell’intelligence nazionale statunitense.
Il governo di Taipei è stato invitato a riconsiderare la proposta di utilizzare grotte sottomarine come parte di una base navale per una nuova flotta di sottomarini che potrebbe entrare in servizio nel 2025.
Ma Jing-yeou in Grecia e la polemica con McCaul
Forte polemica senza precedenti anche tra Ma Ying-jeou, ex presidente taiwanese e ancora deus ex machina del Gmd e il Congresso Usa, dopo che il capo della Commissione esteri Michael McCaul in visita a Taipei ha detto che il recente viaggio di Ma in Cina è servito a presentare “candidati pupazzo” per le elezioni del 2024.
Qui un ritratto di McCaul, non esattamente un moderato.
La scorsa settimana, l’ex presidente Ma (che ho intervistato qualche mese fa per Limes) è stato ospite del Forum economico annuale di Delfi in Grecia. Un piano iniziale degli organizzatori di riferirsi a Ma come ex presidente di Taiwan è stato scartato, dopo che l’ambasciata cinese ha espresso la sua forte opposizione, sostiene Politico. Hanno quindi chiamato l’ex leader di Taipei, prima di stravolgerlo ulteriormente chiamandolo “ex presidente del partito Kuomintang – Taipei cinese”. A questo punto il ministero degli Esteri di Taiwan ha chiesto a Ma di riconsiderare la sua presenza, ma Ma ha deciso comunque di andare.
Taiwan in recessione economica e le proteste sul lavoro
Italia-Taiwan tra chip e diplomazia
A metà aprile c’è stata una delegazione, non politica ma tecnica, del ministero delle Imprese e del made in Italy diretto dall’ex presidente del Copasir Adolfo Urso (Fratelli d’Italia, spesso molto critico su Pechino). Una missione che avrebbe dovuto restare riservata. Ma, come riportato da Bloomberg, i funzionari italiani hanno svolto diversi colloqui privati allo scopo di predisporre “piani per aumentare la cooperazione sulla produzione e l’esportazione di semiconduttori”. Come noto, Taiwan è leader del comparto di fabbricazione e assemblaggio dei microchip. Da un punto di vista quantitativo, visto che detiene oltre il 60% dello share globale, ma anche qualitativo, visto che oltre alla sudcoreana Samsung solo la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc) di Morris Chang è in grado di fabbricare semiconduttori a 3 nanometri.
Eppure, l’utilizzo dell’argomento Belt and Road per incentivare le spedizioni di chip da parte delle aziende taiwanese desta stupore a Taipei e Hsinchu, sede dell’immenso parco scientifico dove si trovano decine di stabilimenti delle aziende del settore. “Trovo curioso che venga fatta una connessione tra chip e Belt and Road – dice a Wired un operatore taiwanese che chiede di restare anonimo -. Credo molto difficile credere che ci sia un rapporto di causa-effetto tra le scelte aziendali e la permanenza o meno dell’Italia nel programma“.
D’altronde, tutti i colossi taiwanesi esportano in dosi massicce semiconduttori verso la Repubblica Popolare. E praticamente tutti sono usciti di recente allo scoperto nel criticare le crescenti restrizioni imposte dagli Stati Uniti, che chiedono controlli alle esportazioni soprattutto delle tecnologie più avanzate. Con l’obiettivo di rallentare o fermare l’ascesa di Pechino in un settore ritenuto altamente strategico.
Insomma, utilizzare l’argomento della fuoriuscita dalla Belt and Road come una potenziale leva nei confronti delle aziende private taiwanesi non serve. Non solo, rischia persino di diventare un boomerang visto che da sempre le aziende del settore cercano di rifuggere qualsiasi tentativo di politicizzazione delle loro scelte aziendali. Obiettivo talvolta forse complicato da alcune mosse di governo e diplomazia di Taipei, impegnati a cercare di dimostrare al mondo perché Taiwan è importante.
Ne ho scritto nel dettaglio qui.
Tra i segnali di tipo diplomatico, il fatto che Taiwan aprirà un nuovo ufficio di rappresentanza a Milano, che sarà il suo secondo insediamento di questo tipo dopo quello di Roma. Il nuovo ufficio nella seconda città più popolosa d’Italia si chiamerà “Ufficio di Rappresentanza di Taipei in Italia-Ufficio di Milano”. Una vicenda andata via liscia e senza finora polemiche con Pechino.
Altre notizie diplomatiche
Il presidente eletto del Paraguay, Santiago Peña, si è impegnato a continuare a rafforzare i legami con Taiwan dopo aver vinto le elezioni presidenziali di domenica in una corsa in cui era in gioco anche il riconoscimento della sovranità di Taipei da parte del Paraguay. Nel retweet del messaggio di congratulazioni del presidente Tsai Ing-wen (蔡英文), il candidato del Partito Colorado, al governo in Paraguay, ha espresso i suoi ringraziamenti a Tsai.
Il presidente guatemalteco Alejandro Giammattei ha promesso il suo sostegno incondizionato alla “Repubblica di Taiwan”, in un viaggio che giunge mentre la Cina intensifica la pressione sulla manciata di paesi che ancora mantengono legami formali con Taipei.
Una delegazione dell’Assemblea nazionale francese ha incontrato a Taipei il vicepresidente Lai Ching-te, portando con sé un messaggio del presidente francese Emmanuel Macron che ribadisce il sostegno allo status quo nello Stretto di Taiwan, dopo le polemiche per le sue dichiarazioni dopo la visita a Pechino.
Prova a dare segnali di unità anche l’Ue. Ursula von der Leyen ha messo in guardia la Cina dall’uso della forza per conquistare Taiwan, in un discorso che ha cercato di minimizzare le divisioni nelle politiche del blocco verso Pechino.
Segnalazioni
Da lunedì 8 maggio via alla nuova edizione della school di China Files. Giovedì 11 maggio in programma una mia lezione su Taiwan. Il giorno prima invece in programma l’ultima lezione di un ciclo di 6 incontri sulla questione Taiwan che ho curato per la scuola di geopolitica Domini.
Di Lorenzo Lamperti
Taiwan Files – La puntata precedente
Taiwan Files – L’identikit di William Lai, nuovo leader del DPP
Taiwan Files – Le elezioni locali e l’impatto sulle presidenziali 2024
Qui per recuperare tutte le puntate di Taiwan Files
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.