La rottura delle relazioni con Managua e gli effetti sulla narrativa dei like-minded partner di Taipei. Il pressing diplomatico e quello militare di Pechino. L’invasione (di rospi). Dialogo commerciale con gli Usa e semiconduttori, record di esportazioni verso Repubblica Popolare e Hong Kong. La rassegna settimanale con le notizie da Taipei (e dintorni) a cura di Lorenzo Lamperti
La prima volta era stata nel 1985, poco dopo aver esordito alla presidenza del Nicaragua. La seconda volta è arrivata in concomitanza con il summit per la democrazia di Joe Biden. Daniel Ortega l’ha fatto di nuovo: ha rotto le relazioni diplomatiche con la Repubblica di Cina (Taiwan) e le ha avviate con la Repubblica Popolare Cinese. Eppure dal suo ritorno al potere nel 2007 aveva incontrato l’ex presidente taiwanese Ma Ying-jeou e aveva proseguito l’accordo di libero scambio riavviato nel 1990 dalla sua temporanea erede Violeta Barrios Torres de Chamorro. «La Repubblica Popolare Cinese è il solo governo legittimo che rappresenta tutta la Cina e Taiwan è una indiscutibile parte del territorio cinese», dice ora il ministero degli Esteri del Nicaragua, i cui funzionari hanno subito incontrato controparti cinesi a Tianjin.
Per la Cina si tratta di un risultato simbolico, vista l’insofferenza per l’invito di Taiwan al summit di Biden. Eppure non è stata coinvolta Tsai Ing-wen, come sperava Taipei, ma la ministra per il Digitale Audrey Tang. Negli scorsi mesi si era trattato sulla partecipazione della presidente taiwanese, ipotesi alla quale il Global Times aveva risposto invitando l’Esercito popolare di liberazione a sorvolare il territorio dell’isola. Gli Stati Uniti hanno criticato la scelta del Nicaragua, con l’invito alle democrazie di «procedere in senso contrario e approfondire i legami con Taiwan». D’altronde, i rapporti tra Washington e Managua sono compromessi. Dopo le presidenziali del 7 novembre vinte da Ortega con diversi candidati d’opposizione in manette, la Casa Bianca ha imposto il divieto d’ingresso negli Usa a gran parte degli esponenti di governo.
L’Organizzazione degli stati americani ha avviato l’iter per l’espulsione di Managua, che ha annunciato a sua volta la fuoriuscita per le «ripetute ingerenze negli affari interni del Nicaragua» di un’organizzazione definita «ostaggio di Washington». Segnali di insofferenza diffusa in una regione, l’America centrale, dove Taiwan ha perso negli ultimi anni anche El Salvador e Panama, con l’Honduras della neo presidente Xiomara Castro che aveva detto di voler compiere la stessa scelta, salvo poi rallentare. Ma Xiaoguang, portavoce dell’Ufficio di Pechino per gli Affari di Taiwan ha esortato «i pochissimi alleati diplomatici» di Taipei a «schierarsi dal lato giusto della storia il prima possibile», definendo la «completa riunificazione» una «tendenza storica inarrestabile». Il ministero degli Esteri sostiene che si tratti di una «decisione politica senza prerequisiti economici, non una merce di scambio». Tsai ha risposto che «nessuna pressione esterna può scuotere il nostro impegno per la libertà, i diritti umani e la collaborazione con la comunità democratica internazionale». Anche il Guomindang di Eric Chu è intervenuto sulla vicenda, criticando anche Pechino per la “campagna acquisti” diplomatica.
La narrativa dei like-minded partner
Nonostante si tratti dell’ottavo alleato perso dall’avvento di Tsai nel 2016, a Taiwan c’è anche chi si felicita per la rottura dei rapporti con Managua. Taipei propone infatti da tempo la narrativa dei cosiddetti like-minded partner, vale a dire democrazie con lo stesso approccio aperto politicamente e progressista in materia di diritti civili. Descrizione inappropriata per il Nicaragua, dove dal 2018 le proteste sono state represse nel sangue con centinaia di morti e arresti. Nonostante questo gli investimenti taiwanesi non si erano fermati, seppure un finanziamento da 100 milioni di dollari predisposto nel 2019 non sia mai stato incassato. Non è l’unico dei 14 alleati rimasti a rappresentare motivo di imbarazzo.
Non a caso il Taipei Times preferisce sottolineare il rafforzamento delle relazioni con i partner non ufficiali come Usa e Giappone. A proposito di Giappone, le recenti parole dell’ex primo ministro Abe Shinzo e l’accantonamento della tradizionale timidezza diplomatica di Tokyo sui dossier più delicati riguardanti Pechino stanno creando una tensione particolarmente alta con il tradizionale rivale cinese. Con la possibilità che i rapporti bilaterali entrino in una nuova fase di crisi come quella antecedente all’arrivo dello stesso Abe e di Xi Jinping, che portò a un lungo disgelo che avrebbe dovuto sfociare nella nuova era del 2020, col viaggio programmato di Xi rinviato e poi cancellato a causa del Covid.
A proposito di alleati presenti o passati. Per restare all’America centrale, il Belize ha riaffermato la forza dei rapporti con Taipei. Nel Pacifico meridionale, invece, il primo ministro delle Isole Salomone Manasseh Sogavare, fautore della rottura con Taiwan (che nega il coinvolgimento nelle rivolte partite dalla provincia di Malaita) e del passaggio dalla parte della Repubblica Popolare, ha passato indenne il voto di sfiducia in parlamento (ne ho scritto qui). E attenzione alle Isole Marshall, il cui rapporto con Washington è ai minimi.
Pressioni militari e invasioni (di rospi)
Sempre in concomitanza del summit di Biden, Pechino non si è limitata a sottrarre un nuovo alleato a Taipei. Alla stretta diplomatica si sono accompagnate nuove pressioni militari. Mentre Managua annunciava il cambio di campo, 13 aerei militari dell’Esercito popolare di liberazione sono stati inviati nella parte sudoccidentale e sudorientale della cosiddetta zona di identificazione della difesa aerea. All’incursione a hanno partecipato anche due bombardieri H-6, sei caccia J-16 e due caccia J-10.
Pechino continua a dotarsi di nuovi mezzi militari per poter completare un’eventuale invasione, come la sua prima nave anfibia d’assalto. Ma una guerra con Taiwan sarebbe una grande e rischiosa scommessa per Xi, come scrive Bloomberg. Il Global Times sostiene che una finestra di maggiori opportunità ci potrebbe essere tra 3-5 anni. Non a caso dopo il ventesimo Congresso del Partito comunista e l’anno elettorale del 2024, dove si vota sia a Taiwan sia negli Stati Uniti per le presidenziali.
Antony Blinken avverte che qualsiasi tentativo di invasione avrebbe “terribili conseguenze”, mentre i media conservatori statunitensi accomunano le vicende di Ucraina e Taiwan. Se Biden facesse delle concessioni a Mosca su Kiev ci sarebbero ripercussioni sulla fiducia di Taipei e in generale dei partner asiatici e non, già messa alla prova dopo la vicenda afgana.
Per ora l’unica invasione a Taiwan è quella dei rospi.
Per approfondire aspetti difensivi e strategici, si segnala un’analisi di War on the Rocks a proposito della nuova strategia difensiva di Taiwan.
Commercio con gli Usa e semiconduttori. Decoupling? Export record di Taipei verso Pechino e Hong Kong
Proseguono i colloqui tra Taiwan e Stati Uniti per istituire un nuovo quadro commerciale. Il segretario al commercio degli Stati Uniti Gina Raimondo ha tenuto una videoconferenza con il ministro dell’economia taiwanese Wang Mei-hua per discutere l’importanza della relazione commerciale e d’investimento USA-Taiwan. I due “hanno concordato di cooperare attraverso un nuovo quadro di collaborazione per il commercio e gli investimenti tecnologici (TTIC)”, ha detto l’AIT. Obiettivo: la creazione di una catena di approvvigionamento sui chip che escluda la Repubblica Popolare.
La realtà, però, è più complicata. Oltre alle recenti incomprensioni tra Tsmc e Intel, di cui abbiamo parlato di recente, da sottolineare che la cinese Oppo sta per lanciare i suoi nuovi chip realizzati anche grazie alla cooperazione con il colosso taiwanese. Insomma, il tanto chiacchierato decoupling non c’è ancora. Nemmeno sul fronte tecnologico, nemmeno intrastretto.
A testimoniarlo i dati sulle esportazioni di Taiwan verso la Repubblica Popolare e Hong Kong, che a novembre hanno totalizzato 17,14 miliardi di dollari, con un incremento del 18,9 per cento su base annua. Le esportazioni intrastretto hanno rappresentato il 41,2 per cento del totale registrato il mese scorso. Durante i primi undici mesi dell’anno, le esportazioni dell’isola verso la Cina continentale e Hong Kong hanno raggiunto un record di 171,81 miliardi di dollari, mentre le importazioni hanno totalizzato 76,49 miliardi di dollari.
Di certo, c’è che la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina ha portato grossi vantaggi all’export tech di Taiwan.
Relazioni con partner non ufficiali
Si è completata la visita di una delegazione numerosa e di alto livello della Slovacchia a Taipei. Nei prossimi giorni tocca a una nuova delegazione francese.
Intanto, si tratta per l’apertura di uno stabilimento di Tsmc in Germania.
Sui chip, prosegue la collaborazione tra Foxconn e Stellantis.
La Lituania sta iniziando a subire le conseguenze commerciali della crisi diplomatica con Pechino, con i media di stato di Pechino che se la prendono con l’Unione europea per l’appoggio a Vilnius.
Presentata ITASEA, la neonata associazione di cooperazione scientifico-tecnologica tra Italia e Taiwan in un convegno organizzato dall’Ufficio italiano di promozione economica, commerciale e culturale a Taipei, dall’Ufficio di Rappresentanza di Taipei in Italia, dall’Università dell’Aquila e dal ministero taiwanese di Scienza e Tecnologia.
Altre cose
Il colosso dei pagamenti mobili Line Pay ha annunciato di aver divulgato involontariamente i dati di 70mila utenti taiwanesi all’inizio dell’anno. La perdita delle informazioni sarebbe avvenuta quanto un dipendente della casa madre ha erroneamente caricato i dati dei clienti sulla piattaforma di sviluppo software GitHub.
Confermati i primi casi di variante Omicron a Taiwan, tutti importati dall’estero. Primo caso locale dopo 35 giorni di zero contagi che potrebbe essere stato originato da un morso di topo in un laboratorio di biosicurezza di livello 3.
Sabato 18 dicembre in programma il voto referendario a Taiwan con quattro quesiti. I temi: la riapertura di una centrale nucleare a New Taipei, la protezione dell’ecosistema marittimo di fronte alla possibilità della produzione di gas naturale liquefatto a Taoyuan, l’importazione di carne di maiale dagli Stati Uniti e infine la possibile inclusione dei futuri referendum nell’election day politico. Ci torniamo nei prossimi giorni nel dettaglio.
Di Lorenzo Lamperti
Le puntate precedenti di Taiwan Files
04.12 – Salomone, Honduras, Abe, Summit for Democracy, effetti delle sanzioni Pcc
27.11 – Kinmen, arcipelago sospeso. Reportage
20.11 – Vecchi amici, alternanze “strategiche” e un po’ di confusione
13.11 – Che cosa pensa Taiwan
06.11 – Sanzioni più “forti” degli aerei, tour Ue, Michelle Wu
30.10 – Ipac a Roma, Wu in Ue, Tsai alla Cnn, Tsmc-Oppo
23.10 – La chiarezza di Biden, rapporti con l’Ue, semiconduttori
16.10 – Incendio a Kaohsiung, 10/10, strategia militare (e non), Harvard
09.10 – Aerei, marines, feste nazionali e incroci diplomatici
02.10 – Eric Chu, movimenti militari, rapporti con l’Ue e chip
25.09 – Elezioni Guomindang, CPTPP, francesi a Taipei
18.09 – Moon Festival, wargames, Pacifico, chip e spazio
11.09 – Super tifoni, venti militari, brezze elettorali e aliti di storia
04.09 – Sicurezza, budget militare, Europa, M5s e fantasmi
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.