Dal transito delle navi Usa sullo Stretto al pacchetto di armi da 1,1 miliardi di Biden, passando per l’abbattimento del drone su Kinmen e la “cancellazione” della “linea mediana”, semiconduttori e Boeing, energia e demografia. Con qualche voce sul XX Congresso. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
Due navi da guerra americane in transito sullo Stretto, un drone abbattuto a Kinmen (qui un mio reportage di qualche mese fa dal piccolo arcipelago giusto di fronte a Xiamen), un nuovo pacchetto di armi da 1,1 miliardi appena annunciato dall’amministrazione Biden con destinazione Taipei. A un mese esatto di distanza dalla visita di Nancy Pelosi (qui lo speciale di Taiwan Files con mega recap), la situazione sullo Stetto di Taiwan continua a restare tesa. Ripercorriamola cronologicamente.
Il transito delle navi da guerra Usa
Domenica 27 agosto due incrociatori hanno condotto un passaggio “di routine“, ha spiegato la marina americana, attraverso “un corridoio nello Stretto che si trova al di là del mare territoriale di qualsiasi Stato costiero”. Dimostrando “l’impegno per un Indo-Pacifico libero e aperto”. È il quinto transito nel 2022, ma il primo dopo la visita di Nancy Pelosi a Taipei e le vaste esercitazioni militari cinesi intorno all’isola. La mossa ribadisce l’impegno di Washington nella regione a entrambe le sponde dello Stretto ed era stata preannunciata nelle scorse settimane da Antony Blinken. L’influente analista cinese Da Wei mi aveva detto in un’intervista per La Stampa che “gli Usa hanno diritto” al transito “e non c’è ragione che Blinken sottolinei che le navi continueranno ad attraversare lo Stretto come se in precedenza la Cina non lo avesse permesso”.
Secondo il diritto internazionale, le acque territoriali si estendono per 12 miglia nautiche dalle coste e il passaggio è largo 180 chilometri (circa 97 miglia) ma di recente il governo cinese ha reiterato le sue rivendicazioni sullo Stretto e interpreta l’azione Usa come una sfida. L’Esercito popolare di liberazione ha fatto sapere che le sue truppe “sono in massima allerta e pronte a sventare ogni provocazione in qualsiasi momento”. E intanto continua a operare intorno a Taiwan. Anche ieri il ministro della Difesa di Taipei ha segnalato 23 aerei e 9 navi cinesi al largo delle coste taiwanesi, con 7 jet che hanno oltrepassato la “linea mediana”, il confine non ufficiale non riconosciuto ma rispettato da Pechino fino a un mese fa. Condotte anche nuove esercitazioni a fuoco vivo al largo del Fujian, la provincia di fronte a Taiwan.
“Nel 1996 avevano mandato un grande contingente della flotta del Pacifico, stavolta due incrociatori con le armi disattivate”. Tra i taiwanesi c’è chi esprime sui social qualche perplessità sulla reazione degli Stati Uniti a quella che molti definiscono “quarta crisi sullo Stretto”. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian ha definito la mossa degli Usa una “provocazione” e “un deliberato sabotaggio della pace e della stabilità regionale”. “Col pretesto della libertà di navigazione, le navi da guerra statunitensi esibiscono la loro forza”. Ma i media cinesi snobbano la manovra. Il People’s Daily, edizione in inglese del Quotidiano del Popolo, definisce le due navi “vecchie” e ritiene che non rappresentino un deterrente per un’eventuale invasione di Taiwan. “Se la marina degli Usa vuole scoraggiare l’Esercito popolare di liberazione, navigare attraverso lo Stretto è in realtà inutile e privo di significato” si legge nell’articolo.
Come sottolinea l’Economist, la reazione di Pechino è stata piuttosto low profile e tutto lascia intendere che nessuna delle due parti voglia un conflitto. Secondo il settimanale britannico, una Pechino più debole (economicamente e politicamente) sarebbe più pericolosa a livello militare di una Pechino più forte. Osservazione che qui abbiamo fatto diverse volte, ricordando anche però che sarebbe pericolosa per Taiwan anche una Pechino talmente forte e talmente sicura che gli Usa non interverrebbero da poter optare per un’azione militare.
Non solo lo Stretto è affollato, anche Taipei. Si è appena conclusa la visita di Marsha Blackburn, la terza a livello congressuale in meno di un mese. La senatrice repubblicana ha detto di voler “continuare ad aiutare e sostenere Taiwan nel suo cammino verso l’indipendenza”, alimentando i timori di Pechino sulla volontà Usa di cambiare lo status quo. Taiwan è indipendente de facto come Repubblica di Cina e la presidente Tsai Ing-wen non è intenzionata a dichiarare l’indipendenza formale. Blackburn ha fatto storcere il naso anche a molti taiwanesi, facendosi fotografare di fronte al memoriale dell’ex presidente Chiang Kai-shek, ricordato da buona parte dell’opinione pubblica come un dittatore.
Enjoyed my visit to National Chiang Kai-shek Memorial Hall in Taipei that remembers the work of President Chiang Kai-shek. pic.twitter.com/73t54jFud1
— Sen. Marsha Blackburn (@MarshaBlackburn) August 27, 2022
Questa è una componente che sfugge a molti, anzi moltissimi: Chiang arrivò a Taiwan nel 1949 insieme al Guomindang dopo aver perso la guerra civile contro Mao Zedong. Cancellò ogni opposizione, soffocò nel sangue le proteste e impose la legge marziale che durò fino al 1987 (fino al 1992 nelle Matsu). Col suo atteggiamento nei confronti dei benshengren (taiwanesi di etnia han che hanno vissuto la colonizzazione giapponese), ha contibuito a rafforzare un sentimento identitario taiwanese ulteriormente rafforzato negli ultimi anni dalle politiche muscolari di Pechino e da generazioni più giovani che hanno conosciuto una Taiwan solo democratica. Il Guomindang ha apprezzato il tweet di Blackburn.
In attesa di quella di Mike Pompeo il prossimo 27 settembre (la seconda in sei mesi), Taipei ha annunciato l’invio di una delegazione bipartisan a Washington a metà del mese prossimo. Ma prevedibili anche altre delegazioni americane in previsione del midterm. Non sempre, come nel caso di Blackburn, l’interesse sembra concentrarsi su Taiwan ma piuttosto proprio sull’appuntamento elettorale. Alla guida ci sarà il deputato del Guomindang Chen Yixin, a conferma del tentativo del principale partito d’opposizione di riaffermarsi come interlocutore sia per gli Usa sia per Pechino, considerando il viaggio appena concluso di una sua delegazione in Cina continentale.
Su Taiwan rompe il silenzio anche l’India
Sul dossier taiwanese è intervenuta per la prima volta anche l’India (ne ho scritto qui), che finora non aveva criticato le esercitazioni militari ma nemmeno reiterato la politica dell’unica Cina come invece aveva richiesto la Repubblica Popolare. Nuova Delhi ha accusato Pechino di “militarizzazione dello Stretto”. Ed è proprio quello indiano che rischia di diventare un altro fronte caldo per la Cina. La critica è arrivata non a caso dall’Alta commissione indiana nello Sri Lanka, paese conteso tra i due giganti asiatici. Un paio di settimane fa la nave cinese Yuang Wang 5 ha attraccato nel porto di Hambantota. L’India si è molto lamentata, sostenendo che l’imbarcazione fa parte di un gruppo di mezzi che monitorano i lanci di satelliti, razzi e missili balistici intercontinentali. La Yuan Wang 5 è ripartita una settimana fa, ma nei giorni scorsi l’ambasciata cinese a Colombo ha accusato l’India di usare le preoccupazioni per la sicurezza per “interferire sulla sovranità e l’indipendenza dello Sri Lanka”. L’India ha da sempre una politica estera indipendente e non allineata. Corteggiata dagli Usa che la ritengono la pedina chiave per contenere la Cina in Asia, resta vicina alla Russia. Fa parte sia dei Brics sia del Quad, partecipa a esercitazioni militari sia con Mosca sia con Washington. A mantenere viva la tensione con Pechino la questione irrisolta del confine conteso, dove nel 2020 violenti scontri tra i due eserciti hanno provocato diversi morti. Nelle ultime settimane, Nuova Delhi ha “schierato” nel Ladakh il Dalai Lama. E a ottobre sono in programma test congiunti India-Usa a circa 50 chilometri dal confine. Test che il ministero della Difesa cinese ha definito “illegittimi”.
India che intanto partecipa però alle esercitazioni Vostok 2022 organizzate ogni quattro anni dalla Russia nell’Estremo Oriente del suo territorio. Nuova Delhi non ha pubblicizzato molto la sua presenza, ma il suo legame commerciale e militare con Mosca è di vecchia data e resiste al pressing Usa e alle tensioni con la Cina. Anche Pechino a sua volta partecipa con esercitazioni navali congiunte nel mar del Giappone.
Sui media cinesi, nel frattempo, si criticano i nuovi aiuti militari di Joe Biden a Kiev e si ritiene l’invasione russa il risultato “dell’espansionismo Nato”. La stessa retorica utilizzata su Taiwan. Ieri il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian, ha definito il passaggio delle navi Usa nello Stretto “una provocazione” e “un deliberato sabotaggio della pace e della stabilità regionale”. Nelle stesse ore si sono mossi al largo di Taiwan 8 navi e 37 aerei cinesi, di cui 12 oltre la “linea mediana”, non riconosciuta e violata su base quotidiana nel “new normal” post Pelosi. Nuova era nella quale Xi Jinping vuole mantenere il controllo sull’esercito.
Le armi Usa e i precedenti ritardi
Dopo il transito delle due navi da guerra, dal valore prettamente simbolico, ecco le armi. L’amministrazione Biden intende chiedere al Congresso degli Stati Uniti di approvare la vendita di armi a Taiwan per un valore stimato di 1,1 miliardi di dollari. Il pacchetto, comprende secondo Politico e Cnn 60 missili antinave, 100 missili tattici aria-aria che armeranno i caccia F-16 di Taipei made in Usa, più l’estensione del contratto per i radar di sorveglianza. I missili sono il tipo di armi di cui Taiwan sente di avere più bisogno, nell’ipotesi di un’invasione su larga scala o di un blocco navale. L’offerta a stelle e strisce arriva in risposta alla proposta di budget 2023 avanzata da Taipei, che prevede un aumento del 14% per le spese militari, ben sopra le attese. Per il via libera ci vorrà tempo: dopo che l’amministrazione avrà formalizzato la notifica serviranno le firme delle commissioni per gli Affari esteri di Camera e Senato (ora in pausa congressuale), e del presidente stesso, il quale peraltro nelle scorse settimane si è mosso per moderare il nuovo Taiwan Policy Act che prevede un innalzamento del livello delle relazioni tra Washington e Taipei. Come prevedibile, la Cina protesta. Il portavoce dell’ambasciata a Washington ha chiesto agli Usa di “fermarsi”. La vendita di armi è uno degli aspetti più sensibili del dossier taiwanese, sul quale Pechino è convinta gli Usa non abbiano rispettato i patti. Washington sostiene invece che si tratti di una mossa a tutela dello status quo, vista la postura sempre più muscolare della Repubblica Popolare.
Ma attenzione ai ritardi, perché poi le armi vanno anche consegnate. E i precedenti non sempre lasciano tranquilli i taiwanesi. Per esempio, proprio venerdì Focus Taiwan ha reso noto che la consegna di quattro droni MQ-9B “SeaGuardian” e dei sistemi accessori acquistati da Taiwan dagli Stati Uniti dovrebbe essere completata entro la fine del 2029, con circa un anno di ritardo rispetto al previsto, secondo un avviso pubblico sul pacchetto. L’avviso, pubblicato il 30 agosto sul Government e-Procurement System, indica che i quattro droni e i sistemi ausiliari costeranno 16,8 miliardi di dollari taiwanesi (549,56 milioni di dollari) e che il periodo di acquisto va dal 24 agosto 2022, data della firma del contratto, al 31 dicembre 2029. Un rapporto dei media aveva precedentemente indicato che Taiwan e gli Stati Uniti avevano concordato una data di completamento del 2028 durante i negoziati all’inizio di quest’anno, ma a quanto pare la situazione è cambiata al momento della firma del contratto.
Droni su Kinmen
In attesa delle armi americane, Taiwan ha iniziato a sfoderare le sue. Martedì sono stati sparati per la prima volta dei colpi di avvertimento contro un drone civile che si muoveva in prossimità di Kinmen, piccolo arcipelago amministrato da Taipei che nel punto più vicino dista solo due chilometri dalla costa del Fujian. Il 16 agosto è stato diffuso un video sui social cinesi nel quale dei soldati taiwanesi cercano di allontanare un drone. Da allora le incursioni su Kinmen sono diventate pressoché regolari, allo scopo di mostrare la vulnerabilità delle difese taiwanesi. Finora l’esercito aveva evitato di aprire il fuoco per non causare incidenti ma nei giorni precedenti il ministero della Difesa aveva avvisato che i velivoli che non risponderanno agli avvertimenti saranno abbattuti, annunciando il lancio di un nuovo sistema anti droni nel 2023. Il rischio di un’escalation, soprattutto se dovesse essere abbattuto un drone militare e non uno civile, aumenta. Proprio lunedì, la presidente Tsai Ing-wen ha dichiarato dalla base dell’aeronautica delle isole Penghu che Taiwan “rimarrà calma” ma che “questo non significa che non adotterà contromisure” alle manovre di Pechino.
Dopo l’anteprima di martedì, il copione si ripete mercoledì. Ma triplicato, con gli spari in aria per disperdere tre droni. Ancora una volta i tre velivoli non armati si stavano muovendo sul piccolo arcipelago di Kinmen, amministrato da Taipei ma di fronte al Fujian cinese. I tre droni civili sono stati segnalati in prossimità dei due isolotti di Dadan e Caoyu e di Lieyu, la più piccola delle due isole abitate di Kinmen e una sorta di “avamposto dell’avamposto” ai tempi delle crisi sullo Stretto d’epoca maoista. Dopo che i soldati taiwanesi hanno esploso i colpi di avvertimento i tre droni si sono allontanati in direzione di Xiamen.
“Non hanno logo, non è possibile identificare né i droni né le loro intenzioni. Quello che si sa è che non portano armi”, mi ha detto un funzionario di Taipei sotto richiesta di anonimato. Prima di martedì c’erano già state 23 incursioni a Kinmen in meno di un mese, dopo la visita di Nancy Pelosi. “All’inizio l’esercito ha mantenuto un atteggiamento molto prudente, considerando anche che i droni non sono armati, per evitare qualsiasi rischio di incidente. Ma il pattern è diventato troppo regolare per non adottare contromisure più serie”, spiega il funzionario, che aggiunge: “Se Pechino ufficializzasse che si tratta di sue operazioni si sarebbe ancora più attenti nell’evitare escalation”.
Un’ambiguità sulla quale l’altra sponda dello Stretto sembra voglia giocare, in accordo con la strategia d’estensione dell’area grigia. Obiettivo: degradare i sistemi di difesa e disturbarne il contingente militare, esercitando pressione psicologica sull’opinione pubblica. E, ovviamente, presentare un rebus sui protocolli di risposta. Un conto cosa sarebbe abbattere un drone civile e un’altra abbatterne uno militare. Anche se in entrambi i casi si rischierebbe di infiammare la parte più nazionalista dell’opinione pubblica della Repubblica Popolare. Tanto che c’è chi teme l’azione di un “cane sciolto” civile volta a stimolare un incidente.
Il volume resta però alto: “Se aerei e navi si avvicineranno oltre le 12 miglia nautiche dalla costa, eserciteremo il diritto all’autodifesa e al contrattacco”, ha detto Lin Wen-Huang, vice capo dello Stato Maggiore di Taiwan. Per ora i mezzi cinesi non sono andati oltre le 24 miglia nautiche e la dichiarazione va contestualizzata: arriva nel primo briefing post Pelosi con la stampa internazionale. Sette navi cinesi addette al trasporto di truppe si stanno intanto spostando dal mar Giallo verso sud. “C’è l’alta possibilità di nuovi test al largo del Fujian o del Guangdong” dice Kuo Yu-jen dell’Institute for National Policy Research. “Più difficile che nell’immediato Taiwan venga di nuovo accerchiata. Non penso sia la priorità per Pechino in questo momento”.
Giovedì, infine, l’abbattimento. Un drone civile non ha risposto alle richieste di cambiare rotta e l’esercito taiwanese di stanza a Kinmen lo ha abbattuto. Pechino accusa Taipei di voler alzare la tensione, ma il premier taiwanese sostiene che si sia trattato di una risposta legittima di fronte alle “provocazioni”.
Ecco che cosa mi ha detto per Taiwan Files Su Tzu-yun, analista dell’Institute for National Defense and Security Research di Taipei che avevo già intervistato qui sulle esercitazioni militari: “Taiwan ha seguito le regole internazionali per rispondere alla vicenda dei droni, visto che il drone abbattuto volava nei nostri cieli e non ha seguito gli avvertimenti dei militari. Il drone abbattuto era civile ma l’esercito taiwanese avrebbe il diritto di abbattere i droni anche se fossero militari qualora entrassero nel nostro spazio”. Secondo Su, “Taiwan ha semplicemente mostrato il proprio diritto di autodifesa, non vuole cercare un conflitto. Credo che non solo Kinmen ma anche Matsu continueranno a essere prese di mira da droni ma non credo che Pechino non opererà una escalation in questo momento”.
Le manovre militari
La pressione di Pechino sullo Stretto si mantiene alta, soprattutto come abbiamo già detto la settimana scorsa si mira a “cancellare” la “linea mediana”. Nell’agosto 2022 si è registrato il maggior numero di aerei che hanno violato lo spazio di identificazione di difesa aerea di Taiwan da quando si è iniziato a monitorare le violazioni. Sono stati monitorati 444 velivoli, il totale più alto è stato registrato nell’ottobre 2021 con 196 velivoli. Il maggior numero di violazioni in un solo giorno questo mese è stato il 5 agosto, con 49 velivoli monitorati. Questo è il secondo numero più alto di violazioni in un solo giorno. Il totale più alto in un solo giorno è di 56 velivoli tracciati il 4 ottobre 2021.
Il mese di agosto ha registrato anche la più alta varietà di aeromobili, con 17 aeromobili diversi tracciati. In precedenza, la varietà maggiore era stata di 14. Il velivolo più comunemente rintracciato nell’ADIZ è stato il caccia SU-30. È la prima volta che il SU-30 viene rintracciato. È la prima volta che il SU-30 è il velivolo più comune. Ad agosto si è registrato anche il maggior numero di giorni in un mese in cui sono state rilevate violazioni dell’ADIZ. I velivoli della PLA hanno violato l’ADIZ di Taiwan ogni giorno in questo mese (31 giorni). Il precedente più ampio è stato quello dell’ottobre 2021 (29 giorni). Ad agosto si è registrato anche il maggior numero di violazioni della linea mediana. La linea mediana è stata violata 28 giorni questo mese, per un totale di 300 aerei. Il totale precedente più alto era di 2 giorni e 22 aeromobili nel settembre 2020. Il totale degli attraversamenti della linea mediana è ora di 31 giorni e 323 aerei. Aggiungendo i dati di questo mese, il numero totale di sortite per il 2022 ad oggi è di 1.069. Il totale approssimativo delle sortite è di 2.433.
Qui tutti i dati.
Il governo di Taiwan e una delegazione di parlamentari giapponesi hanno concordato la scorsa settimana l’avvio di colloqui per un piano di evacuazione dei cittadini giapponesi, nell’eventualità di una invasione militare. Di Taiwan si è parlato anche nell’incontro trilaterale tra i capi della sicurezza nazionale di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud che si sono visti alle Hawaii giovedì.
A proposito di prospettiva cinese, Alessandra Colarizi ha intervistato Victor Gao, interprete di Deng Xiaoping negli anni ‘80. “Quando si valutano i rischi di una guerra va messo in chiaro che Taiwan non ha la stessa importanza per la Cina e per gli Usa. Il governo ha il sostegno di tutto il popolo cinese. Gli Usa hanno molti interessi in giro per il mondo, in Europa e in Medio Oriente. La guerra non è solo aerei, sottomarini, e missili. Ci vuole dedizione”, dice Gao, che sul libro bianco avvisa: “L’ultimo libro bianco serve a riaffermare la determinazione della Cina a perseguire la riunificazione di Taiwan con mezzi pacifici. Ma questo processo non può continuare all’infinito, soprattutto ora che Taiwan sta cercando di cambiare la sostanza del nostro rapporto con l’appoggio statunitense. Nel policy paper è scritto chiaramente che se si riuscirà a riprendere un dialogo fruttuoso la riunificazione avverrà attraverso “un paese due sistemi” e con la concessione di grande livello di autonomia. Ma se la Cina sarà costretta a utilizzare la forza militare, Taiwan non diventerà una regione amministrativa speciale, come Hong Kong. Diventerà una provincia cinese. In questo caso il livello di autonomia sarà chiaramente diverso: Taiwan finirebbe completamente sotto la giurisdizione cinese e le leggi cinesi”. Piuttosto ambiguo invece questo passaggio: “La Cina ha cominciato ad operare a est dell’isola e ad amministrare le cosiddette acque territoriali taiwanesi, mostrando così che nessun paese sarà in grado di intraprendere passaggi ostili”. Pechino infatti non amministra le acque territoriali taiwanesi, né vi è mai entrata coi suoi mezzi durante le esercitazioni militari.
Semiconduttori e Boeing
Proseguono intanto anche le visite, con uno sguardo a semiconduttori: dopo il governatore dell’Indiana è giunto a Taipei quello dell’Arizona, il repubblicano Doug Doucey. Incontrerà Tsai e aziende di semiconduttori. Tsmc, leader mondiale del settore, aprirà uno stabilimento proprio in Arizona nel 2024. Frutto delle precedenti delegazioni l’acquisto di 16 Boeing 787 da parte di China Airlines, compagnia di bandiera taiwanese.
Su Il Venerdì di Repubblica ho scritto un lungo pezzo sull’importanza della Tsmc e sulla figura del suo fondatore Morris Chang. Qui un breve stralcio.
Xi Jinping, Joe Biden, Tsai Ing-wen. Cina, Stati Uniti, Taiwan. Alla lista degli attori di un’estate di tensioni sullo Stretto manca un protagonista: Morris Chang. Anche lui, o forse sarebbe meglio dire soprattutto lui, era presente al Grand Hotel di Taipei nel pranzo tra il gotha del business taiwanese e Nancy Pelosi, la speaker della Camera dei rappresentanti Usa la cui visita a Taipei ha innescato le più vaste esercitazioni militari cinesi di sempre intorno all’isola. Chang, fondatore della Tsmc (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company) chiama l’industria dei semiconduttori una “catena montuosa sacra” che protegge Taiwan. I microchip, alla base di tutto quanto è elettronico, sono il suo “petrolio”.
Il colosso con quartier generale a Hsinchu controlla da solo oltre il 53% del mercato globale di fabbricazione e assemblaggio di semiconduttori. Sì, globale. Tanto per intenderci, il primo competitor è la sudcoreana Samsung col 16,3% del mercato. Contando gli altri player taiwanesi si arriva circa al 66%. Il dominio è ancora più esteso dal punto di vista qualitativo: i produttori taiwanesi detengono il 92% della manifattura di chip sotto i dieci nanometri. Dagli smartphone ai computer, dalle auto ai jet militari: circa due miliardi e mezzo di persone utilizzano ogni giorno dispositivi contenenti microchip prodotti dalla Tsmc. Chang, che l’ha fondata nel 1987, si sovrappone in qualche modo a tutti e tre i lati del triangolo scomposto Cina-Usa-Taiwan. È nato nel 1931 a Ningbo, città dell’odierna provincia cinese dello Zhejiang, quando la Cina era Repubblica di Cina (ancora oggi il nome ufficiale con cui Taiwan è indipendente de facto). Nel 1949, poco prima della fine della guerra civile e della fondazione della Repubblica Popolare Cinese di Mao Zedong, va a studiare ad Harvard e al Massachusetts Institute of Technology per poi iniziare la sua carriera nel settore dei semiconduttori in Texas. Poi, alla metà degli anni Ottanta, il suo avvento taiwanese dove ha dato vita grazie a un business innovativo a un colosso che non solo governa il settore dei semiconduttori mondiale ma ricopre anche un ruolo di attore protagonista in merito alle tensioni sullo Stretto. (Continua su il Venerdì del 2/9).
Due spine sul futuro di Taiwan: energia e demografia
Voci sul XX Congresso e potenziamento della flotta
Secondo indiscrezioni che ho raccolto, sarebbe proprio la presidenza della Commissione militare centrale che Xi sarebbe meno intenzionato a cedere anche nel caso lasciasse una delle tre posizioni apicali (che includono anche la segretaria generale del Partito comunista e la presidenza della Repubblica Popolare Cinese) al XX Congresso. Non a caso è stato appena pubblicato un libro sul pensiero di Xi sul rafforzamento delle forze armate. Segnale che nel suo terzo mandato il nuovo timoniere non si tirerebbe indietro se fosse costretto a salpare acque tempestose.
D’altronde il potenziamento della flotta navale prosegue a spron battuto: ne ho scritto qui, con riflessioni anche su Taiwan.
Già, perché mancano solo 45 giorni al XX Congresso in cui Xi Jinping dovrebbe ricevere il terzo mandato e potrebbe anche mantenere tutte le cariche. Secondo le ultime indiscrezioni giunte a Taipei, potrebbe aprirsi uno spiraglio per la permanenza nel Politburo di Li Keqiang, che da premier potrebbe passare alla presidenza del comitato permanente dell’Assemblea nazionale del Popolo al posto di Li Zhanshu. Wang Yang e Hu Chunhua papabili premier, col primo che sarebbe al momento favorito.
In breve
Due letture: William Yang sulla difesa civile taiwanese e Helen Davidson sui taiwanesi pro (ri)unificazione.
L’ex vice presidente di Taiwan Chen Chien-jen è a Roma per partecipare alla cerimonia di beatificazione di Albino Luciani, proclamato papa con il nome di Giovanni Paolo I. Il Vaticano, come confermato dal segretario di Stato della Santa Sede Pietro Parolin, si prepara intanto a rinnovare l’accordo con Pechino sulla nomina dei vescovi.
Di Lorenzo Lamperti
Taiwan Files 26.08.22 – 24 miglia nautiche
Puntata speciale recap 16.08.22 – Il nuovo status quo
Taiwan Files 05.08.22 – Voci da Taipei
Taiwan Files 02.08.22 – Il giorno di Pelosi
Taiwan Files 30.07.22 – Pelosi a Taiwan: questione “di faccia”
Taiwan Files 28.07.22 – Pelosi, Biden, Xi, Pelosi e il test di Rorschach
Taiwan Files 20.07.22 – Nancy Pelosi a Taipei? Significato e possibili conseguenze
Taiwan Files 13.07.22 – L’omicidio di Abe visto da Taipei
Taiwan Files 06.07.22 – “Il cielo ora sembra limpido”
Taiwan Files 25.06.22 – Ponti e portaerei
Taiwan Files 11.06.22 – Guomindang-Usa, Austin-Wei, caso “fact sheet”, manovre giapponesi
Taiwan Files 1.06.22 – Chen Shui-bian, manovre militari, Top Gun
Taiwan Files 27.05.22 – Tra ambiguità e chiarezza, Kinmen e Matsu
Taiwan Files 19.05.22 – La sparatoria in California e Taiwan/Repubblica di Cina
Taiwan Files 14.05.22 – Status quo, documenti e bersagli, Oms, semiconduttori
Taiwan Files 07.05.22 – Covid, Chu negli Usa, armi, Nato/Quad, diritti
Taiwan Files 30.04.22 – Tra Isole Matsu e la storia di Wu Rwei-ren
Taiwan Files 23.04.22 – Lezioni ucraine
Taiwan Files 16.04.22 – Negoziazioni, giustificazioni, esercitazioni
Taiwan Files 09.04.22 – Tra Lee Teng-hui e Nancy Pelosi
Taiwan Files 02.04.22 – Tsunami e cambiamento climatico
Taiwan Files 19.03.22 – Biden/Xi, manovre militari e normative
Taiwan Files 07.03.22 – Pompeo a Taipei e Taiwan nella “nuova era”
Taiwan Files 28.02.22 – Taipei non è Kiev, neanche post invasione russa
Taiwan Files 19.02.22 – La prospettiva taiwanese sull’Ucraina
Taiwan Files 12.02.22 – Pechino vista da Taipei
Taiwan Files 05.02.22 – Le Olimpiadi secondo Taiwan
Taiwan Files 29.01.22 – La Cina osserva la Russia in Ucraina, ma Taipei non è Kiev
Taiwan Files 22.01.22 – Il multiverso di Taiwan. Intervista ad Audrey Tang
Taiwan Files 15.01.22 – Commercio, sicurezza nazionale, sondaggi Chengchi, chip, diritti civili
Taiwan Files 08.01.22 – Arcobaleni, zero Covid, estradizioni, Xi/Tsai
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Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.