La visita del vicepresidente taiwanese a Tokyo e il suo significato. L’impatto dell’omicidio dell’ex premier giapponese su Taipei. L’incontro tra Wang Yi e Antony Blinken a Bali, le manovre militari e le navi russe al largo di Taiwan, “il framework per la riunificazione” e Liu Jieyi favorito per diventare ministro degli Esteri. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
William Lai non è solo il vicepresidente di Taiwan. E’ il più che probabile candidato alle presidenziali del 2024 del Dpp. Ma è anche l’ideale punto di riferimento di una componente radicale dello stesso partito di maggioranza dal 2016. Certo molto più radicale di Tsai Ing-wen, l’attuale presidente. Tsai, come spiegato più volte, è una figura centrista all’interno del panorama taiwanese. Questo nonostante spesso si usi in maniera non corretta il termine di “indipendentista” in riferimento a lei. Tsai è in linea con la “teoria dei due stati” di Lee Teng-hui, il primo presidente democraticamente eletto a Taiwan, nel 1996. E primo presidente nato sull’isola principale del territorio amministrato dalla Repubblica di Cina: il secondo stato, appunto. Questo non rende Tsai una indipendentista, ma una figura di garanzia che asserisce l’indipendenza de facto della Repubblica di Cina, senza cercare quella come Repubblica di Taiwan.
Lai ha invece espresso in passato più volte opinioni che potrebbero rientrare nell’alveo dell’indipendentismo, perché fautrici di un distacco non solo politico e statuale dalla Repubblica Popolare Cinese (che è, appunto, de facto dal 1949 cioè da quando la stessa Repubblica Popolare è stata fondata) ma anche identitario, culturale, nominale. All’inizio del 2019 il Dpp era in enorme difficoltà. Aveva perso fragorosamente le elezioni locali di fine 2018 e Tsai aveva fatto un passo indietro dalla leadership del partito. In molti ritenevano che non si sarebbe nemmeno candidata per un secondo mandato alle presidenziali del 2020. A un certo punto la scissione non sembrava un’ipotesi così lontana tra il cuore del partito che si strinse attorno a Tsai (anche dopo gli effetti collaterali del durissimo discorso di inizio anno di Xi Jinping) e la fazione guidata proprio da Lai.
La sua vicepresidenza attuale è frutto di un sostanziale compromesso che ha suggellato la ricomposizione della frattura interna al Dpp. In questa prima metà e spiccioli di secondo mandato di Tsai, Lai ha sfumato molto le sue posizioni radicali, seguendo l’esempio della presidente. L’opinione pubblica taiwanese, gli Stati Uniti, la Repubblica Popolare e lo stesso Dpp non hanno comunque, ovviamente, dimenticato. Tanto che il Guomindang, come raccontato di recente per ISPI, intravede la possibilità di inserirsi e rilanciarsi in vista del cruciale voto del 2024.
Una premessa importante per capire la portata del viaggio di Lai a Tokyo per rendere omaggio ad Abe Shinzo, l’ex premier del Giappone ucciso in un attentato venerdì scorso (dell’attentato ho scritto parecchio negli ultimi giorni, per esempio qui). Si tratta peraltro della visita dell’ufficiale taiwanese più alto in grado dal 1972, quando si ruppero i rapporti diplomatici ufficiali tra Giappone e Repubblica di Cina. Secondo i media giapponesi, Lai ha offerto le sue condoglianze alla famiglia di Abe nella casa del defunto leader ed è stato accompagnato da Frank Hsieh, ambasciatore de facto di Taipei in Giappone.
L’Ufficio presidenziale di Taiwan non ha commentato la visita di Lai, ma ha dichiarato che Lai era amico di Abe da “molti anni ed è triste nell’apprendere della sua morte”. Kuo Kuo-wen, a capo del Gruppo parlamentare di amicizia per l’Asia orientale della legislatura taiwanese, ha però dichiarato che il viaggio rappresenta una “svolta diplomatica”. A Taipei sono state poste le bandiere a mezz’asta. Abe era considerato l’alleato più fidato: lo scorso anno si era fatto ritrarre con ananas taiwanesi dopo l’embargo di Pechino e poche settimane fa aveva invitato Biden ad abbandonare l’ambiguità strategica sullo Stretto. La sua morte rappresenta per i taiwanesi uno choc per certi versi persino maggiore dell’invasione russa dell’Ucraina (ne ho scritto qui). Lo choc non è solo politico e diplomatico, ma anche culturale: per i taiwanesi il Giappone è la meta di viaggio preferita ed è un esempio osservato con attenzione e celebrato anche per la sua sicurezza. L’omicidio di Abe rimette in discussione un po’ tutto, come ho raccontato su Radio Radicale ospite di Francesco Radicioni.
Il ministero degli Esteri cinese ha dichiarato che la sua ambasciata in Giappone ha presentato “severe rimostranze” al governo di Tokyo in merito alla partecipazione di Lai ai funerali dell’ex primo ministro.
Cordoglio istituzionale, esultanza nazionalista, critica strategica. La Cina ha reagito con un triplice approccio all’omicidio di Abe. Uno portato avanti dal governo, uno dai netizens e uno dai media di Stato. Con qualche incursione di voci fuori dal coro tripartito. Ne ho scritto su Wired.
L’incontro tra Wang Yi e Antony Blinken
A margine del summit dei ministri degli Esteri del G20 a Bali, si sono incontrati il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e il segretario di Stato Usa Antony Blinken. Il dossier più spinoso resta sempre quello di Taiwan, sul quale il massimo risultato raggiungibile dalle due potenze è quello di essere d’accordo sull’essere in disaccordo riportando però la contesa sui traballanti binari dello status quo. Blinken dice di aver espresso «profonde preoccupazioni riguardo all’attività sempre più provocatoria di Pechino nei confronti di Taiwan». Wang ha invece sollecitato gli Usa a smettere di «ostacolare la riunificazione pacifica» e ha ribadito la posizione «rigida» della Cina: «L’America deve essere cauta con le sue parole e azioni» e non deve «sottovalutare la ferma determinazione del popolo cinese a difendere la propria sovranità territoriale». Il solito armamentario retorico di Pechino sul tema. Nel comunicato cinese si legge anche che Blinken ha garantito che l’obiettivo degli Usa non è quello di cambiare lo status quo sullo stretto di Taiwan, né di cercare un regime change nella Repubblica Popolare, lo spauracchio agitato più volte dal predecessore Mike Pompeo. Ne ho scritto qui.
Wang ha osservato che ora si parla di mantenere lo “status quo”, e qual è lo “status quo” della questione di Taiwan? Secondo Wang “i fatti sono evidenti e chiari: le due sponde dello Stretto di Taiwan appartengono a una sola e unica Cina, e Taiwan fa parte del territorio cinese”. Come noto, una concezione diversa di status quo rispetto a quella di Washington e di Taipei.
Le manovre militari e l’imbarazzo di Pechino per le navi russe
Lunedì 11 luglio sono stati identificati nove velivoli in dotazione all’Aeronautica militare di Pechino nello spazio di identificazione di difesa aerea di Taipei. La formazione includeva un aereo da guerra elettronica Y-8, un aereo Y-8 Recce, quattro caccia J-16, due caccia J-10 e un caccia J-11. La sortita s’inserisce nel quadro della visita a Taiwan del senatore Usa Rick Scott, ex governatore della Florida ed esponente del Partito repubblicano, che ha incontrato la Tsai. Le incursioni aeree dell’Esercito popolare di liberazione sono in aumento nel 2022 rispetto al 2021.
L’Haixun 06, la prima nave di grandi dimensioni designata per pattugliare e fornire servizi nello Stretto di Taiwan, è stata ufficialmente assegnata all’Amministrazione per la sicurezza marittima del Fujian; gli esperti cinesi hanno osservato che la messa in servizio della nave “migliorerà ulteriormente il livello di risposta di emergenza agli incidenti nella regione”.
Annunciate le date della seconda fase delle esercitazioni militari Han Kuang. In calendario a Taiwan dal 25 al 29 luglio, sarà incentrata sulla difesa del porto di Taipei da un potenziale attacco di Pechino e su operazioni a fuoco vivo. I reparti testeranno le capacità di contrattacco in risposta a un potenziale assedio dello scalo con elicotteri e caccia cinesi, valutando al contempo le modalità di difesa del fiume Tamsui, situato nei pressi dell’ufficio presidenziale.
Poco prima del summit dei ministri degli Esteri di Bali, invece, Pechino avrebbe osservato con imbarazzo il recente passaggio di tre navi militari russe al largo di Taiwan, dopo una manovra congiunta nei pressi di territori giapponesi. È un inedito. «I russi hanno esagerato», ha detto al South China Morning Post Zhou Chenming dell’Istituto di Scienza e Tecnologia Militare Yuan Wang. “La Cina non vuole che gli americani si avvicinino, né vuole che lo facciano i russi». Avvicinandosi al dossier più delicato per Pechino, Mosca sembra voler far rompere gli indugi all’amico «senza limiti» e forgiare una vera alleanza. La Cina, intanto, parla anche con gli Usa. Ne ho scritto qui.
Liu Jieyi dopo Wang Yi? Un framework per la “riunificazione”
Pechino sta ha delineando un framework per Taiwan, affermando che le tensioni si risolveranno gradualmente con la crescita della forza della Repubblica Popolare. In un articolo pubblicato sul Quotidiano del Popolo, Liu Jieyi, capo dell’Ufficio per gli Affari di Taiwan, ha dichiarato che uno dei punti focali della strategia sarà la prevenzione e la risoluzione dei principali rischi e pericoli nascosti nello Stretto di Taiwan, creando un “ambiente favorevole” per il ringiovanimento nazionale.
“La nostra crescente forza globale e i nostri significativi vantaggi istituzionali continueranno a trasformarsi in efficienza nel lavoro relativo alle questioni di Taiwan e a spingere in avanti il processo di riunificazione nazionale”, ha dichiarato Liu.
Lo stesso Liu sembra ora il favorito per raccogliere l’eredità di Wang Yi al ministero degli Esteri dopo il prossimo XX Congresso del Partito comunista. Col viceministro Le Yucheng demansionato, Liu appare ora il favorito secondo The Straits Times. Lo stesso Wang aveva ricoperto il ruolo di capo dell’Ufficio per gli Affari di Taiwan prima di diventare ministro.
Il vicepresidente del Guomindang Andrew Hsia ha dichiarato che il partito avrà una presenza virtuale al Forum dello Stretto di quest’anno nella Repubblica Popolare, poiché la presenza di persona non è possibile a causa delle attuali norme di prevenzione COVID-19.
Brevi
Quando Samsung Electronics dichiarò che sarebbe diventata la prima fonderia di chip al mondo, lo fece con la sicurezza che ci si poteva aspettare dalla più grande azienda sudcoreana. Tuttavia, tre anni dopo, la principale rivale Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. ha conquistato una quota di mercato maggiore, spingendo Samsung a sostituire diversi dirigenti. Lo racconta Nikkei Asia. Ho scritto varie volte del significato tecnologico, economico, politico e diplomatico dei semiconduttori per Taiwan: per esempio qui.
In occasione degli 80 anni delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica di Cina e la Santa Sede un convegno a Roma ha ripercorso le origini e l’attualità della sua comunità cattolica. Su Asia News l’intervento di p. Gianni Criveller (Pime): “La storia ha portato Taiwan e la Santa Sede a camminare insieme tanti anni. Non si può considerare un mero retaggio del passato da cui liberarsi”.
Di Lorenzo Lamperti
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Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.