Il racconto di Lorenzo Lamperti da Taipei del giorno dell’inaugurazione del nuovo presidente della Repubblica di Cina. Con un’analisi del suo discorso, la voce dell’opposizione e le prime reazioni di Pechino
Un cavallo blu, con criniera e coda arcobaleno, narici fumanti. Il momento piu iconico della cerimonia di inaugurazione del nuovo presidente della Repubblica di Cina (Taiwan), Lai Ching-te, è forse questo. Come spesso accade, sullo sfondo il cielo è grigio dietro al palco costruito di fronte al palazzo presidenziale di Taipei. Su un maxi schermo passano le immagini in diretta dell’interno, con il giuramento di Lai e della vicepresidente Hsiao Bi-khim e il passaggio di consegne con la presidente uscente Tsai Ing-wen. Il contrasto tra l’austera formalità di quanto accade l’interno e il folklore kitsch di quanto si vede all’esterno, non può passare inosservata. Ma il momento clou è il discorso inaugurale di Lai, che nonostante una diffusa opinione secondo cui è in perfetta continuità con Tsai, presenta elementi e soprattutto toni piuttosto diversi. E non sono “solo dettagli”. A Taiwan i dettagli sono tanto, se non tutto, perché piaccia o meno fanno la differenza nella percezione e nella prospettiva di diversi soggetti coinvolti. Intanto, prima del racconto e dell’analisi di quanto accaduto e non accaduto lunedì 20 maggio, per il riassunto delle puntate precedenti con un bilancio della presidenza Tsai e qualche scenario sulla presidenza Lai ecco qui la lunga puntata di Taiwan Files pubblicata domenica 19 maggio.
La cerimonia
Prima cosa. Non è un caso che l’insediamento del nuovo presidente avvenga il 20 maggio, a oltre quattro mesi di distanza dalle elezioni. Il 20 maggio è infatti il giorno in cui, nel 1949, fu imposta la legge marziale da parte del Guomindang (GMD), poi revocata quasi 40 anni dopo, nel marzo 1987. Dopo le prime elezioni libere del 1996, il primo presidente democraticamente eletto Lee Teng-hui prestò giuramento proprio il 20 maggio.
La cerimonia è cominciata poco prima le nove del mattino. Tsai si è inchinata tre volte davanti alla bandiera della Repubblica di Cina, sotto il grande ritratto di Sun Yat-sen, il suo fondatore. Lai ha prestato giuramento indossando una cravatta viola, che secondo i media locali rappresenta una farfalla originaria di Taiwan, e una spilla gialla sul bavero con fiori di senape, una pianta comune nei campi dell’isola. Tra la piccola folla di testimoni presenti al giuramento di Lai c’era Morris Chang, il fondatore di TSMC, il principale fabbricatore e assemblatore di semiconduttori al mondo.
Lai ha poi ricevuto dal presidente dello yuan legislativo, il battagliero Han Kuo-yu del GMD, i sigilli che simboleggiano il suo potere presidenziale. Si tratta del sigillo della Repubblica di Cina e il sigillo d’onore, entrambi portati a Taiwan dopo che l’apparato statale della Repubblica di Cina di Chiang Kai-shek si era rifugiato a Taiwan nel 1949 dopo aver perso la guerra civile cinese contro i comunisti di Mao Zedong.
Al termine del giuramento, Tsai è uscita sul palco per salutare i presenti insieme a Lai e Hsiao, per poi farsi da parte. Presidente e vicepresidente sono rientrati nel palazzo presidenziale per firmare la composizione della squadra di governo e la nomina di altre figure chiave per la sicurezza nazionale. All’esterno, invece, il palco dei dignitari stranieri (tra cui erano presenti anche alcuni leader internazionali dei paesi che ancora riconoscono Taipei, come il re di eSwatini) è stato intrattenuto insieme ai gruppi e cittadini presenti dalle esibizioni organizzate dall’Associazione generale della cultura cinese.
Tanta musica, con cantanti rap e gruppi rock celebri nel mondo dell’intrattenimento taiwanese. E poi tigri, cheerleader, spaventapasseri, costumi di ogni genere, bambini in età prescolare che cantano, uccelli giganti. Soprattutto il cavallo arcobaleno, che rappresenta la forza di procedere di fronte agli ostacoli, con un richiamo ai diritti LGBT che hanno vissuto un momento importante nel 2019 con la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. Un passo che viene fatto spesso coincidere con una scelta dell’amministrazione Tsai, mentre invece è il risultato di una sentenza della Corte costituzionale.
Poco prima delle 11, sono stati sparati 21 colpi di cannone e la banda dell’esercito ha suonato l’inno della Repubblica di Cina, accogliendo Lai e Hsiao di nuovo sul palco. Al termine del discorso di insediamento, durato circa 30 minuti, sul cielo sopra il palazzo presidenziali sono apparsi tre elicotteri con una grande bandiera.
La cena a Tainan
Prima di entrare nel merito del discorso di Lai, un salto in avanti alla cena con gli ospiti stranieri. In tutto un migliaio di presenti al Formosa Yacht Resort di Tainan, come già raccontato città importante per svariati motivi. A partire dal fatto che Lai ne è stato sindaco per due mandati, e proprio da lì ha portato nella capitale diversi fedelissimi. Non solo. Tainan è anche un fortino inespugnabile, col DPP che la governa dal 1997. Ed è storicamente epicentro del sentimento identitario taiwanese, per diverse ragioni storiche tra cui l’esperienza lealista Ming del XVII secolo e quella indipendendista all’alba della colonizzazione giapponese nel XIX. Non è forse un caso che proprio Tainan ospiti un museo della storia di Taiwan, che sottolinea l’alterità storico-culturale dell’isola rispetto alla Cina continentale.
Qual è stato il menu della cena? Secondo il palazzo presidenziale, l’obiettivo dello chef era quello di presentare i sapori e le culture dei cinque principali gruppi presenti a Taiwan: Hoklo, Hakka, waishengren, indigeni e nuovi immigrati. Ricordando che oltre il 90% della popolazione è comunque di etnia Han, ecco la lista dei piatti: selezione di verdure stagionali, involtino di patate dolci Wanli e kumquat (la specialità della città natale di Lai), torta di riso all’artemisia, pollo ubriaco, gamberi in agrodolce. E poi zuppa di pollo con germogli di bambù e ravanello secco, orata, cotoletta di maiale con salsa di prugne, gamberi saltati in padella con riso, dessert, frutta e… bubble tea, che durante la campagna elettorale Lai ha detto di sperare in futuro di bere con Xi Jinping. Difficile che il desiderio si conretizzi.
Il discorso di Lai
“Quando ero giovane, ero determinato a praticare la medicina e a salvare vite umane. Quando sono entrato in politica, ero determinato a trasformare Taiwan. Ora, in piedi qui, sono determinato a rafforzare la nazione”. Questo l’esordio di Lai, che entra subito nella sfera personale e introduce subito il concetto di “nazione”, che rispetto a Tsai affronta immediatamente.
Nel suo discorso, il nuovo presidente ha aperto al dialogo, ma ha anche definito Pechino una minaccia, usando toni molto più accesi di quelli usati da Tsai nel 2016 e nel 2020. “Chiedo alla Cina di interrompere le intimidazioni politiche e militare contro Taiwan e di lavorare insieme a Taiwan per mantenere la pace”. È la richiesta più diretta avanzata a Pechino, insieme a quelle di riconoscere la realtà che Repubblica di Cina e Repubblica Popolare sono due entità separate e non interdipendenti l’una dall’altra. E ancora, quella di rispettare la “volontà della popolazione taiwanese”.
Concetti già espressi in campagna elettorale, ma è molto diverso esplicitarli durante il discorso di insediamento. La parola chiave è status quo, che significa niente unificazione con la Cina continentale e niente indipendenza formale. Ma il discorso di Lai, considerato un “secessionista” da Pechino, ha meno cautele e maggiore afflato retorico rispetto al cauto e strategico grigiore di Tsai. Lai ha dato maggiore enfasi alle differenze che separano Taiwan e Cina continentale. A partire da quelle politiche: Lai ha ripetuto 31 volte la parola “democrazia” e ha promesso un rafforzamento delle relazioni con gli Stati Uniti.
Il nuovo presidente ha aperto al dialogo con il leader cinese Xi Jinping, menzionando possibili accordi su turismo e ricerca. Ma ha aggiunto di non farsi illusioni: “Anche se facessimo compromessi sulla sovranità, il desiderio della Cina di annettere Taiwan non sparirebbe”, ha detto Lai, in un messaggio rivolto all’opposizione taiwanese dialogante con Pechino. Particolarmente significativo il seguente passaggio, che ritengo il piu forte di tutti e quello che a Pechino probabilmente piacerà meno: “Finché ci identifichiamo con Taiwan, Taiwan appartiene a tutti noi – a tutti i popoli di Taiwan, a prescindere dall’etnia e da quando siamo arrivati. Alcuni chiamano questa terra Repubblica di Cina, altri Repubblica di Cina Taiwan, altri ancora Taiwan; ma qualunque di questi nomi noi stessi o i nostri amici internazionali decidiamo di chiamare la nostra nazione, risuoneremo e risplenderemo lo stesso”. Agli occhi di Pechino, un tentativo di desinizzazione e un tentativo di “taiwanesizzare” la cornice della Repubblica di Cina, perseguendo una sorta di indipendenza taiwanese mascherata.
Attenzione perché facendo un attento confronto col discorso del 2016 di Tsai emergono differenze davvero molto rilevanti. Su tutte, l’ex presidente aveva citato indirettamente il “consenso del 1992”, il pomo della discordia che rende impossibile il dialogo tra DPP e Partito comunista perché il primo non lo riconosce e il secondo lo considera la base dell’intesa sull’esistenza di una “unica Cina”, pur concedendo la coda aggiunta dal GMD (“con diverse interpretazioni”) su cui si è basato sin qui lo status quo. Nel discorso del 2016, Tsai non aveva riconosciuto “il consenso del 1992”, ma aveva detto che “farà tesoro e conserverà” la “consapevolezza e comprensione reciproca” alla base dei colloqui tra le due sponde dello Stretto del 1992.
Una frase che allora non bastò a Pechino, che criticò aspramente Tsai e chiuse qualsiasi dialogo politico dopo l’era d’oro dei rapporti con l’amministrazione di Ma Ying-jeou. Certo, la situazione è drasticamente cambiata. Dopo tutto quanto accaduto negli ultimi otto anni, tra pressioni diplomatiche e militari, la visita di Nancy Pelosi e le vaste esercitazioni di Pechino, la normalizzazione delle manovre sullo Stretto e il deterioramento dei rapporti tra Cina e Usa, impossibile aspettarsi che Lai ripetesse le stesse cose di Tsai.
A incidere sui toni molto assertivi di Lai, anche la necessità di “dare qualcosa” alla parte di partito che ha sempre rappresentato. Nella sua prospettiva, già non reclamare l’indipendenza formale è un bilanciamento, dall’altra parte deve però “taiwanesizzare” l’indipendenza de facto. C’è chi obietta che Lai ha citato 12 volte la Repubblica di Cina, mentre nel 2020 Tsai l’aveva citata 5 volte. Vero. Ma la differenza quantitativa dipende anche da una differenza qualitativa. Cioè, Lai ha elaborato ben piu di Tsai il concetto di indipendenza e sovranità.
Altri due passaggi secondo me rilevanti in tal senso. Il primo:
Abbiamo una nazione nella misura in cui abbiamo la sovranità. Proprio nel primo capitolo della nostra Costituzione si legge che “La sovranità della Repubblica di Cina risiede nell’intero corpo dei cittadini” e che “Le persone che possiedono la nazionalità della Repubblica di Cina sono cittadini della Repubblica di Cina”. Questi due articoli ci dicono chiaramente: La Repubblica di Cina e la Repubblica Popolare Cinese non sono subordinate l’una all’altra. Tutto il popolo di Taiwan deve unirsi per salvaguardare la nostra nazione; tutti i nostri partiti politici dovrebbero opporsi all’annessione e proteggere la sovranità; e nessuno dovrebbe pensare di rinunciare alla nostra sovranità nazionale in cambio di potere politico.
Il secondo, che chiude il discorso:
A questo proposito, vorrei chiedere a ogni concittadino di lodare la nostra madre Taiwan, la terra che nutre e sostiene tutti noi, e di lavorare insieme per proteggerla, onorarla, lasciare che il mondo la abbracci e concederle il rispetto internazionale che merita come grande nazione.
Per fare un paragone col discorso del 2020 di Tsai: “Miei concittadini, negli ultimi 70 anni la Repubblica di Cina (Taiwan) è cresciuta in modo più resistente e unito attraverso innumerevoli sfide. Cari cittadini, il cammino che ci attende è lungo e stiamo per iniziare un nuovo capitolo della storia di Taiwan. La storia di Taiwan appartiene a ciascuno di noi e ha bisogno di ciascuno di noi“.
Interessante anche un passaggio che invece è dedicato prettamente al fronte interno. “La maggioranza dovrebbe rispettare la minoranza, mentre la minoranza accetta la regola della maggioranza”. Il riferimento è al caos nato allo yuan legislativo, il parlamento unicamerale. Già lo scorso venerdì si è avuto un assaggio del clima divisivo che rischia di caratterizzare i prossimi quattro anni della politica taiwanese, con una maxi rissa tra deputati, nata sul voto di una riforma tesa a potenziare i poteri del ramo legislativo. La proposta arriva dai due partiti di opposizione, che insieme hanno però la maggioranza parlamentare, circostanza che rischia di rendere Lai una “anatra zoppa” sin dall’inizio.
La voce dell’opposizione
Il presidente del GMD Eric Chu ha affermato che il discorso di Lai “ha posto l’ideologia e gli interessi politici del DPP al di sopra dell’interesse nazionale. In risposta, Chu ha espresso preoccupazione per il fatto che Lai “ha reso evidente la ‘dottrina dei due paesi’”, che Chu ha descritto come diversa dall’enfasi posta dall’ex presidente Tsai Ing-wen sulla Costituzione della Repubblica di Cina e sulla legge che regola le relazioni tra il popolo dell’area di Taiwan e l’area continentale.
Ho raccolto l’opinione di Hsiao Hsu-tsen, direttore della Fondazione Ma Ying-jeou, figura importante nell’organizzazione del recente viaggio dell’ex presidente del GMD in Cina continentale. Hsiao parla di “posizione diretta ed esplicita di Lai” che equivarrebbe a “propendere per l’indipendenza di Taiwan, portando a una situazione di pericolo senza precedenti tra le due sponde dello stretto”.
Hsiao sostiene che alcuni commenti di Lai violino la costituzione della Repubblica di Cina, in particolare la menzione di Taiwan tra gli altri nomi utilizzato per riferirsi all’entità statuale e la citazione della Repubblica Popolare Cinese invece che di “Cina continentale”.
Hsiao si chiede poi se gli Stati Uniti “siano stati informati in anticipo e se abbiano appoggiato l’inaugurazione. In caso contrario, il segretario di Stato Blinken non avrebbe rilasciato pubblicamente un comunicato stampa per congratularsi con Lai Ching-te il giorno dell’inaugurazione, cosa non comune in passato. Tuttavia, se gli Stati Uniti fossero stati informati in anticipo e avessero appoggiato l’insediamento, la situazione sullo Stretto di Taiwan diventerebbe estremamente pericolosa”.
Nel commentare il discorso di Lai, il leader del Taiwan People’s Party, Ko Wen-je, ha invitato il DPP a non ostacolare i progetti di riforma legislativa. Per quanto riguarda le relazioni intrastretto, Ko ha affermato di credere che Lai continuerà a rispettare la Costituzione della Repubblica di Cina. “Ma è più importante vedere le sue azioni nei prossimi tre mesi”, ha detto.
La reazione di Pechino
Nel frattempo, la prima reazione della Cina all’insediamento arriva dal ministero degli Esteri, che ha definito l’indipendenza di Taiwan un vicolo cieco. Sono state inoltre sanzionate tre aziende degli Stati Uniti per la vendita di armi a Taipei. In serata, in una nota del Consiglio degli Affari di Taiwan del governo cinese si sostiene che il discorso di Lai invia “segnali pericolosi” e aderisce “ostinatamente a una posizione indipendentista, che non sarà mai tollerata”. La nota insiste sul consenso del 1992, che incarna il principio di una sola Cina, tema nemmeno sfiorato nel discorso di Lai. Prevedibili nuove dichiarazioni molto critiche sul discorso di insediamento, anche perché informalmente molti osservatori continentali hanno notato le differenze tra Lai e Tsai.
Per esempio lo aveva fatto a gennaio Da Wei della Tsinghua University, in un’intervista che gli avevo fatto per La Stampa. “Tra lui e Tsai Ing-wen esistono, probabilmente, delle differenze caratteriali che potrebbero portare a uno stile di governo differente e a una situazione pericolosa soprattutto nella seconda parte del suo mandato, in particolare nel periodo in cui sarebbe interessato a ottenere una rielezione“, mi aveva detto Da.
In attesa di nuovi elementi, il tabloid nazionalista Global Times dice che Lai diventerà sempre più provocatorio dopo aver assunto il mandato. Su Weibo è stato come prevedibile bloccato l’hashtag sull’insediamento di Lai.
Gli Stati Uniti si sono congratulati attraverso il segretario di Stato Antony Blinken, mentre la Russia si schiera con decisione con Pechino. “Washington e i suoi satelliti continuano ad aggravare la situazione nello Stretto di Taiwan, minano deliberatamente la stabilità e la sicurezza nella regione Asia-Pacifico e ostacolano l’unificazione pacifica della Cina”.
Maggiori spunti sulla possibile postura di Pechino di fronte alla presidenza Lai nella scorsa puntata di Taiwan Files.
Di Lorenzo Lamperti
Il bilancio dell’era Tsai, gli scenari dell’era Lai
Lo speciale sulle elezioni 2024
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.