La lettura del conflitto in Europa fatta da Pechino e Taipei. Possibili scenari di tensioni sullo Stretto, Repubblica di Cina e Taiwan, Covid, semiconduttori. La rassegna di Lorenzo Lamperti con le ultime notizie da Taipei (e dintorni)
Taipei non è Kiev, lo abbiamo scritto svariate volte dallo scorso gennaio. Ma la guerra in Ucraina è osservata con attenzione dalle due sponde dello Stretto di Taiwan per trarne eventuali lezioni. L’andamento del conflitto renderà più chiaro di quali lezioni si tratta. In attesa di avviare nelle prossime settimane (attualità stretta permettendo) una serie di approfondimenti tra il materiale raccolto alle isole Matsu e una significativa vicenda legata all’arsenale normativo a disposizione di Pechino per esercitare pressioni sui taiwanesi, passiamo in rassegna che cosa si dice e scrive sull’argomento. Il tutto ricordando che le tendenze sullo Stretto sono in atto da anni, decenni e che i loro sviluppi non sono direttamente collegati a quanto accade o non accade in Ucraina.
“Mentre prosegue l’invasione russa dell’Ucraina, la Cina ha iniziato a rivalutare i propri scenari per un potenziale attacco contro Taiwan e la difficoltà di prendere una grande area metropolitana come Taipei”, scrive il Nikkei Asia. “L’esercito cinese a quanto pare è ora particolarmente preoccupato per le potenziali sfide che comporta la presa di Taipei. La capitale taiwanese ha una popolazione di circa 2,6 milioni di abitanti, più o meno come Kiev. Ma è quasi tre volte più densamente popolata, e altri 4 milioni vivono nella sua periferia. Qualsiasi attacco militare contro Taipei provocherebbe probabilmente massicce perdite tra i civili”, spiega il media giapponese. Non si tratta dell’unico ostacolo. “Lo stretto di Taiwan è largo più di 100 km e ha potenti correnti. Le condizioni ideali per la spedizione di truppe attraverso lo stretto sono limitate a due o tre mesi all’anno. Taiwan sta anche schierando rapidamente missili da crociera e missili guidati Patriot Advanced Capability-3”, sottolinea il Nikkei, che cita due esperti nipponici che indicano due ipotesi alternative per Xi Jinping. La prima, secondo il professore dell’Università di Tokyo Yasuhiro Matsuda, è quella dell’accelerazione dell’accumulo nucleare per frenare le forze pro-indipendenza a Taiwan e di scoraggiare l’intervento degli Stati Uniti costruendo un arsenale nucleare sovradimensionato. Un gioco di forza. Secondo Rira Momma, direttore del dipartimento di studi regionali presso l’Istituto giapponese per gli studi sulla difesa, “con un attacco a Taiwan stesso che sembra più difficile, non possiamo ignorare la possibilità che l’amministrazione Xi potrebbe cercare di prendere il controllo” di una delle isole minori, per esempio le isole Pratas (amministrate da Taiwan) per costruire un track record”, ha detto Rira Momma, direttore del dipartimento di studi regionali presso l’Istituto giapponese per gli studi sulla difesa.
L’Economist sottolinea che a Taiwan sembrano esserci emozioni contraddittorie, citando un sondaggio del Centro di studi strategici internazionali di Taiwan, un think-tank. “Ha mostrato un salto sorprendente nella quota di taiwanesi disposti a combattere per difendere Taiwan, dal 40% di dicembre al 70% di marzo. Una percentuale simile ha sostenuto l’estensione del periodo di coscrizione, una mossa attualmente in discussione. Ma la fiducia che l’America interverrebbe è scesa notevolmente, dal 55% al 43%. Appena un terzo degli intervistati pensa che Taiwan potrebbe resistere da sola a un’invasione”. Sempre secondo il settimanale britannico, “Taiwan è più difficile da invadere per un nemico, ma anche più difficile da rifornire per i suoi amici. Un’altra differenza è il peso economico. Sarà più difficile per l’occidente imporre sanzioni alla Cina del tipo che ha usato per punire la Russia. Come seconda economia mondiale (la più grande se misurata a parità di potere d’acquisto), la Cina è molto più diversificata e più integrata nel commercio globale rispetto a Mosca.
“Se si dovesse arrivare alla guerra, la principale lezione che la Cina trarrà dall’Ucraina è la necessità di rapidità – idealmente di raggiungere la vittoria entro pochi giorni – per assicurarsi che il governo di Taiwan non possa organizzare una resistenza concertata e che l’America non possa intervenire efficacemente”, scrive ancora l’Economist, che immagina un possibile scenario: “La Cina mette in scena un’esercitazione navale su larga scala vicino a Taiwan, poi usa rapidamente le navi per bloccare l’isola. Come Putin, Xi minaccia un’escalation nucleare contro chiunque sfidi la quarantena. Mentre l’America discute su come rispondere, la Cina usa il tempo per raccogliere e lanciare la sua forza d’invasione, e forse per decapitare il governo dell’isola”. Uno degli scenari più inquietanti secondo il settimanale.
L’Economist rivolge poi un invito a Taiwan: “Dovrebbe pensare di più alla difesa. La sua decisione di fare meno affidamento sui coscritti e costruire una forza più professionale è buona. Ma dovrebbe continuare a fornire un addestramento militare a tutti gli uomini (e perché non anche alle donne?) e creare una forza di difesa territoriale. Dovrebbe anche aumentare il suo budget militare, che è circa il 2% del PIL – basso per un paese così in pericolo (Israele spende il 5,6%)”. Per quanto riguarda gli Usa, invece, “il presidente Joe Biden dovrebbe fare attenzione a mantenere l’ambiguità strategica. Un anno fa abbiamo definito Taiwan il posto più pericoloso della Terra. L’America e Taiwan devono incoraggiare la Cina a vederla così”, conclude l’Economist.
“Con una vittoria rapida e decisiva che sembra improbabile, ci si aspetta che Pechino esplori alternative come l’espansione del suo arsenale nucleare come un modo per trattenere il coinvolgimento militare degli Stati Uniti in qualsiasi scontro sullo stretto di Taiwan“, scrive invece Foreign Policy. “La volontà della Cina di usare la forza è una decisione politica che è plasmata da più di una semplice valutazione delle capacità militari. Anche se la Cina non è sicura di poter eseguire con successo un’invasione anfibia di Taiwan, Pechino potrebbe credere che i costi geopolitici e interni di non usare la forza superino il rischio di un fallimento militare. Pechino potrebbe incaricare il PLA di impegnarsi in un’operazione militare significativa senza un’invasione, come una presa di isole chiave nello stretto di Taiwan”. A scoraggiare in parte Pechino “le rapide e ampie sanzioni occidentali contro la Russia suggeriscono che i costi economici e di stabilità per la Cina per l’uso della forza militare contro Taiwan potrebbero essere molto più alti di quanto Pechino pensasse. Tuttavia, il peso economico e finanziario della Cina supera significativamente quello della Russia, e Pechino potrebbe credere che le sanzioni economiche potrebbero essere più difficili da attuare contro la Cina senza danni collaterali significativi al commercio globale, alle catene di approvvigionamento e alle istituzioni finanziarie”, scrive Foreign Policy che sottolinea come “il conflitto in Europa ha anche aumentato il sostegno internazionale per Taiwan e aumentato la consapevolezza pubblica a Taiwan della necessità di prendere più seriamente la difesa dell’isola”. Ma ricorda anche che d’altra parte “Pechino vede un’opportunità per giocare un racconto ammonitore: l’invasione della Russia mostra quanto potrebbe essere devastante una guerra con la Cina e perché il pubblico taiwanese non dovrebbe sostenere azioni che provocano la Cina. La Cina sta amplificando tali messaggi e sostenendo che Taiwan non dovrebbe essere una pedina per gli sforzi degli Stati Uniti per contrastare la Cina”.
Per quanto riguarda gli aspetti militari, secondo Foreign Policy “è possibile che il conflitto possa introdurre alcune incertezze e dubbi a breve termine nelle valutazioni del PLA sulle sue capacità militari. Tuttavia, a lungo termine, il PLA può imparare dal conflitto in Ucraina e potrebbe modificare i suoi piani militari per Taiwan per essere più letale e più veloce”. Focus particolare sulla comunicazione. “I commentatori cinesi notano che un grande fallimento nelle operazioni russe è l’incapacità della Russia di minare il morale ucraino e la volontà di combattere. La Russia non ha disabilitato le reti di comunicazione ucraine. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky mantiene una presenza pubblica visibile e continua a radunare le sue truppe e a fare pressione sulla comunità internazionale per il sostegno. I media ucraini e occidentali e i social media hanno censurato le informazioni vantaggiose per la Russia e hanno diffuso le perdite sul campo di battaglia russo e le vittorie ucraine”. Per questo, la Cina potrebbe cercare di distruggere e tagliare la capacità di Taipei di mantenere le comunicazioni interne ed esterne per instillare panico e paura. Questo potrebbe essere accompagnato con gli sforzi sul terreno a Taiwan – come i media taiwanesi controllati da Pechino che condividono storie di vittorie di Pechino e infiltrazioni delle forze speciali del PLA per sabotare le infrastrutture di Taiwan e uccidere i suoi leader – per veicolare un messaggio di devastanti perdite militari taiwanesi o dell’incompetenza di Taipei”.
Un esempio di come l’informazione può influire in situazioni di tensione c’è la vicenda di CTS, la tv taiwanese che ha messo in onda un servizio nel quale si raccontava che l’esercito cinese aveva colpito Taiwan. Una storia ancora non chiara e che ha già portato a un’inchiesta e a delle dimissioni.
Sul piano interno, intanto, i media cinesi si basano sulla narrazione che Taiwan non andrebbe volentieri a combattere contro quelli che descrive come loro compagni cinesi.
Da registrare anche il thread di Tong Zhao, che scrive: “Sono dell’opinione che la guerra in Ucraina riduca in generale il rischio di un conflitto militare a breve termine sullo stretto di Taiwan, ma stanno sorgendo anche nuove incertezze. Dobbiamo tenere gli occhi ben aperti per evitare di cadere sonnambuli in una guerra su Taiwan”.
Molto interessante il commento di Ryan Hass sul Taipei Times, nel quale propone di concentrarsi sugli interessi, non sull’ideologia, per rafforzare la posizione di Taiwan. “Proporre analogie tra Taiwan e l’Ucraina spaventa gli investitori, costringe alla cautela su Taiwan nei consigli di amministrazione delle aziende, e alla fine genera una pressione per i paesi a riconsiderare la presenza a Taiwan contro il rischio di invasione cinese”. E ancora: “La presidente Tsai e i suoi consiglieri possono mettere Taiwan in una posizione più forte enfatizzando i contributi centrali di Taiwan alla crescita economica globale, le sue generose risposte alle sfide globali e la sua importanza geostrategica, piuttosto che sottolineare il ruolo di Taiwan in una gara globale tra democrazia e autocrazia”.
Una precisazione su Repubblica di Cina e Taiwan
C’è però una semplificazione che viene fatta praticamente sempre quando si parla dello status di Taiwan. Ancora una volta prendiamo che cosa scrive l’Economist: “Un’identità taiwanese distinta si è gradualmente formata, ma Taiwan, che ancora si chiama Repubblica di Cina (ROC), non osa dichiararsi indipendente per paura di provocare la Cina continentale”. In realtà, la vicenda è più complessa. E ne parleremo a brevissimo quando pubblicherò l’intervista che ho realizzato al politologo Wu Rwei-ren. A frenare Taipei, infatti, non è solo la paura della reazione di Pechino, ma anche il fatto che una buona parte della sua popolazione si senta ancora legata alla sfera culturale, storica e identitaria cinese. Non a quella politica, con una percentuale ormai infinitesimale dell’opinione pubblica favorevole a una unificazione. Ma rinunciare al nome Repubblica di Cina non è solo una scelta lessicale, è un passaggio che al momento viene valutato ancora prematuro per una questione innanzitutto interna.
Taiwan-Cina-Usa
Nei giorni scorsi nuovo avvertimento di Pechino a Washington. “Taiwan è parte della Cina e Pechino chiede agli Usa di gestire la vicenda in modo appropriato per evitare impatti destabilizzanti sulle relazioni bilaterali” ha detto il ministro della Difesa Wei Fenghe nel colloquio telefonico col capo del Pentagono Lloyd Austin. “Se la questione di Taiwan non sarà gestita adeguatamente, avrà un impatto destabilizzante sulle relazioni tra i due Paesi”, ha aggiunto Wei, secondo una nota di Pechino, assicurando che “l’esercito cinese salvaguarderà in modo risoluto sovranità, sicurezza e integrità territoriali”.
Il Taipei Times ribadisce l’invito a Nancy Pelosi a visitare Taiwan dopo la visita posticipata causa Covid nelle scorse settimane.
L’ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti John Bolton ha chiesto che le truppe statunitensi siano di stanza a Taiwan, ricordando l’accordo tra gli alleati prima del 1979.
Polemiche sulle possibili spese per ampliare la pista aerea di Taiping, isola delle Spratly amministrata dall’esercito taiwanese.
Covid, semiconduttori, politica locale, Isole Salomone, Peng Ming-min
Da ormai un paio di settimane continuano ad aumentare i contagi a Taiwan, che per la prima volta dall’inizio della crisi hanno superato le 3mila unità giornaliere. Nonostante questo, il governo ha deciso di non inserire restrizioni come invece fatto fino a qualche mese fa. Taipei ha scelto di lasciare la strategia zero Covid per svariati motivi: i dati sanitari che mostrano che con Omicron i casi gravi sono pochissimi, i dati economici che si spera di sostenere dopo qualche spiffero negativo, il, rafforzamento dell’alterità rispetto a quanto fa la Cina. Anche il lockdown di Shanghai diventa un’occasione per Taiwan per mostrarsi diversa. Ma l’opinione pubblica non è contenta, anzi è molto preoccupata e posso testimoniare che le strade sono molto più vuote del solito pur senza restrizioni. Ne parla William Yang su Deutsche Welle.
Di Lorenzo Lamperti
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Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.