Viaggio nelle isole taiwanesi a poche bracciate di mare dalla Repubblica Popolare e da Xiamen. Bunker militari abbandonati trasformati in attrazione turistica e una vita sul filo, tra status quo e lo spettro dell’invasione. Da qui Chiang Kai-shek, ispirato dalla storia di Tian Dan, sognava la riconquista. Puntata speciale di Taiwan Files, la rassegna settimanale di notizie da Taipei e dintorni a cura di Lorenzo Lamperti
Kinmen prospera per 500 anni, Xiamen fiorisce per 500 anni. Questo proverbio locale viene citato all’ingresso della torre di Juguang, costruita nel 1953 per commemorare i caduti della battaglia di Guningtou.
Siamo a Kinmen, un’ora di volo da Taipei e poche bracciate di mare dalla Repubblica Popolare Cinese. Qui lo «stretto» non esiste, è un concetto astratto. Dal posto di osservazione di Mashan i chilometri di distanza sono poco più di due. Nulla. Kinmen però è sotto controllo taiwanese. Due isole, una piccola e l’altra piccolissima, sospese nel tempo e nello spazio.
A metà tra monumento di guerra e punto di congiunzione tra Repubblica Popolare Cinese e Taiwan. Kinmen è ciò che resta della Repubblica di Cina, sbaragliata dai comunisti a Pechino e messa ormai tra parentesi per dovere costituzionale a Taipei. Impegnata, quest’ultima, in un percorso di costruzione identitaria e di ampliamento dell’alterità rispetto alla Repubblica Popolare, che dalla sfera politica arriva ora anche a quelle storica e culturale.
AVAMPOSTO MILITARE dei nazionalisti sconfitti nella guerra civile e bersaglio dei bombardamenti di Mao Zedong durante le prime due crisi dello stretto degli anni Cinquanta, da qui Chiang Kai-shek sognava di ripartire alla riconquista della Cina continentale. Ma la speranza che accompagnava lo scrutare al di là di quei pochi chilometri di acqua si è presto tramutata in timore.
Ancora oggi, se Pechino operasse un’azione militare per tentare la «riunificazione», l’invasione di Kinmen è uno degli scenari più probabili. Stress test per saggiare le intenzioni altrui, statunitensi e giapponesi in primis, e ipoteticamente fiaccare le resistenze taiwanesi.
A KINMEN, PERÒ, è uno scenario a cui credono in pochi. «Questo è un luogo del tutto sicuro, le tensioni intrastretto qui non ci hanno per niente coinvolto», sostiene un funzionario del governo locale.
«È solo politica, a tanti conviene creare il panico», dice invece Fen, guida turistica in attesa che il suo gruppo finisca di visitare l’isolotto di Jiangongyu, una sorta di Mont Saint-Michel raggiungibile via terra solo per qualche ora nel pomeriggio. «Se avessero voluto invaderci lo avrebbero già fatto e ormai, in ogni caso, se davvero lo facessero con due bombe sarebbe già tutto finito», aggiunge.
Alle sue spalle un ex fortino militare, uno dei tanti avamposti, tunnel e bunker abbandonati e trasformati in attrazioni per i turisti in arrivo da Taiwan o dalla Repubblica Popolare. Ora restano solo i primi, viste le restrizioni Covid.
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Con scorno del governo locale, che si è visto respingere la proposta di riaprire alcuni voli con le città cinesi in occasione del capodanno lunare. Prima della pandemia Xiamen si raggiungeva in pochissimi minuti di nave e gli scambi erano numerosi sotto tutti i punti di vista.
Tra i poco meno di 130mila abitanti di Kinmen, circa 20mila possiedono proprietà immobiliari a Xiamen, mentre l’approvvigionamento d’acqua dipende in buona parte dal Fujian cinese, tradizionale meta delle visite dei leader politici locali. Compreso quello attuale, Yang Cheng-wu.
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Qui la guida del Guomindang non è quasi mai stata in discussione e la contea non è mai stata governata dal Partito democratico progressista. Nelle ultime due elezioni presidenziali, Tsai Ing-wen è arrivata a distanza siderale da Eric Chu e Han Kuo-yu, i candidati nazionalisti che hanno totalizzato rispettivamente il 66,1 e il 74,8% delle preferenze nel 2016 e nel 2020.
«I GIOVANI SONO troppo drammatici, la mia generazione ha vissuto la paura vera e non può averne adesso», racconta Zhan, anziana proprietaria di un negozietto di strada a Shuitou, una delle tante storiche e ricche residenze di cittadini locali che sono tornati dopo aver fatto fortuna nel Sud-Est asiatico.
Kinmen è stata presa a lungo in ostaggio dalla guerra fredda tra le due Cine. La legge marziale è stata revocata solo nel 1992 e al culmine delle tensioni i militari sul posto erano circa 100mila. Oggi sono solo 3mila.
Negli ultimi 30 anni la riduzione è stata drastica e costante, con un impatto anche sull’economia locale che viveva in funzione del contingente militare e si è poi reinventata meta turistica e naturalistica, con una spinta arrivata dal completamento della rimozione delle mine antiuomo nel 2013.
«Arrivavano sempre più armi ma gli uomini erano sempre di meno. Chi finiva il proprio periodo di stanza non veniva più sostituito», racconta Yan, ex militare in pensione che ha prestato servizio a Kinmen tra il 1997 e il 1999.
DOPO QUASI 20 ANNI, è tornato per viverci. «Già allora gli unici momenti di tensione c’erano durante i test missilistici dell’esercito popolare di liberazione, ma in generale non si viveva con il timore di un’invasione. Non ce ne sono mai stati i segnali».
Secondo Yan, almeno all’epoca, le armi in dotazione all’esercito taiwanese erano «adeguate per scacciare i clandestini o tenere lontane le navi civili, ma non per offendere il nemico o difendere l’isola. Se ci avessero attaccato non avremmo resistito a lungo».
ANCHE YAN DICE di non temere molto per il futuro: «Un conto è la politica, un altro è la vita reale». Ammette però che di recente qualcosa è cambiato, anche se più a livello retorico che non a livello concreto: «Non so spiegare perché è stato deciso di ufficializzare la presenza di un contingente militare statunitense a Taiwan. Gli americani ci sono sempre stati, almeno da quando sono entrato nell’esercito io. E a mio parere Pechino lo ha sempre saputo».
Yan parla di un piccolo gruppo presente «in pianta stabile per addestramento e supporto tecnico» e l’arrivo di una truppa più numerosa «una volta l’anno per l’aggiornamento».
Yan è stato impiegato a Lieyu, l’isola più piccola tra le due principali. L’avamposto di un avamposto. Da sempre raggiungibile solo via mare, nel 2022 sarà collegata alla «sorella» più grande da un ponte in fase di completamento. Ponti come quelli che le autorità cinesi del Fujian vorrebbero costruire per raggiungere Kinmen e l’altro arcipelago delle Matsu, nella strategia di progressivo inglobamento su cui punta, al fianco delle pressioni militari, Xi.
Lieyu è talmente vicina a Xiamen che spesso i telefoni cellulari si agganciano automaticamente alla rete della Repubblica Popolare. Prima della pandemia si svolgeva una competizione annuale di nuoto. Un anno si nuotava dall’isola taiwanese alla metropoli della Repubblica Popolare, l’anno dopo si faceva il percorso inverso.
ANCHE PERCHÉ per i cinesi «continentali» venire a Kinmen era più semplice che raggiungere altre mete sotto l’amministrazione di Taipei, anche a livello burocratico. In quella lingua di mare sono state gettate nel 1977 le ceneri di Hu Lien, il fidato generale di Chiang laureatosi all’accademia militare di Huangpu con Lin Biao, comandante comunista decisivo per la vittoria di Mao nella guerra civile.
A Hu è dedicato un piccolo museo, con medaglie al valore e motti nazionalisti sulla riconquista di Nanchino. Un altro motto campeggia su uno dei luoghi turisticamente più celebri di Kinmen, la roccia del monte Taiwu su cui domina una scritta in caratteri rossi: «Non dimenticate i giorni a Ju».
L’iscrizione, voluta da Chiang, rimanda alla storia di Tian Dan. Così come il generale del periodo degli stati combattenti era riuscito a riconquistare il regno di Qi dopo che era stato perduto, le forze armate nazionaliste dovevano credere nella possibilità di rimettere piede sul continente.
Ciò che è impossibile dimenticare a Kinmen è la storia. Dalle bombe e le mine antiuomo i residenti locali sono passati a veder sorgere e crescere i grattacieli di Xiamen, chiaramente visibili in larga parte del territorio del piccolo arcipelago.
E ALLO STESSO TEMPO hanno aperto ai primi turisti della Repubblica Popolare, d’altronde il nome di Kinmen in cinese (Jinmén), significa letteralmente «porta dorata».
Da qui, negli anni Cinquanta, è partita una concatenazione di eventi che hanno portato alla minaccia dell’uso di armi tattiche da parte degli Stati uniti e alla dotazione della bomba atomica da parte di Pechino. Poi, più tardi, al Taiwan Relations Act e alla cosiddetta ambiguità strategica di Washington. Da simbolo dello status quo, Kinmen spera e crede di poter evitare di diventarne il luogo dell’epilogo.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su Il Manifesto]
Le puntate precedenti di Taiwan Files
20.11 – Vecchi amici, alternanze “strategiche” e un po’ di confusione
13.11 – Che cosa pensa Taiwan
06.11 – Sanzioni più “forti” degli aerei, tour Ue, Michelle Wu
30.10 – Ipac a Roma, Wu in Ue, Tsai alla Cnn, Tsmc-Oppo
23.10 – La chiarezza di Biden, rapporti con l’Ue, semiconduttori
16.10 – Incendio a Kaohsiung, 10/10, strategia militare (e non), Harvard
09.10 – Aerei, marines, feste nazionali e incroci diplomatici
02.10 – Eric Chu, movimenti militari, rapporti con l’Ue e chip
25.09 – Elezioni Guomindang, CPTPP, francesi a Taipei
18.09 – Moon Festival, wargames, Pacifico, chip e spazio
11.09 – Super tifoni, venti militari, brezze elettorali e aliti di storia
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.