Taiwan Files – Jet e navi, ma anche soldi, politica e norme: le opzioni di Xi

In Relazioni Internazionali, Taiwan Files by Lorenzo Lamperti

Dall’incontro Tsai-McCarthy alle esercitazioni militari di Pechino. Il bilancio (senza allarmismi ma neanche sottovalutazioni) di quanto accaduto con uno sguardo ai prossimi scenari. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

Sono passate due settimane dall’ultima puntata di Taiwan Files e nel frattempo sono successe molte cose, fra l’incontro Tsai Ing-wen-Kevin McCarthy e le esercitazioni militari di Pechino. Qui di seguito un bilancio di quanto è accaduto (provando come sempre a evitare allarmismi e sottovalutazioni, cercando di raccontare anche il contesto), con uno sguardo anche gli scenari.

La cronologia di quanto accaduto

8 aprile 

Il tè prima della tempesta. Poche ore dopo aver congedato “l’amico” Emmanuel Macron con cui aveva sorseggiato la bevanda al Pine Garden di Guangzhou, Xi Jinping tira fuori i muscoli e lancia nuove esercitazioni militari intorno a Taiwan. È la preannunciata reazione all’incontro in California fra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker del Congresso americano Kevin McCarthy. Qui il racconto dell’incontro della Ronald Reagan Library, qui invece per fare un confronto con le dichiarazioni dell’incontro di agosto scorso tra Tsai e Pelosi. Manifestanti pro e contro Taiwan si sono riuniti all’aeroporto di Los Angeles per l’arrivo di Tsai, ma anche fuori dal luogo dell’incontro.

Dopo 48 ore di attesa, l’Esercito popolare di liberazione ha annunciato tre giorni di manovre e pattugliamenti per testare “prontezza di combattimento” e un “accerchiamento” dell’isola. Pechino definisce la mossa un “severo avvertimento” contro le “collusioni” tra le “forze secessioniste” di Taipei e gli Stati Uniti.

La prima giornata di esercitazioni, denominate Joint Sword (spada congiunta), sono servite a testare le capacità di controllare “mare, aria e informazioni”. Il ministero della Difesa di Taipei ha rilevato in totale 9 navi da guerra e 71 jet nelle acque intorno a Taiwan. Tra gli aerei, 45 hanno oltrepassato la “linea mediana”, confine tra le due sponde non riconosciuto ma ampiamente rispettato sino all’anno scorso.

Sembra un déjà vu rispetto a quanto accaduto dopo la visita di Nancy Pelosi, anche se a differenza dello scorso agosto non è stata rilasciata una mappa con le zone precise delle manovre. Con l’avvio dei test (durati 7 giorni nonostante all’inizio ne furono annunciati 4), erano state allora fornite le coordinate di sei zone, in alcuni casi sovrapposte alle acque territoriali taiwanesi. La presenza o meno di dettagli è un barometro importante, visto che coi lanci di missili scatterebbe l’obbligo di segnalare le zone interdette alla navigazione. Finora sono state annunciate esercitazioni a fuoco vivo in vari round fino al 20 aprile sulla costa di Fuzhou, capitale della provincia del Fujian. Piuttosto lontano da Taiwan, ma in prossimità delle isole Matsu, amministrate dal governo di Taipei.

Le televisioni cinesi hanno ripetutamente mostrato le immagini delle esercitazioni Sui tg taiwanesi se n’è parlato molto più brevemente, con priorità alla visita di Michael McCaul, capo della Commissione esteri del Congresso Usa. Tsai lo ha ricevuto poco dopo essere rientrata dalla California e ha incassato la promessa di un invio “più rapido” di armi.

Qui ho scritto di come è andata fra Xi Jinping ed Emmanuel Macron e dell’avvio delle esercitazioni intorno a Taiwan.

9-10 aprile

Più brevi, meno estese e dirompenti, ma con segnali di maggiore prontezza al combattimento. Si sono concluse nei tempi previsti le esercitazioni militari cinesi intorno a Taiwan. Nell’ultima giornata di manovre, il ministero della Difesa di Taipei ha rilevato nell’area 91 jet e 12 navi da guerra. 56 aerei hanno oltrepassato la “linea mediana”, confine non riconosciuto ma fino allo scorso anno ampiamente rispettato sullo Stretto. Nessuno si è però avvicinato alle 12 miglia nautiche, il fronte delle acque territoriali. Domenica si è verificato un confronto più ravvicinato a ridosso delle 24 miglia nautiche che segna l’ingresso nelle “acque contigue”, ma secondo i funzionari di Taipei nessuna delle 20 imbarcazioni coinvolte da una parte e dall’altra ha agito “in modo provocatorio”.

Le manovre vengono descritte come “meno estese” rispetto a quelle dello scorso agosto, dopo la visita a Taipei di Nancy Pelosi. Ma sono stati osservati sviluppi a livello “qualitativo”. Vero che sono stati avvistati meno aerei oltre la “linea mediana”, ma per la prima volta si sono palesati dei caccia J-15, sviluppati per essere utilizzati su portaerei. Non un caso, visto che la Shandong è stata coinvolta nelle operazioni che hanno simulato attacchi a “obiettivi chiave” sull’isola, “blocchi marittimi” e “assalti mirati con imboscate a navi nemiche”. L’Esercito popolare di liberazione ha spiegato di aver “testato nuovi metodi operativi che aumentano la prontezza a combattere”.

A Taipei, però, nessun segnale di panico. Anzi, durante i tre giorni di esercitazioni ha regnato una certa assuefazione. D’altronde, l’impatto sulla vita delle persone comuni è stato del tutto assente. A differenza dello scorso agosto, nessun volo di linea è stato cancellato e le navigazioni commerciali sono andate avanti regolarmente. A fare la differenza nella percezione dell’opinione pubblica è stato il mancato lancio di missili, che lo scorso agosto aveva invece fatto molto discutere anche e soprattutto per il mancato allarme del governo taiwanese. Allora, la notizia era stata data dal ministero della Difesa giapponese, che ieri ha mobilitato i suoi aerei da combattimento per monitorare le operazioni cinesi. Confermando “circa 120 decolli e atterraggi” dalla portaerei Shandong, piazzata non troppo lontano dall’isola di Miyako, a sud ovest di Okinawa e nei pressi di Taiwan.

Qui il racconto della seconda e terza giornata di esercitazioni.

12 aprile

Mercoledì 12 aprile Reuters ha dato la notizia di una no fly zone di Pechino dal 16 al 18 aprile, a circa 85 chilometri al largo delle coste settentrionali di Taiwan. Con impatto sul 60-70% dei voli regionali. Ovviamente la notizia, data sempre da Reuters, aveva subito fatto pensare a nuove vaste esercitazioni. Anche perché 16/18 aprile sono proprio dopo la ripartenza di Lula e Borrell da Pechino. Ad agosto furono indicate 6 zone da evitare agli aerei di linea per i test post Pelosi. Dopo qualche ora, il ministero dei Trasporti di Taipei ha comunicato che la no fly zone di Pechino a nord di Taiwan è stata ridotta a 27 minuti domenica mattina 16 aprile. In attesa In attesa di altre conferme, secondo quanto riporta Reuters (via il ministero dei trasporti di Seul) la causa sarebbe il rientro di un modulo di lancio.

Qui il racconto della giornata del 12 aprile.

13 aprile

Pechino ha chiarito che la ragione della “no fly zone” è il lancio di un satellite meteorologico, col rischio di caduta di detriti. Proprio domenica passerà per quell’area anche il volo che porterà Antony Blinken in Giappone per il summit dei ministri degli Esteri del G7. Il segretario di Stato americano è stato in Vietnam, dove partecipa alla posa della prima pietra della nuova ambasciata e prepara l’elevazione dei rapporti bilaterali prevista per luglio, con possibile (e inedita) visita a Washington del segretario del Partito comunista Nguyen Phu Trong. Il tutto mentre nel mar Cinese meridionale proseguono le esercitazioni congiunte tra Usa e Filippine, le “più vaste di sempre”.

La Cina osserva con fastidio, vista la prossimità delle manovre alle isole contese con Manila e Hanoi. E continua ad affilare il proprio arsenale normativo e militare. Mercoledì è stata pubblicata con poca enfasi una revisione delle regole di coscrizione. Una mossa che si inserisce all’interno di una più ampia riforma delle forze armate, avviata da Xi Jinping sin dal suo primo mandato e che dovrebbe culminare nel 2027 in occasione del centenario di un Esercito popolare di liberazione chiamato a rafforzare la sua “prontezza al combattimento”.

Le nuove regole pongono l’accento sul reclutamento di studenti universitari altamente qualificati. Secondo gli organi di informazione dell’esercito “la mossa è conforme alla richiesta di personale di alta qualità e all’accelerazione della meccanizzazione, informatizzazione e intelligentizzazione” delle forze armate. Introdotte anche norme per il richiamo di veterani qualificati in tempo di guerra.

Le dichiarazioni di Xi sulla prontezza al combattimento e quelle del ministro degli Esteri taiwanese Joseph Wu sui preparativi di Pechino vanno comunque contestualizzate tra interlocutori prescelti e linea retorica mantenuta sul piano interno ed esterno.

Ne ho scritto qui e parlato qui.

17 aprile

Domenica 16 aprile è stato poi lanciato il satellite meteorologico, senza impatto significativo sulle operazioni aeree e navali.

Lunedì 17 aprile si torna a parlare di manovre militari per il transito sullo Stretto del cacciatorpediniere americano USS Milius. Risposta identica, anche se Pechino lamenta più “esplicita”, rispetto a quella dello scorso agosto.

Bilancio e scenari militari

Due mesi e due giorni. 29 novembre 1948 e 31 gennaio 1949. L’Esercito popolare di liberazione circonda Pechino, dopo aver preso Tianjin. All’interno le forze del Guomindang. Un lento accerchiamento, fatto di poco sangue e paziente attesa. Passano le settimane. E alla fine i comandanti nazionalisti escono dalle mura di quella che sarebbe diventata la capitale della nuova Repubblica Popolare Cinese. Si arrendono e la città viene liberata in modo pacifico.

Di lì a qualche mese, il Partito comunista si muove sempre più verso sud. Alla fine, il Kuomintang di Chiang Kai-shek è costretto a ripiegare sulle isole Penghu e Taiwan, lasciandosi dietro degli avamposti militari a Kinmen e Matsu. Nascono le “due Cine”, etichetta piuttosto antiquata che ancora oggi viene talvolta apposta alla vicenda che coinvolge Pechino e Taipei, che nel frattempo ha progressivamente cambiato pelle.

Non viene invece considerato antiquato quello che viene definito il “modello Pechino”, quantomeno da diversi studiosi della Cina continentale. Tra di loro c’è Li Fei dell’Istituto di ricerca su Taiwan dell’Università di Xiamen, metropoli del Fujian affacciata direttamente sulle due isole di Kinmen, amministrate da Taipei ma mai occupate dai giapponesi a differenza dell’isola di Taiwan e le Penghu. Tra Xiamen e la manifestazione più concreta di ciò che resta della Repubblica di Cina ci sono in mezzo solo 5 chilometri, 2 nel punto più vicino. Non esiste uno Stretto. Da qui il professor Li immagina la possibile riproposizione del “modello Pechino” su Taiwan, per raggiungere quella che viene definita «riunificazione intelligente». Tale approccio deve essere portato avanti passo dopo passo e «la normalizzazione delle esercitazioni militari intorno all’isola è un passo avanti».

Secondo Lin, l’esercito cinese non ha ancora le capacità per farlo. “Le esercitazioni degli ultimi mesi dimostrano che la modernizzazione militare cinese procede spedita, manca però ancora qualche anno prima di poter sostenere un blocco totale o condurre un’invasione su larga scala, che sarebbe comunque solo l’extrema ratio”.

Prima di allora, si continuerà con l’allargamento della cosiddetta “zona grigia”. A preoccupare Taipei non sono solo i mezzi dell’esercito, ma anche quelli di guardia costiera e milizia marittima. “Ne arriveranno progressivamente sempre di più”, prevede Chieh. A Pechino disturba l’internazionalizzazione della questione taiwanese. Le grandi manovre come quelle dei giorni scorsi sono utili per mandare un messaggio all’interno e all’esterno: “Impossibile pensare a compromessi sull’indipendenza”. Ma normalizzare prassi operative meno visibili può essere più efficace per “regionalizzare” il dossier. La pressione sarà modulata a seconda delle manovre degli Stati Uniti, che secondo Pechino conducono da anni un’escalation diplomatica. Se un tempo erano “arbitri” e garanti dello status quo, ora vengono percepiti come “fomentatori” delle forze politiche taiwanesi più ostili al Partito comunista.

Ne ho scritto nel dettaglio qui.

Sulla linea di Taipei: “Serve maggiore coordinamento tra le varie agenzie, concentrandosi non solo sugli aspetti militari ma anche energetici, politici, legali. Va rimodellata la concezione strategica. E riaperta la comunicazione (anche militare) con l’altra sponda”. E sulle armi dagli Usa: “Non serve solo comprare. Bisogna comprare bene. Il focus sulla guerra asimmetrica può aiutare a vincere qualche battaglia, ma non un’ipotetica guerra. E non bastano le armi senza interoperabilità e trasferimento tecnologico. Se un componente non funziona, ora dobbiamo mandarlo negli Usa e lo rivediamo dopo mesi”.

Pechino probabilmente stabilirebbe molto rapidamente la superiorità aerea in un eventuale attacco a Taiwan, secondo le valutazioni dell’intelligence statunitense trapelate dai presunti documenti segreti dalla guardia nazionale aerea statunitense Jack Teixeira. I documenti riservati visionati dal Washington Post rivelano che i leader militari di Taiwan dubitano che le loro difese aeree possano “rilevare con precisione i lanci di missili” e che solo circa la metà degli aerei dell’isola è in grado di affrontare efficacemente il nemico.

Proprio sul fronte dei cavi sottomarini, Taiwan sembra muoversi per porre rimedio sul fronte satellitare. Non sarà semplice, vista anche la mancata fiducia nei confronti di Starlink di Elon Musk, protagonista di affermazioni controverse su Taiwan nei mesi scorsi.
Per contrastare un potenziale blocco, Taipei ha invece bisogno di “disintossicarsi” dalle importazioni di carbone, petrolio e gas, dando una svolta alla questione energetica. Ne avevo parlato diversi mesi fa qui.
Gli aspetti politici

Xi Jinping ha dunque optato per una reazione forte, ma non esagerata. Hanno probabilmente inciso calcoli politici in vista delle presidenziali taiwanesi del 2024. Tsai e McCarthy si sono incontrati in California invece che a Taipei, come inizialmente previsto. Un piccolo segnale di compromesso che, se non colto, avrebbe potuto far dire al Partito progressista democratico che è inutile evitare mosse troppo ardite. Si sarebbe rischiato poi rendere impossibile al dialogante Guomindang di sostenere che la visita in Cina continentale dell‘ex presidente Ma Ying-jeou (che avevo intervistato a novembre qui) sia servita a ridurre i rischi. Una visita che ha causato polemiche interne tra la fondazione di Ma e l’Ufficio per gli affari continentali di Taipei e su cui Nikkei Asia si chiede come mai Xi non abbia incontrato direttamente Ma (in realtà non è mai stata una possibilità). Prevedibile che il “consenso del 1992” e il riconoscimento del principio della “unica Cina con diverse interpretazioni” reiterato dal Gmd diventerà materia di scontro principale in vista delle presidenziali.

A gennaio 2024 si vota per le presidenziali e il leader cinese sa che più mostra i muscoli e più rischia di favorire il Partito progressista democratico di Tsai, con una linea più chiara su questione identitaria e rapporti intrastretto. Per Xi è un mix di bastone e carota da gestire con attenzione, mentre l’arsenale militare e normativo per arrivare all’obiettivo diventa sempre più affilato.

Nel frattempo, come largamente annunciato il Dpp ha nominato l’attuale vicepresidente William Lai suo candidato per le presidenziali del 2024. Una figura considerata più radicale dell’attuale presidente Tsai Ing-wen. A gennaio avevo fatto un suo ritratto, qui.

La presidente Tsai ha dichiarato di sperare che il suo successore segua la sua linea in politica estera. Non solo un modo per attaccare la linea del Gmd, ma forse anche implicitamente avvisare Lai a non esagerare dall’altra parte.

L’attuale vicepresidente è considerato ben più radicale di Tsai. Quest’ultima ritiene che Taiwan sia già indipendente de facto come Repubblica di Cina, mentre in passato Lai si è mostrato favorevole a una dichiarazione di indipendenza formale: la linea rossa fissata da Pechino. Nel 2019, prima delle ultime presidenziali, il DPP fu a un passo dalla scissione per i contrasti fra la corrente più moderata di Tsai e quella radicale di Lai. Tutto si ricompose con la risalita nei sondaggi, favorita dalla postura muscolare di Xi su Taipei e Hong Kong. E Lai ha smussato la sua retorica una volta diventato vicepresidente. Inutile dire che però Pechino si ricorda bene di lui. Non a caso, nella sua retorica critica sempre più direttamente il DPP, definito anche “la più grande minaccia alla pace e alla stabilità”. Cercando di favorire l’opposizione dialogante del Gmd, ancor di più dopo la visita in Cina continentale dell’ex presidente Ma Ying-jeou. Il Gmd presenta il prossimo voto come una scelta tra guerra e pace, Lai nel primo discorso da candidato ha parlato di scelta tra totalitarismo e democrazia. In ogni caso, sarà cruciale.

A proposito di Gmd, ha rotto gli indugi Terry Gou. Mentre tutti aspettavano l’incontro tra Tsai e McCarthy in California, Gou è tornato a Taipei dopo un viaggio d’affari di una decina di giorni proprio negli Usa. Alla vigilia, il sospetto era che la visita fosse una scusa per presentare le sue «credenziali» in vista di una candidatura. Sospetto confermato dalla sua conferenza stampa in un hotel nei pressi dell’aeroporto. «Dichiaro ufficialmente la mia intenzione di provare a ottenere la candidatura con il Guomindang», ha detto, chiarendo subito la sua linea: «La pace non è scontata e le persone devono fare la scelta giusta». Per Gou votare il Dpp di Tsai significherebbe guerra: «Dobbiamo dire onestamente ai giovani che è pericoloso votare per il Dpp».

Gou sostiene di essere l’uomo giusto per «risolvere la crisi» sullo Stretto, qualcosa che «i politici tradizionali non sono stati in grado di fare». Avendo rapporti sia con Pechino sia con Washington, si propone come «grande stabilizzatore». Un colosso statunitense come Apple dipende dalle sue forniture. Basti pensare alle ripercussioni delle proteste nel mega stabilimento di Zhengzhou, soprannominato iPhone City, sulle spedizioni in vista dello scorso Natale. Ma anche i funzionari del Partito comunista mantengono con lui un rapporto stretto, nella speranza di evitare una migrazione di Foxconn. Gou ha recentemente palesato la necessità di diversificare la produzione e ha predisposto grandi progetti di investimento in India. Ma allo stesso tempo ha affittato un nuovo terreno di 293 acri nello Henan.

Non è la prima volta che Gou tenta la scalata politica. Nel 2019, dopo aver ricevuto il placet di Trump in vista del voto del gennaio 2020, è stato sconfitto alle primarie del Gmd dal populista Han Kuo-yu. Un errore che il partito non si è mai perdonato. Dopo aver chiesto «agli dei» un segnale dai templi di Banqiao (Nuova Taipei), Gou ha deciso di riprovarci. L’annuncio arriva in un momento cruciale per il principale partito d’opposizione. L’ex presidente Ma Ying-jeou spinge invece per la nomina dell’ex poliziotto Hou Yu-ih.

Il presidente del partito, Eric Chu, coltiva ancora la speranza di provarci lui. Dalla spaccatura potrebbe emergere una figura di compromesso, anche perché stavolta non ci saranno le primarie e il nome sarà individuato da un comitato interno. Tutto da verificare è il gradimento dell’opinione pubblica taiwanese, che sembra invece preferire Hou. Gou ha garantito che anche qualora non fosse scelto, sosterrebbe il candidato del Gmd. Un sospiro di sollievo per il partito, visto che sta emergendo un terzo contendente potenzialmente più serio di quelli del passato, l’ex sindaco di Taipei Ko Wen-je. «Il Dpp vuole la guerra, il Gmd è troppo deferente a Pechino», ha dichiarato Ko. Nei giorni scorsi, manco a dirlo, partirà pure lui per gli Usa.

Ne ho scritto qui.

Nel frattempo, Foxconn sta pianificando di investire 820 milioni di dollari nei prossimi tre anni in nuovi impianti di produzione nel sud di Taiwan per sostenere le sue ambizioni in materia di veicoli elettrici (EV).

In arrivo la prima delegazione della Difesa degli Usa a Taiwan a distanza di 4 anni. Pechino sostiene che possa peggiorare i rapporti con Washington, già ai minimi termini.

Sebbene il 60% dei taiwanesi ritenga che le visite di alto livello da parte di funzionari statunitensi aumentino la probabilità che gli Stati Uniti inviino truppe per aiutare a difendere Taiwan da un futuro attacco, secondo un sondaggio di Academia Sinica, il 42% vuole che le relazioni tra Stati Uniti e Taiwan continuino come sono ora, e solo il 39% è favorevole a perseguire legami più stretti. In quale momento può diventare non più benvenuto il supporto politico degli Usa a Taiwan? Se lo chiede il Brookings Institute.

Gli aspetti economici
La possibilità di un aumento delle esercitazioni militari della Cina continentale nei pressi di Taiwan potrebbe lentamente allontanare investitori e fornitori. Già diverse aziende Usa ed europee aumentano i “contingency plan” e Washington indica Taiwan come zona a rischio per gli investimenti. Fa parte della strategia di Xi Jinping di arrivare alla riunificazione senza una guerra. Soffocando l’economia taiwanese si conta di renderla sempre più dipendente dal mercato cinese, arrivando così (è l’idea di Xi) anche a un futuribile accordo politico.
Secondo il South China Morning Post, nel 2021 “solo” 163.00 taiwanesi lavoravano nella Cina continentale, rispetto agli oltre 400.000 del 2011, e il totale è diminuito per otto anni consecutivi a causa del Covid ma anche delle tensioni politiche.

Anche le sanzioni rivolte a figure politiche mirano a recidere i rapporti tra mondo commerciale taiwanese e figure politiche del Dpp. Nessuna ripercussione diretta sul politico in questione, ma come ha dimostrato il caso di Far Eastern Group multe nel caso entità commerciali sponsorizzino eventi a cui partecipano figure nella “lista nera” di Pechino, anche retroattivamente. Una misura che colpisce ovviamente le tante aziende taiwanesi attive in Cina continentale. Forse anche per i troppi rapporti già stabiliti, Tsai non è mai stata inserita finora nella lista. Dopo l’incontro Tsai-McCarthy è stata inserita la rappresentante di Taipei a Washington, Hsiao Bi-khim, di cui si era parlato come possibile futura candidata del Dpp. Le sanzioni possono rappresentare una battuta di arresto.

Di armi normative e vicende specifiche come quella di Wu Rwei-ren che tocca il mondo della cultura ne ho parlato diverse volte, per esempio qui e qui.

La Cina continentale esaminerà le misure restrittive di Taiwan contro l’importazione di oltre 2.400 prodotti continentali dopo aver avviato un'”indagine sulle barriere commerciali”. La ministra dell’Economia di Taipei Wang Mei-hua ha accolto con favore le discussioni bilaterali “senza precondizioni” in merito all’indagine avviata da Pechino sulle restrizioni commerciali imposte da Taiwan su alcuni beni.

Taipei e Seul sembrano meno convinte del Giappone a seguire le restrizioni anticinesi volute da Washington. “Taiwan è Taiwan, non fa parte degli Stati Uniti”, ha detto il fondatore e capo della Powerchip in un’intervista. “Vogliamo mantenere la nostra democrazia, ma non siamo nemici della Cina e vogliamo continuare a farci affari”. “Alcune restrizioni sui semiconduttori imposte dagli Stati Uniti sono inaccettabili”. Oppure: “I divieti americani sono un favore per i produttori di chip cinesi e uno svantaggio per noi”. E ancora: “Sappiamo dall’inizio che le manovre degli Stati Uniti sui semiconduttori non sono giuste o buone per noi. Ma è difficile riuscire a dirlo esplicitamente”. Negli ultimi giorni è diventato esplicito qualcosa che era rimasto implicito per lungo tempo, anche se ben noto a chi ha contatti col settore: ai colossi taiwanesi dei microchip non piacciono per niente le iniziative della Casa Bianca sui semiconduttori.

Le tre dichiarazioni riportate all’inizio sono state rese tutte nel corso dell’ultima settimana, nell’ordine da: Mark Liu, amministratore delegato della Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), Tsai Ming-kai (presidente di Mediatek) e infine Frank Huang, fondatore e capo di Powerchip (PSMC). Tutti e tre hanno parlato proprio mentre la presidente taiwanese Tsai Ing-wen si trova in viaggio in America centrale, con un doppio scalo negli Stati Uniti tra New York e la California.

Ne ho scritto qui.

Diplomazia

Doveva essere la prima delegazione parlamentare italiana a Taiwan dal novembre 2019. Quando era tutto pronto, però, la missione è stata rinviata a data da destinarsi a un giorno dall’arrivo previsto (martedì 11 aprile). Dopo un consulto con la Farnesina, si è preferito evitare il viaggio in un momento di forti “tensioni internazionali”. Il piccolo drappello era composto per lo più da membri di Fratelli d’Italia. Sarebbe stato segnale, visto che Giorgia Meloni non è ancora andata a Pechino, a differenza degli altri principali leader europei. E nei prossimi mesi la premier è chiamata a prendere una decisione sulla Via della Seta. Confermata invece la presenza in Cina della sottosegretaria agli Esteri, Maria Tripodi, che ha partecipato alla cerimonia inaugurale della Fiera internazionale dei prodotti di consumo sull’isola di Hainan.  Della vicenda parla nel dettaglio qui Giulia Pompili.

Xi Jinping ha dichiarato che è “velleitario” aspettarsi che Pechino scenda a compromessi su Taiwan. Xi ha fatto queste osservazioni al presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen durante un incontro a Pechino. “La questione di Taiwan è al centro degli interessi fondamentali della Cina. Il governo cinese e il popolo cinese non accetteranno mai che qualcuno sollevi un polverone sulla questione dell’unica Cina”, ha dichiarato Xi.

Dopo le dichiarazioni della ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock sulla necessità di mantenere lo status quo, il responsabile diplomatico del Partito comunista, Wang Yi ha detto in un contro con Baerbock di “sperare e credere” che la Germania sosterrà la “riunificazione pacifica”.

Il parlamento francese invierà due delegazioni in visita a Taiwan questo mese, dopo che le osservazioni controverse del presidente Macron su Pechino e Taipei hanno scatenato critiche in patria e all’estero dopo il suo viaggio in visita di Stato nella Repubblica popolare.

Segnalazioni

Qui un’equilibrata analisi dell’incontro Tsai-McCarthy e della reazione di Pechino a cura di Amanda Hsiao.

Dal 31 marzo partecipo alla scuola di geopolitica “Domini”, organizzata dal centro studi Amistades. 12 ore tutte dedicate alla vicenda di Taiwan tra storia, politica, semiconduttori, prospettive di Taipei-Pechino-Washington, scenari futuri con sguardo alle elezioni presidenziali del 2024.  Qui per maggiori informazioni.

Dopo il successo delle passate formazioni (qui l’ultimo ciclo del 2022) arriva una nuova edizione della China Files School. Si svolgerà tra l’8 e il 25 maggio e sarà focalizzata su tutti i luoghi e dossier più “caldi” legati a Cina e Asia. Parteciperò all’incontro a tema Taiwan. Ecco come partecipare.

Di Lorenzo Lamperti

Taiwan Files – La puntata precedente

Taiwan Files – L’identikit di William Lai, nuovo leader del DPP

Taiwan Files – Le elezioni locali e l’impatto sulle presidenziali 2024

Intervista a Ma Ying-jeou

Qui per recuperare tutte le puntate di Taiwan Files