A Kaohsiung, esplosioni e incendi sono un incubo ricorrente. Nel 2014 si verificò una tristemente nota serie di esplosioni di gas nei distretti di Cianjhen e Lingya che causarono la morte di 32 persone e oltre 300 feriti. Un trauma dal quale la città si è ripresa a fatica. Un evento che causò forti critiche alle autorità per una presunta lenta risposta per fermare e isolare la fuga di gas dopo la prima segnalazione. La sindaca del Dpp Chen Chu fu citata per negligenza, mentre il suo partito presentò una causa contro l’ex sindaco (nonché ex presidente) del Guomindang per aver consentito di seppellire i gasdotti.
A distanza di oltre sette anni il fuoco torna a tormentare la seconda città di Taiwan, che ospita uno dei principali porti del mar Cinese meridionale. Nella notte tra il 13 e il 14 ottobre si è verificato un maxi incendio che ha distrutto un edificio della città provocando un bilancio tragico: 46 morti e 41 feriti. Il palazzo, di 13 piani, aveva circa 40 anni ed era abitato soprattutto da persone a basso reddito. I residenti hanno riferito di aver sentito una serie di forti rumori quando le fiamme sono divampate ai piani inferiori. La maggior parte delle vittime abitava tra il settimo e l’undicesimo piano, mentre i primi cinque piani erano vuoti, essendo adibiti a utilizzo commerciale.
Non è ancora chiara la dinamica dell’incidente, e tra i testimoni in molti hanno parlato di “una serie di forti rumori”, tanto che non è stata esclusa del tutto l’ipotesi del dolo. Ma intanto il tribunale distrettuale di Kaohsiung avrebbe arrestato una donna con accusa di negligenza. L’origine delle fiamme sarebbe l’appartamento condiviso dalla donna con il compagno, nel quale il fuoco sarebbe stato utilizzato “in modo improprio”.
Doppio dieci ed esercitazioni militari
Domenica 10 ottobre si è celebrata quella che viene considerata la festa nazionale della Repubblica di Cina, Taiwan. In questo 10 ottobre c’è stato qualcosa di diverso dal solito. Se anni recenti la scena era dominata da parate di minoranze etniche, carri colorati e fuochi d’artificio, stavolta i protagonisti saranno 47 aerei da combattimento impegnati in un’esibizione sopra il palazzo presidenziale e quattro nuovi tipi di missili. È la prima volta da quando Tsai Ing-wen è presidente che durante la ricorrenza vengono messi in mostra mezzi militari. Sintomo delle crescenti tensioni nei rapporti con la Cina.
Eppure, la sorte di Taiwan non è sempre stata considerata fondamentale dalla Cina. L’isola è stata definita “una palla di fango oltre il mare, che non aggiunge nulla alla vastità dell’impero” durante l’era Qing nel diciassettesimo secolo. A lungo periferia, semiabbandonata, nel 1885 diventa provincia autonoma ma dopo soli dieci anni cade in mano al Giappone. Tutto cambia nel 1949 con la fine della guerra civile, la nascita della Repubblica Popolare e il trasferimento sull’isola del governo nazionalista di Chiang Kai-shek. Per il Partito comunista l’indipendenza de facto di Taiwan, seppure oggi riconosciuta solo da 15 paesi nel mondo, rappresenta l’ultima ferita del “secolo delle umiliazioni”, durante il quale la Cina era stata ridotta a semi colonia. Ma non si tratta solo di questioni storiche. Col tempo, Taipei è diventata una spina nel fianco a causa del suo avvicinamento agli Stati Uniti e a potenze medie regionali come Giappone e Australia. E un tappo alle crescenti ambizioni marittime cinesi. Ma è anche utile, vista la sua leadership mondiale nella fabbricazione dei semiconduttori, cruciali per conquistare la supremazia tecnologica desiderata da Pechino. Il Partito comunista non può rinunciare alla riunificazione, quantomeno a livello retorico. Senza Taiwan, la Cina non potrà completare la sua rinascita. Ma intanto Taipei si allontana sempre di più.
Come da “tradizione”, la prima decade di ottobre è stata particolarmente tesa sullo Stretto. Dopo il passaggio degli aerei cinesi, è arrivata anche la notizia di un’esercitazione nel Fujian, la provincia meridionale della Repubblica Popolare a poche miglia dalle prime isole amministrate da Taipei. Durante i test sono state effettuate simulazioni di sbarco su una porzione di spiaggia, con il coinvolgimento di forze armate che hanno scavato trincee, lanciato granate e distrutto barriere in filo spinato.
A proposito delle esercitazioni militari e invio di aerei, Ma Xiaoguang, portavoce dell’Ufficio per gli affari di Taiwan di Pechino, ha detto che tutte le azioni sono necessarie per “salvaguardare fondamentalmente gli interessi generali della nazione cinese e gli interessi vitali delle persone su entrambi i lati dello stretto di Taiwan”.
I discorsi di Xi Jinping e Tsai Ing-wen
La novità è che non ha pronunciato la formula “senza escludere l’utilizzo della forza”. Xi Jinping ribadisce l’impegno alla “riunificazione” tra Repubblica Popolare Cinese e Taiwan, definendola una “questione interna” nella quale non saranno ammesse “interferenze”. Lo ha fatto parlando dalla Grande sala del popolo, in occasione del discorso in memoria della rivolta di Wuchang, la scintilla che fece esplodere la rivoluzione Xinhai che portò alla fine della dinastia Qing e alla fondazione della Repubblica di Cina. Quella Repubblica di Cina che oggi è il nome ufficiale di Taiwan, la cui separazione dalla “madrepatria” per Xi è il risultato di debolezza e caos che ora hanno lasciato posto a forza e ordine. Ecco perché “nessuno dovrebbe sottovalutare la solida determinazione del popolo cinese e la sua forte capacità di difendere la sovranità nazionale”. Dopo la restituzione (e normalizzazione) di Hong Kong e Macao, il “secessionismo di Taiwan” è rimasto “il più grande ostacolo alla riunificazione nazionale e una seria minaccia al ringiovanimento nazionale. Chiunque voglia tradire e separare il paese sarà condannato dalla storia”.
Ma, rispetto al recente passato, i toni del discorso sono stati meno aggressivi. “La riunificazione con mezzi pacifici serve al meglio gli interessi della nazione cinese nel suo insieme, compresi i connazionali di Taiwan”, ha dichiarato Xi, citando la necessità di aderire al principio dell’unica Cina e al “consenso del 1992”. A luglio aveva promesso di “distruggere” qualsiasi tentativo di indipendenza formale di Taipei. Ancora più emblematico il discorso del 2 gennaio 2019, quando non escluse l’utilizzo della forza per completare la riunificazione. Parole volte a spingere il Guomindang verso le elezioni presidenziali del 2020, ma che unite alle proteste e alla stretta su Hong Kong ebbero l’effetto opposto, spianando la strada alla conferma di Tsai Ing-wen. L’ufficio di presidenza di Taipei, in attesa del discorso di domenica di Tsai, ha respinto l’offerta del modello “un paese, due sistemi”, reiterata da Xi. E il Consiglio per le relazioni intrastretto ha invitato Pechino ad abbandonare le “misure provocatorie e di intrusione”, sottolineando che “solo i 23 milioni di abitanti” dell’isola hanno il diritto di “decidere il futuro e lo sviluppo di Taiwan”. Xi implementa una “narrativa storica olistica”, come l’ha definita Xie Maosong dell’università Tsinghua. Narrativa secondo la quale la visione di Sun Yat-sen è stata ereditata proprio dal Partito comunista in seguito alla morte del fondatore del Guomindang e primo presidente della Repubblica di Cina, e non dai nazionalisti di Chiang Kai-shek fuggiti a Taiwan.
Nel suo discorso, invece, Tsai ha affermato che Taiwan continuerà a rafforzare la difesa nazionale e “dimostrare la determinazione a difendersi”, per garantire che nessuno possa costringere l’isola a seguire la strada “che la Cina ha tracciato”. Tsai ha riaffermato il diritto all’autodeterminazione per i 23 milioni di cittadini taiwanesi, elogiando la crescita economica di Taiwan.
Nel suo discorso, Tsai ha ribadito il suo invito a Pechino “a impegnarsi in un dialogo sulla base della parità” e ha affermato di essere favorevole al mantenimento dell’attuale status quo tra i due vicini, nonostante le “sfide senza precedenti” causate secondo lei dalle pressioni della Repubblica Popolare. Ma ha avvertito che ciò che accade a Taiwan avrebbe importanti implicazioni regionali e globali: “Ogni passo che facciamo influenzerà la direzione futura del nostro mondo, e la direzione futura del nostro mondo influenzerà anche il futuro di Taiwan stessa”.
Pechino ha replicato accusando Tsai di esigere un qualcosa che non può concedere, vale a dire un dialogo alla pari tra stato e stato. Dinamica esemplificativa dello stallo esistente nel dialogo bilaterale dal 2016. Pechino pone come precondizione al dialogo l’accettazione del “consenso del 1992”, Tsai pone invece come condizione quella che non ci siano precondizioni.
Attenzione alle sottigliezze, ai non detti e alle linee irregolari che esistono nei rapporti intrastretto. Per Tsai e il Dpp di fatto esistono già due stati, la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica di Cina. Una presa d’atto di una situazione de facto, ma che nel discorso di domenica Tsai ha reso più esplicita, ponendo un accento maggiore sulla “non appartenenza reciproca” delle due entità. Posizione che non piace a Pechino, che la considera “secessionista”, nonostante rappresenti in realtà una posizione vissuta da Tsai e dal Dpp (così come dall’elettorato più indipendentista) come un “compromesso”, perché non realizza l’ambita indipendenza come Repubblica di Taiwan. Posizione diversa rispetto a quella del Guomindang, che invece ritiene sì Taiwan essere parte della Cina, ma della Repubblica di Cina, non della Repubblica Popolare Cinese. Questo perché costituzionalmente la Repubblica di Cina rivendica il controllo di tutto il territorio cinese.
Per approfondire ho scritto due articoli a cavallo del “doppio dieci”:
Analisi del discorso di Xi JInping per Il Manifesto
Ricostruzione del senso di Pechino per Taipei per La Stampa
Qui invece si può rivedere il video dell’incontro organizzato da ISPI al quale ho preso parte
E inoltre:
Un anniversario, due usi: come Cina e Taiwan ricordano la rivoluzione Xinhai
Il nuovo numero di Limes, interamente dedicato a Taiwan
La strategia militare e la scelta del 2024 “tra guerra e pace”
Nei giorni scorsi, il ministro della Difesa di Taipei Chiu Kuo-cheng è intervenuto allo Yuan legislativo per un’audizione. Tra i passaggi più rilevanti del suo intervento, Chiu ha dichiarato che Taipei non inizierà una guerra, ma che se ce ne fosse una si difenderà “fino in fondo”. I proiettili “non fanno discriminazioni di colore politico una volta che la guerra è cominciata”, ha aggiunto, spiegando che le recenti incursioni aeree dell’esercito popolare di liberazione sono state “un test delle capacità di rifornimento in aria”. Lo stesso ministro ha dichiarato che le forze armate di Taiwan rafforzeranno l’addestramento del personale militare, introducendo un corso contro la disinformazione teso a contrastare la “guerra cognitiva della Cina”.
Prosegue intanto la pubblicazione di articoli di “avvertimento” ai “secessionisti” taiwanesi sui media di stato di Pechino. Il Global Times descrive un possibile scenario di invasione: “L’Epl potrebbe iniziare con la guerra elettronica, assordando e accecando l’esercito di Taiwan, poi pioveranno razzi e missili a lungo raggio, distruggendo la maggior parte delle armi e delle attrezzature di Taiwan, nonché i centri di comando. Questo sarà seguito da attacchi aerei guidati da aerei stealth, che prenderanno la superiorità aerea, e allo stesso tempo, le navi da guerra, comprese le portaerei, si assicureranno le vie del mare per un assalto anfibio e bloccheranno l’isola da interventi stranieri, secondo gli analisti militari. Truppe pesantemente armate attraverseranno lo stretto su navi da sbarco, e alla fine prenderanno l’isola”.
Un conflitto non è l’unica opzione. Nelle scorse settimane, tra l’altro, Xi ha ritrovato un possibile interlocutore politico a Taiwan in Eric Chu, nuovo leader del Guomindang che ha interrotto il processo di taiwanizzazione e che ora Pechino spera possa tornare in corsa per la vittoria alle elezioni del 2024. Anno potenzialmente decisivo, ma intanto Xi non resterà fermo. La zona grigia intorno a Taiwan, al di là delle dichiarazioni ufficiali, continua a estendersi. Appare comunque evidente che le pressioni ci saranno e forse aumenteranno nell’avvicinamento alle elezioni del 2024, che potrebbero essere presentate da Pechino (ma anche dallo stesso Guomindang) come una “scelta tra guerra e pace”.
Dei pericoli di un possibile conflitto parlano nel dettaglio anche il Financial Times e Foreign Affairs:
The acute dangers of a conflict over Taiwan
How to Prevent an Accidental War Over Taiwan
Il dossier taiwanese tra Cina e Usa
Arrivano nuove rassicurazioni a Taiwan dagli Stati Uniti. Jen Psaki, portavoce della Casa Bianca, ha definito l’impegno Usa verso Taiwan “solidissimo”. Definizione arrivata in risposta a una domanda sulla posizione americana sugli obiettivi di riunificazione esplicitati da Xi Jinping. Lo scontro diplomatico tra Washington e Pechino sul dossier taiwanese prosegue senza sosta. Il portavoce del Pentagono, John Kirby, ha definito “destabilizzanti” le attività militari condotte dalla Cina nei pressi dell’isola e ha confermato il supporto di Washington a Taiwan. Le misure prese dalla Cina sono “legittime e ragionevoli”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, “e mirano a salvaguardare la sovranità, la sicurezza e l’integrità territoriale della Cina”. Gli Usa devono “smettere di fare commenti irresponsabili su Taiwan e sulle questioni marittime”, ha intimato Zhao.
Appoggio alla Cina arriva dalla Russia. Prima ci sono state le dichiarazioni del ministro degli Esteri di Mosca, Sergej Lavrov: “Proprio come la stragrande maggioranza degli altri Paesi, la Russia vede Taiwan come parte della Repubblica popolare cinese. Questa e’ la premessa su cui si basa la nostra politica”, ha detto Lavrov rispondendo ad un giornalista che gli chiedeva se la Russia vede l’attuale situazione di Taiwan come una minaccia alla sicurezza regionale. Poi è stata la volta di Vladimir Putin, che ha dichiarato: “Penso che la Cina non abbia bisogno di usare la forza. La Cina è una enorme, potente economia e in termini di parità d’acquisto è la prima economia al mondo, davanti agli Stati Uniti. Aumentando il suo potenziale economico, la Cina può realizzare i suoi obiettivi nazionali. Non vedo alcuna minaccia”.
Pechino si lamenta invece con l’Australia per le dichiarazioni dell’ex primo ministro Tony Abbott, presente a Taipei la scorsa settimana.
Rapporti con l’Europa
Abbiamo raccontato più volte di come Taiwan stia trovando spazio diplomatico in Europa centro-orientale, come testimonia il prossimo viaggio di alto livello in programma tra Repubblica Ceca, Slovacchia e Lituania. Proprio da Praga arrivano notizie interessanti, con la commissione Affari esteri, difesa e sicurezza del Senato ceco che ha approvato una risoluzione volta a stabilire rapporti ufficiali con Taiwan. L’ambasciata della Repubblica Popolare Cinese a Praga ha dichiarato che la Cina “si oppone fermamente” e invita la Repubblica Ceca ad attenersi al principio della “unica Cina”.
Di Taiwan si è parlato anche nella telefonata tra il presidente del Consiglio Ue Charles Michel e il presidente cinese Xi Jinping. Michel ha espresso preoccupazione per la situazione nel Mar Cinese meridionale alla luce delle recenti tensioni.
In Italia, la Lega è sempre più vocale su Taiwan. Dopo la notizia del probabile viaggio a Taipei di Gian Marco Centinaio, da registrare le dichiarazioni dell’europarlamentare Anna Cinzia Bonfrisco, che ne chiede il riconoscimento e che dice che di fronte alle pressioni cinesi “l’Unione Europea non può rimanere silente e, sia con un’interrogazione prioritaria e sia con una proposta di risoluzione, si chiede che il Consiglio riconosca la Repubblica di Cina-Taiwan, uno Stato indipendente, sovrano, con una propria difesa nazionale, che conduce le proprie relazioni estere e ha una Costituzione e un governo democratici”.
Mercoledì 19 ottobre è intanto previsto il voto in plenaria del parlamento europeo sul documento approvato in commissione affari esteri che sollecita Bruxelles a rafforzare i legami con Taipei (ne avevo scritto nel dettaglio qui), dopo il primo rinvio del 6 ottobre.
Semiconduttori taiwanesi in Giappone
Prosegue l’espansione globale di Tsmc, leader mondiale nell fabbricazione e l’assemblaggio di wafer di semiconduttori. Dopo le indiscrezioni delle scorse settimane, ora è ufficiale: il Giappone co-finanzierà la costruzione di una fabbrica del colosso taiwanese. “Costruire una stabile fornitura di chip importante da un punto di vista della sicurezza nazionale”, ha detto il ministro dell’Economia, commercio e industria Koichi Hagiuda nell’annunciare il pacchetto di aiuti. L’annuncio arriva dopo che il neo-premier Fumio Kishida ha sottolineato che punta ad avere in Giappone “un’industria dei semiconduttori autosufficiente che dia un contributo importante alla sicurezza economica” del paese.
Cultura e lingua
Harvard sposterà il suo programma di lingua cinese da Pechino a Taipei il prossimo anno. Jennifer Liu, direttore del programma estivo di studio all’estero Harvard Beijing Academy, ha detto al giornale studentesco The Harvard Crimson che la decisione è stata presa a causa di una mancanza di cordialità percepita dall’istituzione ospitante, Beijing Language and Culture University (BLCU).
Taiwan sta investendo molto per sostenere le sue aspirazioni di rappresentare un’alternativa agli Istituti Confucio per l’apprendimento della lingua. Le scuole che ospitano i TCML possono richiedere il finanziamento del governo di Taiwan fino a 38.000 dollari all’anno per coprire le voci, comprese le spese di gestione e i “sussidi di performance” per soddisfare le metriche di qualità dell’insegnamento.
La de-sinizzazione dei libri di testo e dell’insegnamento taiwanese non piacciono a Pechino. Nel panorama politico taiwanese, invece, c’è chi si batte per il riconoscimento delle diversità linguistiche.
Di Lorenzo Lamperti
Le puntate precedenti di Taiwan Files
Aerei, marines, feste nazionali e incroci diplomatici
Eric Chu, movimenti militari, rapporti con l’Ue e chip
Elezioni Guomindang, CPTPP, francesi a Taipei
Moon Festival, wargames, Pacifico, chip e spazio
Super tifoni, venti militari, brezze elettorali e aliti di storia
Sicurezza, budget militare, Europa, M5s e fantasmi
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.