Il transito di Lai alle Hawaii e a Guam. La risposta “silenziosa” di Pechino, che rompe le consuetudini degli ultimi anni. Il vice sindaco di Shanghai a Taipei, l’ex presidente Ma torna in Cina continentale. Manovre verso il Trump bis. L’inciampo del DPP sulla legge marziale in Corea del Sud. Il figlio di Bo Xilai a Taiwan. Lo scandalo che ha portato alle dimissioni della ministra del Lavoro. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
Come su Taiwan Files era stato ipotizzato la prima volta già a settembre, Lai Ching-te ha effettuato il suo primo “transito” su territori degli Stati Uniti da quando è entrato in carica. Come anticipato a metà novembre, la prima meta sono state le Hawaii, a cui si è aggiunta Guam nell’ambito di un tour nel Pacifico meridionale con tappa nei tre paesi rimasti a intrattenere relazioni diplomatiche ufficiali con la Repubblica di Cina (Taiwan): Isole Marshall, Tuvalu e Palau. Un po’ tutti si attendevano un nuovo round di esercitazioni militari da parte della Repubblica Popolare Cinese, presumibilmente con l’etichetta di “Spada Congiunta 2024C”, in seguito alle due precedenti manovre di maggio (subito dopo l’insediamento di Lai) e di ottobre (in seguito al suo primo discorso in occasione della festa nazionale). Non è andata esattamente così, il che apre scenari interessanti. Nel frattempo, continuano gli scambi tra opposizione e Pechino, col Taipei-Shanghai Twin City Forum e un nuovo viaggio dell’ex presidente Ma Ying-jeou in Cina continentale. Mentre ci si prepara al ritorno di Donald Trump. Tra le altre notizie, il matrimonio del figlio di Bo Xilai, l’inciampo del DPP sulla legge marziale in Corea del Sud e lo scandalo di bullismo che ha condotto al suicidio di un funzionario e alle dimissioni della ministra del Lavoro. Andiamo per ordine.
Com’è nato e com’è andato il viaggio di Lai
Come ho scritto qui, dopo mesi di trattative, Lai ha effettuato il suo primo viaggio all’estero tra il 30 novembre e il 6 dicembre. Destinazione i tre paesi del Pacifico meridionale rimasti a mantenere rapporti diplomatici ufficiali con Taipei: isole Marshall, Tuvalu e Palau. Come da tradizione, durante questi viaggi i leader taiwanesi fanno dei cosiddetti “transiti” in territorio statunitense. La prassi prevede passaggi dal “continente” (New York e California) in caso di visite agli alleati dell’America latina, oppure da Hawaii e Guam in caso di visite nel Pacifico meridionale.
Secondo quanto risulta, da Washington è stato suggerito a Lai di optare per la seconda ipotesi. In una fase di transizione politica come quella in corsa, gli USA hanno preferito evitare incontri di alto livello, che sarebbero stati più probabile sul “continente”. Alle Hawaii e a Guam, Lai ha avuto un’agenda pubblica in linea con le precedenti visite di Tsai, nel 2017 e nel 2019. In quelle occasioni, Pechino non era andata oltre il manifestare il suo disappunto, senza arrivare a manovre militari. Ma oggi è tutto diverso.
La visita di Pelosi è stata uno spartiacque che ha generato una sfiducia totale tra i tre attori – Pechino, Taipei e Washington -, deteriorando uno status quo in fase di complicata ridefinizione. La Cina sta testando con sempre maggiore frequenza le linee rosse militari di Taiwan, riducendone lo spazio di manovra. Gli Stati Uniti stanno testando con maggiore frequenza le linee rosse diplomatiche di Pechino, con visite di alto livello e invii di armi che si sono aggiunti alle vendite. Con Lai, Taiwan ha a sua volta adottato una linea meno ambigua sulla sovranità e il suo status. Risultato: tutte e tre le parti stanno portando chiarezza a un’ambiguità strategica che aveva a lungo garantito stabilità.
A rafforzare la convinzione di una reazione militare da parte di Pechino, il fatto che durante il suo passaggio da Hawaii e Guam Lai abbia avuto conversazioni telefoniche con diversi politici americani, tra cui Pelosi e soprattutto Mike Johnson, l’attuale presidente della Camera.
Esercitazioni più imponenti di sempre o semplice addestramento?
Assai interessante quanto avvenuto dopo il rientro di Lai. Taipei ha segnalato a più riprese intense manovre militari della Cina nella regione. Pechino non ha mai annunciato né confermato nulla. Una novità assoluta, considerato che nei precedenti e sempre più frequenti round di esercitazioni militari, le autorità cinesi hanno sempre fornito diversi dettagli. Un modo per segnalare la capacità di esercitare le proprie pretese di sovranità sulle acque intorno a Taiwan, “punendo” le cosiddette “forze indipendentiste” e le “interferenze straniere”.
Ci si chiede allora come mai, se davvero l’Esercito popolare di liberazione ha dispiegato la più ampia flotta navale dai tempi della Terza Crisi sullo Stretto del 1996, questa volta si sia deciso di non comunicare niente. Tanto da far credere a qualcuno che in realtà possa essersi trattato di operazioni di addestramento, più che di veri e propri giochi di guerra. O, forse, di una mossa puramente scenografica di postura per tracciare una linea rossa nelle acque più strategiche al mondo: segnale a uso e consumo degli Stati Uniti e in particolare della prossima seconda amministrazione Trump.
Lunedì 9 dicembre, Taiwan ha comunicato che sarebbero state istituite sette zone di interdizione aerea fino all’11 dicembre, dispiegate su un vasto territorio che va dal largo della costa della provincia del Guangdong fino alla metropoli Shanghai, passando per le province del Fujian e dello Zhejiang. Ciò ha fatto subito venire in mente quanto accaduto ad agosto 2022, quando in risposta alla visita a Taipei di Nancy Pelosi, allora presidente della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Pechino predispose sette aree militari tutto intorno a Taiwan. In alcune di esse fu imposta l’interdizione aerea, con coordinate precise. Fu il preludio a esercitazioni a fuoco vivo e il lancio di 11 missili Dongfeng, cinque dei quali sorvolarono a grande altezza l’isola. Questa volta, però, le zone di interdizione erano assai più vicine alle coste della Cina continentale, quasi come a schermarle e proteggerle. Non sono state segnalate esercitazioni a fuoco vivo, né si è registrato un qualsivoglia impatto sui voli civili, a differenza di agosto 2022.
Fonti della sicurezza di Taipei hanno fatto trapelare alla Reuters che nelle manovre sarebbero state impiegate almeno 90 navi, di cui circa due terzi della marina militare e il restante terzo della guardia costiera. Si tratta di un numero più che doppio rispetto ai precedenti round di esercitazioni intorno a Taiwan, anche più di agosto 2022. A essere coinvolto non solo lo Stretto, ma anche zone del Mar Cinese orientale e del Mar Cinese meridionale, dove Pechino è coinvolta in dispute territoriali irrisolte con Giappone e Filippine.
Questo elemento rappresenta di per sé una novità perché mostra la capacità di coordinamento tra almeno tre diversi comandi dell’Esercito popolare di liberazione: non solo quello del teatro orientale, che ha in carico il dossier taiwanese, ma anche quelli dei teatri meridionale e settentrionale. Pressoché immediato il collegamento alle indiscrezioni apparse qualche settimana fa sull’agenzia di stampa giapponese Kyodo, secondo cui gli Stati Uniti starebbero elaborando nuovi piani militari di emergenza, col possibile dispiegamento di truppe e di missili tra le isole meridionali del Giappone e quelle settentrionali delle Filippine. Manovre così ampie delle forze armate cinesi potrebbero avere dunque lo scopo di segnalare la futilità dei piani di Washington, manifestando la capacità da parte di Pechino di presidiare un’area talmente ampia da rendere lo Stretto di Taiwan una sorta di “mare interno”.
Da Pechino non è arrivato però alcun annuncio. Tanto che, tra mercoledì e giovedì, le autorità taiwanesi hanno parzialmente rettificato. Lo stesso Hsieh ha spiegato che non si è trattato di classici giochi di guerra. Le manovre sono nello stato di “addestramento regolare”, ha dichiarato il funzionario, sottolineando però come fosse poco usuale mobilitare forze militari su una scala così ampia ed effettuare esercitazioni in un’area così vasta. Nel mattino di venerdì 13 dicembre, la guardia costiera taiwanese ha confermato che le navi cinesi sono rientrate nei porti del continente, ritenendo dunque “concluse” le massicce operazioni dei giorni precedenti.
La Cina ha solitamente tutto l’interesse a comunicare anche enfaticamente gli obiettivi delle sue esercitazioni, spesso in realtà annunciando più di quanto non faccia effettivamente sul campo. L’assenza di comunicazioni dopo il viaggio di Lai lascia Taipei a interrogarsi sulle ragioni della mancata reazione, quantomeno esplicita. C’è chi fa notare che Lai è il primo presidente taiwanese a non recarsi sul continente americano nei primi sette mesi del suo mandato. Ma Lai è anche ritenuto un “secessionista” più radicale di Tsai. Assai rilevante che Xi abbia menzionato direttamente il suo nome nel suo ultimo incontro di novembre con Biden, a Lima. Quasi ad avvertire che non si può continuare col “business as usual”. Personalizzare il problema significa dire a livello internazionale, ma anche e soprattutto a livello interno: “Noi e Taipei potremmo andare d’accordo, se non accade è colpa di Lai e del suo partito”. Così si lascia intravedere al pubblico cinese la possibilità di una “riunificazione pacifica”, la cui speranza vera o immaginaria deve essere lasciata viva per giustificare la pazienza strategica. E al pubblico internazionale si provano a giustificare eventuali mosse coercitive.
Pechino potrebbe essersi tenuta uno spazio di manovra per reagire con nuove esercitazioni quando Lai effettivamente transiterà sulla costa orientale o occidentale degli Stati Uniti. Da ricordare, peraltro, che Lai si trovava alle Hawaii il 2 dicembre, esattamente otto anni dopo la telefonata fra Trump e Tsai Ing-wen del 2 dicembre 2016. Si era anche allora nella fase di transizione dopo una vittoria elettorale di Trump e quello resta a oggi lo scambio ufficiale di più alto livello tra Taipei e Washington dal 1979.
Ci sono altri due elementi da tenere in considerazione. Il primo: la successione di azione e reazione degli scorsi anni ha creato una sorta di abitudinarietà. A ogni visita o incontro di alto livello, a ogni discorso o ricorrenza rilevante, Pechino ha sempre risposto con una certa commisurazione. Quasi a creare una sorta di dialogo perverso, in assenza di un colloquio politico ufficiale tra le due sponde dello Stretto. A uno sguardo superficiale, non rispondere ufficialmente al viaggio di Lai potrebbe sembrare un abbassamento della tensione, ma interrompe invece quel dialogo perverso e aggiunge dunque delle incognite.
E qui si viene al secondo elemento: accentuare l’ambiguità tra addestramento ed esercitazioni potrebbe a sua volta accentuare quello tra esercitazioni e azione militare vera e propria. Facendo dunque sì che per Taipei possa diventare più complicato accorgersene in tempo. Di più. Lasciando la comunicazione, recentemente molto più densa di dettagli, a Taiwan si potrebbe puntare ad abbassarne la credibilità. Come la famosa favola dell’urlare “al lupo, al lupo” troppe volte, causando un abbassamento dell’attenzione generale.
Ne ho scritto nel dettaglio qui.
A proposito di manovre militari, Taiwan ha cambiato la soglia di allarme per i raid aerei. In passato, l’isola emetteva un allarme aereo se gli aerei o le navi dell’Esercito Popolare di Liberazione si trovavano a meno di 70 miglia nautiche dalla costa taiwanese, ma negli ultimi anni questa soglia è stata silenziosamente rivista a 24 miglia nautiche. Mossa resasi necessaria per la regolarizzazione delle manovre di Pechino sullo Stretto. Secondo il South China Morning Post, questo cambiamento potrebbe lasciare solo tre minuti per cercare riparo in caso di attacco aereo.
Taipei-Shanghai Forum, Ma Ying-jeou in Cina continentale e altre notizie sulle relazioni intrastretto
Martedì 17 dicembre è in programma l’annuale forum Taipei-Shanghai Twin City. A Taipei in arrivo il vice sindaco di Shanghai Hua Yan, anche se il governo ha sollevato delle perplessità verso Chiang Wan-an, sindaco della capitale ed esponente sempre più rilevante del Guomindang.
L’ex presidente taiwanese Ma Ying-jeou visiterà la Cina continentale, la sua terza visita negli ultimi due anni, in un’altra iniziativa volta a promuovere gli scambi interpersonali nello Stretto. Ma guiderà una delegazione di giovani taiwanesi in visita alle città di Harbin, nel nord-est, e Chengdu, nel sud-ovest, per un viaggio di nove giorni a partire dal 18 dicembre. Nella precedente visita, Ma è stato ricevuto da Xi Jinping a Pechino (qui analisi su quell’incontro e qui mia intervista a Ma dell’ottobre 2022).
In precedenza, un gruppo di 40 studenti universitari e membri di facoltà cinesi è stato a Taiwan per un viaggio di nove giorni su invito di una fondazione di Ma. Alla visita hanno partecipato persone provenienti da sette università cinesi d’élite, tra cui il sei volte campione olimpico di tennis da tavolo Ma Long dell’Università dello Sport di Pechino e la medaglia d’oro di Tokyo 2020 nel tiro a segno Yang Qian dell’Università Tsinghua.
Wang Jin-pying, ex presidente dello Yuan legislativo, ha incontrato il capo dell’Ufficio degli Affari di Taiwan di Pechino. Durante il viaggio, ha proposto una nuova visione delle relazioni tra le due sponde dello Stretto: 两岸治权互不隶属,主权同而不分, che Wang Zichen traduce come “le giurisdizioni delle due parti non sono subordinate l’una all’altra, e la sovranità è una senza divisione”. Una sorta di aggiornamento del “consenso del 1992”.
Niente colloqui tra il rappresentante di Taipei al summit APEC in Perù. L’ultimo scambio in questa sede è stato quello tra Xi e Morris Chang, il fondatore della TSMC, nel novembre 2022 a Bangkok.
A proposito di TSMC, interessante che le autorità di Pechino la citino direttamente, sostenendo che il DPP usa TSMC come “pegno di fedeltà” per corteggiare gli Stati Uniti.
Rilasciato dopo quattro mesi un pescatore taiwanese dalle autorità del Fujian.
Il governo di Taiwan ha lanciato una nuova linea telefonica diretta per aiutare le persone a valutare i possibili rischi per la sicurezza prima di recarsi nella Cina continentale, a Hong Kong o a Macao. Il numero di taiwanesi ad aver usato il “sistema di registrazione online per i cittadini taiwanesi che visitano la Cina continentale” quest’anno fino al 31 ottobre è aumentato di 14 volte rispetto allo stesso periodo del 2023. Anche le registrazioni per le persone che viaggiano a Hong Kong e Macao sono aumentate di cinque volte rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Dati in linea anche con un netto aumento delle visite in questi territori, registrato in questi mesi.
Pechino sta chiedendo a Taipei di riaprire le linee turistiche interrotte sin dall’inizio della pandemia o in alcuni casi anche da prima.
In un video di 40 minuti, lo youtuber taiwanese Pa Chiung ha intervistato il rapper taiwanese Chen Po-yuan, il quale ha affermato di aver ricevuto indicazioni, anche se non finanziamenti, dal Dipartimento del lavoro del Fronte Unito cinese mentre lavorava in Cina continentale su come produrre contenuti rivolti al pubblico taiwanese. La vicenda ha fatto discutere a Taipei, mentre Pechino e smentisce e contrattacca parlando di “esercito internet” del DPP .
Verso il Trump bis
Taiwan si prepara al Trump bis e sta comunicando al tycoon che ha ascoltato le sue critiche sulle spese di difesa. Il ministero della Difesa di Taipei ha annunciato che spenderà almeno 2,2 miliardi di dollari in armi fornite dagli americani nel 2025, dopo l’insediamento di Trump. Un modo per ingraziarsi il tycoon all’inizio del suo secondo mandato. Ma al di là degli annunci, come già detto tante volte, restano diversi problemi. Ci sono dubbi sul fatto che Taiwan abbia la capacità di assorbire e integrare l’enorme numero di sistemi d’arma che ha già acquistato e che ha iniziato a ricevere dopo lunghi ritardi. Tra questi ci sono i missili anticarro Javelin, i missili antinave Harpoon e i sistemi missilistici di artiglieria ad alta mobilità (HIMARS). Taipei vuole aggiungere anche i caccia F-35, i missili Patriot e il cacciatorpediniere Aegis. Armi molto costose, che richiedono tempo e addestramento per essere integrate efficacemente. Oltre a un trasferimento tecnologico ancora vacillante.
Secondo Reuters, due alti membri del governo di Taiwan sono stati negli Stati Uniti per incontrare persone legate alla squadra di transizione del presidente eletto Donald Trump, nel tentativo di Taiwan di stabilire legami con l’amministrazione entrante. Lin Fei-fan e Hsu Szu-chien, entrambi vice segretari generali del Consiglio di sicurezza nazionale di Taiwan, e diversi membri del loro staff si sono recati nell’area di Washington per incontri riservati, dopo che il team di Lai non era riuscito a parlare con quello di Trump per diversi mesi.
Nel frattempo, il presidente uscente Biden si è affrettato a chiudere un accordo che comprende fino a 6,6 miliardi di dollari di sovvenzioni e fino a 5 miliardi di dollari di prestiti per il colosso taiwanese dei chip TSMC (che prova a mantenere una posizione aperta alla cooperazione anche con Pechino) in Arizona. È, in extremis, la prima importante assegnazione nell’ambito del Chips Act a essere stata finalizzata. Secondo il dipartimento del Commercio, si tratta anche del più grande investimento straniero in un nuovo progetto manifatturiero nella storia degli Stati Uniti. Biden è andato in contropiede per non alimentare i malumori già presenti nei corridoi di TSMC, che dovrà fronteggiare le incognite di Trump sul Chips Act, che in questi anni ha dovuto anche rallentare parecchio i lavori in Arizona a causa di alcune rimostranze dei sindacati che lamentavano l’assunzione di ingegneri taiwanesi. Ne ho scritto qui.
Personale statunitense è stato avvistato mentre addestrava una squadra d’élite della guardia costiera nel sud di Taiwan. Nello specifico, il personale statunitense avrebbe aiutato la Special Task Unit (STU) dell’Amministrazione della Guardia Costiera di Taiwan a simulare un’esercitazione di abbordaggio al largo della città portuale di Kaohsiung. Truppe taiwanesi sarebbero invece state addestrate in Michigan.
Analisti taiwanesi ritengono improbabile un’invasione durante il Trump bis. L’ammiraglio statunitense Paparo ha smentito la validità della tanto sbandierata “finestra di Davidson” che prevede l’invasione di Taiwan entro il 2027, osservando che saranno le condizioni – e non i calendari – a guidare le decisioni di Pechino sull’uso della forza.
L’inciampo del DPP sulla legge marziale in Corea del Sud
Al coro di sdegno per l’imposizione delle legge marziale da parte del presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, Taiwan ha (almeno per un momento) rappresentato un caso a parte. Il DPP al governo sembrava in un primo momento appoggiare Yoon. “Il parlamento sudcoreano è stato manipolato dalle forze nordcoreane”, si leggeva in un post su Threads pubblicato poco dopo la conferenza stampa di Yoon, tracciando un parallelo con le presunte posizioni filo Pechino dell’opposizione taiwanese, che come quella sudcoreana ha la maggioranza parlamentare. Il post è stato rimosso dopo pochi minuti e sostituito da una critica della legge marziale, con Lai che è intervenuto durante il suo viaggio nel Pacifico, ma la polemica è comunque esplosa. Taiwan ha d’altronde alle spalle il tragico ricordo dell’epoca del terrore bianco di Chiang Kai-shek, che proprio il DPP considera un dittatore sanguinario. Un vero e proprio corto circuito.
Con mia relativa sorpresa, molti giovani sudcoreani erano al corrente del post e ne erano rimasti stupiti, come ho scoperto durante la mia permanenza a Seul nella settimana poi sfociata con l’impeachment di Yoon (reportage qui e qui).
L’inciampo è stato cavalcato dal Guomindang, che chiede una riforma della legge marziale. Se le proposte fossero approvate, si evidenzia, lo Yuan legislativo potrebbe annullare più facilmente un’eventuale dichiarazione di legge marziale del presidente. L’articolo 1 dell’Atto sulla legge marziale prevede che una dichiarazione di emergenza da parte del presidente debba essere sottoposta entro un mese allo Yuan legislativo per essere ratificata. Se la legge marziale viene proclamata durante il periodo di recesso legislativo, la ratifica deve avvenire dopo che il Parlamento si riunisce. Il Gmd vuole accorciare questa finestra di tempo.
Il figlio di Bo Xilai si sposa a Taiwan
Lo scandalo al ministero del Lavoro
Sua madre aspettava che tornasse a casa per cenare dopo il lavoro. Ma un giorno, il 39enne dipendente pubblico di nome Wu non è mai arrivato a casa. Le riprese video a circuito chiuso hanno mostrato che si recava al lavoro già alle 5 del mattino, ma spesso non lasciava l’ufficio fino alle 20. Curiosamente, il suo cartellino non riportava alcuno straordinario, tanto meno le 12-15 ore giornaliere. Wu si è tolto la vita nell’Executive Yuan’s Xinzhuang Joint Office Tower mentre lavorava durante il fine settimana. È stato scoperto il 4 novembre.
“C’è molta pressione sul lavoro. Ma tutti i miei colleghi sono fantastici. Vorrei ringraziare i miei collaboratori dell’Ufficio regionale del Nord. Vorrei anche ringraziare la mia famiglia”, si legge in uno dei biglietti d’addio che ha lasciato. All’indomani del suicidio, il capo di Wu, Hsieh Yi-jung, si è scagliato contro il personale rimasto: “Mi hanno detto che due legislatori sanno di Wu. Sono furiosa. Era così grato a tutti i dipendenti dell’Ufficio regionale del Nord. Quindi non permetterò che continuino i pettegolezzi, che si parli di mobbing sul posto di lavoro”, ha detto Hsieh. “Non lo permetterò assolutamente! Avete capito tutti?”. Come se fosse ben addestrato, il personale rispose all’unisono: “Abbiamo capito!”.
Angelica Oung inizia così il suo racconto dello scandalo che ha portato infine alle dimissioni della ministra del Lavoro di Taipei mentre emergono prove di bullismo. Della vicenda hanno parlato anche Albert Wu e Michelle Kuo, qui.
Emersa anche un’altra vicenda poco chiara sulla morte di un funzionario taiwanese in Brasile.
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Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.