Taiwan Files – Guai giudiziari per Ko. Problemi di visto. E al cinema

In Taiwan Files by Lorenzo Lamperti

Lo scandalo sul terzo partito taiwanese. La nomina del direttore della campagna elettorale del presidente al massimo organo giudiziario. Il possibile transito di Lai negli Usa. I visti negati al rapper Wang Yitai e la scrittrice dissidente Deng Liting. Relazioni intrastretto e lo studio di Xiamen sul “post riunificazione”. Il cambio della politica sui fondi al cinema. Chip tra Usa e Giappone. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

Terremoto politico a Taiwan. Ko Wen-je, che alle elezioni dello scorso gennaio si è affermato come “terza via” tra il verde del Partito progressista democratico (DPP) del presidente Lai Ching-te e il blu del Guomindang del dialogo con Pechino, è stato arrestato nell’ambito di uno scandalo di corruzione. Dopo due giornate in cella, è stato rilasciato senza cauzione ma resta accusato in una vicenda che potrebbe produrre serie conseguenze sul panorama partitico dell’isola. Con l’opposizione che ora rievoca persino i fantasmi dell’era del “terrore bianco” e della legge marziale di Chiang Kai-shek, durante la quale tutti gli oppositori all’allora partito unico venivano incarcerati o eliminati.

Ko si è costruito una fama di incorruttibile, attaccando invece i partiti tradizionali per i loro presunti guai con corruzione e malaffare. Ecco perché quanto sta accadendo in questi giorni rischia teoricamente di colpire la sua reputazione ancora più in profondità. Sabato 31 agosto, i pubblici ministeri hanno presentato al Tribunale distrettuale di Taipei una richiesta di detenzione ufficiale di Ko per il presunto coinvolgimento dello scandalo di corruzione riguardante il progetto di riqualificazione di Core Pacific City durante il suo mandato di sindaco di Taipei.

Dopo il suo arresto, diversi sostenitori sono scesi in strada per protestare e hanno anche scandito slogan come “Terrore verde”, in riferimento al “terrore bianco” e al verde, colore di riferimento del DPP. “Dov’è finita ora la vostra democrazia?” hanno accusato a ripetizione gli account social del TPP, che sostiene che l’arresto sia avvenuto in totale assenza di prove a carico di Ko. Lunedì mattina, il tribunale ha stabilito che le prove fornite dai pubblici ministeri non erano sufficienti a giustificare la detenzione di Ko e ha ordinato il suo rilascio senza cauzione, mentre il suo ex vice sindaco resta in cella. La Procura distrettuale di Taipei intende appellarsi alla decisione.

Il finale di questa vicenda è ancora da scrivere. Qualora la posizione di Ko tornasse critica, il TPP (che ancora manca di struttura e si basa sulla sua figura) potrebbe subire una pesante battuta d’arresto. Qualora invece, come sembra dopo il rilascio, Ko dovesse uscirne pulito il TPP potrebbe ricevere un’ulteriore spinta dall’opinione pubblica grazie all’immagine (che il partito sta già usando) di “martire” dell’opposizione, colpito per ragioni politiche. Da questa storia dipende tanto anche il futuro della politica taiwanese, divisa tra il ritorno allo storico bipolarismo oppure la nascita di una seria alternativa in grado di sparigliare le carte.

Ne ho scritto più nel dettaglio qui. Del tema hanno scritto, tra gli altri, anche Angelica Oung e Nikkei Asia.

Non sono gli unici scandali di politica interna, dopo che sono cadute teste importanti anche all’interno del DPP, in particolare del rivale interno di Lai, Cheng Wen-tsan. Ann Kao Hung-an, la  sindaca di Hsinchu dello stesso partito di Ko Wen-je attualmente sospesa, è stata condannata a 10 mesi di carcere. La corte distrettuale di Taipei ha stabilito che Kao “sapeva chiaramente” che la sua tesi, completata nell’aprile 2018 presso l’Università di Cincinnati, era “ampiamente” plagiata, ma ha comunque intentato causa contro la studiosa Chen Shih-fen per diffamazione aggravata.

Il ministro dei trasporti e delle comunicazioni di Taiwan, Li Men-yen, ha rassegnato le sue dimissioni lunedì in seguito alle scioccanti rivelazioni del suo coinvolgimento in una relazione extraconiugale a lungo termine con una donna cinese continentale.

Lai Ching-te ha nominato il professore di diritto Chang Wen-chen dell’Università nazionale di Taiwan come nuova presidente dello Yuan giudiziario. Polemiche soprattutto sulla scelta di Yao Li-ming, il direttore del quartier generale della campagna presidenziale di Lai, indicato come nuovo vicepresidente del massimo organo giudiziario di Taipei. I due sostituiranno l’attuale presidente giudiziario Yuan Hsu Tzong-li e il vicepresidente Tsai Jeong-duen, che si dimetteranno il 31 ottobre dopo otto anni di servizio, ma devono ancora essere confermati dalla legislatura. La loro nomina deve essere confermata dallo yuan legislativo, il parlamento unicamerale dove il DPP non ha la maggioranza.

Vedi Taiwan e poi fuori: i casi Wang Yitai e Deng Liting

“Il silenzio è una malattia”, dice in una delle sue canzoni più celebri, “Aspirina”. Ma al Legacy di Taipei, dove avrebbe dovuto esibirsi il 14 e 15 settembre, non risuoneranno i suoi versi. Già, perché le autorità taiwanesi hanno vietato l’ingresso a Wang Yitai, considerato uno dei re del rap cinese. Cancellati i due concerti in programma, per i quali erano stati già venduti centinaia di biglietti. La ragione? La diffusione di materiali promozionali contenenti la dicitura “Taipei, Cina” come luogo delle esibizioni. In realtà, il nome ufficiale con cui Taiwan è indipendente de facto è Repubblica di Cina, retaggio della guerra civile e della fuga sull’isola dei nazionalisti di Chiang Kai-shek. Ma il riferimento di Wang è alla Repubblica popolare cinese di Pechino, quella che vuole tornare a controllare Taiwan per completare il “grande ringiovanimento nazionale”. Ambizione a cui Wang ha fatto implicitamente riferimento sui suoi social nel presentare le due tappe taiwanesi.

Sulla piattaforma cinese Xiaohongshu, molto popolare anche tra i giovani taiwanesi tanto da essere diventata una sorta di porto franco di confronto tra nuove generazioni delle due sponde dello Stretto, Wang ha pubblicato una serie di foto promozionali che lo ritraggono seduto su una panchina davanti a un cartello con la scritta “Prossima fermata: Taipei, Cina”. Nella didascalia c’è l’altra parte del messaggio: “Dirigiamoci a sud verso il Tropico del Cancro e alla fine ci sarà un ritorno”. Secondo le autorità di Taipei, si tratta di un’allusione alla “riunificazione”, che sull’isola viene definita “unificazione”. Risultato: niente concerti per il rapper.

Il bando per Wang segue anche lo sdegno dell’ala meno dialogante con Pechino, infuriata dopo che durante le Olimpiadi (dove la squadra di Taiwan partecipa col nome di Taipei Cinese) sono circolate immagini di tifosi a cui sono stati sottratti striscioni e vessilli con riferimenti all’isola. Ma pare anche una risposta ai tentativi della Repubblica popolare di ricevere appoggio politico dagli artisti taiwanesi. Qualche mese fa, aveva fatto scalpore un “noi cinesi” pronunciato dal cantante della leggendaria rock band Mayday durante un concerto a Pechino. Diversi artisti si lasciano andare a “concessioni” mirate durante le loro esibizioni continentali, spesso non sotto coercizione ma per calcolo, visto che le dimensioni del mercato cinese sono impossibili da trascurare per chi canta o recita in mandarino. La catena di hotel Evergreen, taiwanese, si è invece dovuta scusare dopo la denuncia di un netizen cinese sulla mancata esposizione della bandiera della Repubblica Popolare in un hotel di Parigi durante le Olimpiadi.

Eppure, a Taiwan non viene negato l’ingresso solo a cantanti, ma anche a dissidenti in arrivo dal continente. Nei giorni scorsi, le autorità di Taipei hanno respinto alla frontiera Deng Liting, scrittrice dissidente in fuga dalla Cina continentale. Dopo aver chiesto una pubblica commemorazione dei morti di Tiananmen, Deng è stata fermata dalla polizia di Chongqing. Insieme alla famiglia, è scappata in Thailandia per poi prendere un aereo per Taipei. Appena arrivata, Deng ha manifestato l’intenzione di chiedere asilo politico, ma in meno di 24 ore è stata costretta a salire su un altro volo di ritorno a Bangkok. “Mi hanno trattata in modo molto duro, non mi hanno lasciata scelta”, ha raccontato la scrittrice a Radio Free Asia.

Ne ho scritto nel dettaglio qui.

Un possibile nuovo transito di Lai negli Usa

Come già anticipato nella scorsa puntata di Taiwan Files, Lai potrebbe effettuare un transito negli Stati Uniti prima della fine dell’anno. Non c’è ancora un annuncio o una data precisa, ma a Taipei viene dato molto probabile che questo avvenga nei prossimi mesi, peraltro innestandosi sulle presidenziali americane. Secondo diverse voci, l’amministrazione Biden avrebbe suggerito come meta le Hawaii, ritenute meno sensibili politicamente, anche se Pechino potrebbe leggerci un messaggio “militare”, visto che è lì la sede del Comando Indo-Pacifico Usa. Lai starebbe invece valutando di andare nel periodo di transizione tra elezione e insediamento del nuovo presidente, convinto che in quella finestra ci sarebbero maggiori opportunità di incontri di primo livello.

Relazioni intrastretto: difesa, storia, spionaggio, turismo e lo studio sul post “riunificazione”

Taipei mira a spendere 647 miliardi di dollari taiwanesi (19,76 miliardi di dollari) per la difesa nel 2025, con un aumento su base annua di circa il 6%.

Anche durante il mese di agosto, la pressione e le manovre militari di Pechino nella regione sono rimasti frequenti. Nonostante la retorica ufficiale sia diventata maggiormente allarmista, il ministero della Difesa di Taipei sostiene che al momento Pechino non sia in grado di condurre una “invasione su larga scala”.

Lai Ching-te ha visitato Kinmen per la prima volta da quando è in carica in occasione del 66esimo anniversario della Seconda Crisi sullo Stretto, quando il mini arcipelago nei pressi di Xiamen fu l’epicentro degli scontri.

La retorica di Lai segue un percorso avviato già con il suo discorso di insediamento (ne avevo scritto nel dettaglio qui). C’è chi parla di rivisitazione della storia o, come direbbe Pechino, tentativo di “desinizzazione”. Fuori dagli schemi anche il suo riferimento alle questioni territoriali cinesi, in particolare ai territori sottratti dalla Russia su cui però negli ultimi anni Pechino e Mosca hanno raggiunto una sostanziale intesa.

Intanto, di certo negli Usa sono stati già il ministro degli Esteri e il consigliere per la Sicurezza nazionale di Taipei, in una visita riservata. Certo non riservata la partecipazione al Ketagalan Forum di Taipei da parte di Nikki Haley, ex sfidante di Trump alle primarie repubblicane, che ha chiesto un aumento del supporto americano a Taiwan.

Un funzionario del ministero degli Affari Esteri di Taipei, destinato a essere assegnato all’ufficio di rappresentanza a Macao, non è riuscito a ottenere un visto dopo essersi rifiutato di firmare una dichiarazione giurata in cui riconosceva il principio “unica Cina” di Pechino.

Il vice ministro degli Esteri taiwanese ha invece partecipato al summit delle Isole del Pacifico alle Tonga, ma il comunicato finale ha eliminato il riferimento a Taipei come partner dopo le rimostranze cinesi.

Nuova visita in Cina continentale di una delegazione di alto livello del Guomindang, che continua a mantenere aperto il dialogo con il Partito comunista.

Ripartono i tour di turisti continentali dal Fujian, per ora solo verso le isole minori Matsu, a poca distanza da Fuzhou. Pechino accusa le autorità taiwanesi di aver seguito una delegazione religiosa durante una visita sull’isola.

Le autorità di Pechino hanno alzato la retorica contro le presunte “spie” taiwanesi e chiede di denunciare i “crimini di separatismo” di una lista di figure taiwanesi.

Si alza anche il livello dello scontro “legale” a livello internazionale. L’Australia ha approvato una mozione che dà un’interpretazione diversa da quella spinta da Pechino della famigerata risoluzione 2758 con cui le Nazioni Unite ammisero la Repubblica Popolare Cinese al posto della Repubblica di Cina, ancora oggi il nome ufficiale di Taiwan.

Sempre più studiosi continentali parlano di Taiwan, a conferma che il tema è nettamente salito in agenda rispetto a qualche anno fa. Secondo Wu Yongping si starebbe formando un “blocco occidentale” emergente sulla questione di Taiwan. Un ricercatore dell’Accademia cinese delle scienze sociali a Taiwan, Cheng Yongjiang, afferma che il futuro dipende dall’identità culturale, dagli scambi non ufficiali, dall’equilibrio di potere nell’isola e dal “comportamento rischioso” del DPP al governo. L’operato di Lai viene analizzato (e ovviamente criticato) da due analisti continentali qui, mentre qui si discute della legge antisecessione di Pechino, qui dell’ultimo discorso sulle relazioni intrastretto dell’ex presidente taiwanese Ma Ying-jeou, qui invece del piano di Xi per Taiwan.

Menzione speciale per lo studio dell’Università di Xiamen sui preparativi “necessari” da parte delle autorità continentali per il “post riunificazione” con Taiwan, segnale che si inizia a pensare anche a un ipotetico “dopo”, a prescindere dalla metodologia con cui l’obiettivo potrebbe essere raggiunto.

A Taiwan il cinema ha un problema

Un tempo per i registi e le altre figure del cinema di Taiwan era piuttosto complicato lavorare in progetti internazionali senza lasciare l’isola. E dopo un breve periodo in cui questa situazione era migliorata, adesso rischia tutto di tornare come era prima. Questo è l’effetto di un cambio di orientamento sui fondi pubblici, prima aperti a una serie di progetti internazionali indipendenti, mentre ora si preferiscono seguire logiche più “interne”. Il tutto con il concreto rischio di mettere un freno agli scambi internazionali, sempre complessi per Taiwan visto il suo irrisolto status politico, e con la conseguenza di non stimolare più lo sviluppo di uno sguardo “altro” su di sé.

Se Taiwan si apre al mondo per me lavorare qui ha un interesse, se si chiude e si punta a lavorare su progetti strettamente locali ne ha molto meno“. Stefano Centini, regista e produttore con una forte esperienza in Asia e residente da diversi anni a Taipei (di cui ha anche raccontato la vita notturna in un episodio della serie Netflix Midnight Asia), esprime a Wired la sua insoddisfazione per una vicenda che mal si concilia con l’immagine di apertura che Taiwan ha provato a proiettare di sé.

Fino al 2018, quasi tutti i fondi pubblici del ministero della Cultura erano riservati a registi taiwanesi, quindi, per lavorare con registi stranieri bisognava affidarsi ad aiuti regionali. Ma nel 2019 accade qualcosa, infatti, l’amministrazione della ex presidente Tsai Ing-wen crea Taicca. Si tratta di un’agenzia del ministero della Cultura, che ha come obiettivo quello di promuovere la cultura taiwanese in diversi ambiti, ma con l’industria audiovisiva al centro del progetto.

I fondi che vengono utilizzati per pagare i professionisti e realizzare dei progetti altrimenti impossibili, portano in contatto professionalità di diverse parti del mondo, consentendo ai vari comparti dell’industria audiovisiva taiwanese di crescere in consapevolezza, strumenti e notorietà. Un’idea pensata anche sull’ecosistema audiovisivo di Taiwan, che a differenza di quello della Corea del Sud non si poggia su grandi conglomerati ma una pletora di piccole strutture indipendenti.

Chip taiwanesi nel mondo: problemi negli Usa, non in Giappone

TSMC, il colosso dei chip di Taiwan, continua ad avere problemi e rallentamenti nella costruzione dei suoi impianti in Arizona. E il governo di Taipei deve anche rispondere alle accuse di Donald Trump sul tema dei semiconduttori, che generano qualche inquietudine in caso di un suo ritorno.

All’opposto la situazione con il Giappone. La TSMC ha fatto sapere che intende costruire il suo terzo impianto nel paese entro il 2030. Lo ha confermato all’agenzia Kyodo il ministro degli Affari economici di Taiwan, Kuo Jyh-huei, dicendo di prevedere la costruzione di un nuovo impianto, dopo le prime due fabbriche di situate nella Prefettura di Kumamoto, a sud ovest dell’arcipelago, e a collaborare con Tokyo anche per la formazione di ingegneri qualificati.

Diritti

La richiesta di una donna transgender di cambiare il genere sulla sua carta d’identità nel 2020 è legale e dovrebbe essere accolta senza la necessità di un intervento chirurgico di affermazione del genere richiesto dalla legge, ha stabilito l’Alta Corte amministrativa di Taipei. Nel pronunciarsi a favore della donna transgender, il tribunale ha ordinato all’ufficio di registrazione del nucleo familiare di accettare la sua domanda e di procedere con il cambio legale di genere.

Di Lorenzo Lamperti

La puntata precedente

Il bilancio dell’era Tsai, gli scenari dell’era Lai

L’analisi dell’incontro Xi-Ma

Lo speciale sulle elezioni 2024

Intervista a Ma Ying-jeou

Intervista ad Audrey Tang

Reportage da Kinmen

Reportage dalle isole Matsu