Dal pronipote di Chiang Kai-shek che mira alla poltrona a Taipei all’accesa sfida di Taoyuan. Il DPP prova a giocare la carta identitaria ed eleva il voto a un test generale, ma c’è il rischio boomerang. Il Guomindang cerca di rilanciarsi in vista delle presidenziali del 2024. Washington e Pechino osservano ma, come nel 2018, potrebbero anche trarre conclusioni sbagliate. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni): speciale elezioni locali
Sabato 26 novembre si svolgono le elezioni locali taiwanesi. Mai come questa volta, si tratta di un voto con un interesse che va però al di là delle mere dinamiche amministrative. Le tensioni scaturite dalla visita di Nancy Pelosi a Taipei e dalle esercitazioni militari senza precedenti dell’Esercito popolare di liberazione sullo Stretto hanno di fatto portato qualche cambiamento allo status quo (qui lo speciale Taiwan Files sul tema). Quantomeno sul campo, dove la linea mediana ha cessato di essere un confine non ufficiale ma comunque ampiamente riconosciuto, avvicinando di fatto le manovre di jet e navi di Pechino all’isola principale di Taiwan. Il XX Congresso del Partito comunista cinese ha lasciato intendere che Taiwan sarà una delle priorità del terzo mandato di Xi Jinping (qui la puntata di Taiwan Files sull’argomento).
Il Democratic Progressive Party (Dpp) della presidente Tsai Ing-wen ha provato a “nazionalizzare” la tornata elettorale, usando la carta identitaria. Ma il Guomindang (Gmd) ha tradizionalmente un vantaggio sul fronte locale, dettato anche da una presenza sul territorio costruita in decenni in cui era l’unico partito al tempo della legge marziale. Ergo, attenzione a interpretare la plausibile vittoria dell’opposizione come un segnale di cambio di rotta in vista delle presidenziali del 2024. Un errore commesso nel recente passato dal Partito comunista cinese, che dopo il trionfo del Gmd nel 2018 alzò il tiro pensando che la maggioranza della popolazione stesse bocciando la linea di Tsai sui rapporti intrastretto. Un boomerang che, unito ai fatti di Hong Kong, ha favorito la rielezione di Tsai nel gennaio 2020.
Lontane solo 14 mesi, le elezioni di gennaio 2024 saranno (quelle sì) presumibilmente dominate dal “fattore Pechino”. Ecco, le elezioni locali di sabato 26 sono funzionali semmai a individuare e rafforzare possibili candidature presidenziali, o magari a comprometterne altre. In tal senso, la lunga stagione elettorale taiwanese è appena cominciata. E Taipei ne uscirà in ogni caso cambiata, così come potrebbero uscirne cambiati i rapporti sullo Stretto e con essi gli equilibri regionali e globali.
Come funzionano le elezioni locali
Le elezioni vengono chiamate “9 in 1” (九合一). Si vota dalle 8 alle 16 locali per scegliere oltre 11 mila funzionari pubblici in nove tipi diversi di incarichi: i 6 sindaci delle municipalità speciali (Taipei, Nuova Taipei, Taoyuan, Taichung, Tainan e Kaohsiung) e i consiglieri municipali, i 16 sindaci delle contee e i consiglieri delle contee, sindaci dei comuni, rappresentanti dei comuni, capi delle aree montane indigene delle città, rappresentanti delle aree montane indigene delle città che dipendono dal governo centrale. Il numero di persone con diritto di voto si aggira attorno 19,3 milioni. Possono votare i cittadini della Repubblica di Cina (Taiwan) che hanno compiuto 20 anni di età.
Le elezioni per i sindaci e i magistrati di contea si svolgono con il cosiddetto sistema first-past-the-post (FPTP), lo stesso sistema elettorale per le elezioni del presidente e dei rappresentanti distrettuali durante le elezioni presidenziali e politiche. In poche parole, il candidato vincente non deve avere la maggioranza dei voti, ma solo più di tutti gli altri. Si tratta di un sistema che favorisce la corsa a due, ma che in caso di anomalie (cioè la presenza di un terzo sfidante forte) può spostare in maniera decisiva gli equilibri. Già successo nelle presidenziali del 2000, per esempio, quando Chen Shui-bian diventò il primo presidente del DPP grazie soprattutto alla divisione nel campo Gmd tra James Soong e Lien Chan. Potrebbe succedere di nuovo a Taipei, città tradizionalmente ostica al partito di maggioranza e dove il sindaco uscente, Ko Wen-je, è il capo del terzo emergente partito, il Taiwan’s People Party (Tpp).
Il sistema elettorale utilizzato per i consiglieri comunali si definisce invece “voto unico non trasferibile“. Si tratta di un sistema in cui vincono più persone, il che ha senso perché i consigli comunali sono composti da molte persone. Ogni consiglio comunale è composto da rappresentanti di quartiere. In ogni distretto di quartiere, più persone, spesso dello stesso partito o di un mix di partiti, vincono e vengono elette al consiglio comunale.
Il precedente delle elezioni locali del 2018
Le elezioni del 2018 avevano portato una netta sconfitta per il Dpp. In precedenza, il partito di maggioranza deteneva 13 municipalità e contee su 22, mentre 4 anni fa ne ha vinte solo 6. Poi diventate 7 dopo la ricusazione del sindaco di Kaohsiung e candidato alle presidenziali del 2020, Han Kuo-yu. Proprio la vittoria di Kaohsiung aveva destato scalpore, visto che si tratta della città simbolo delle proteste e dell’incidente del 1979. Una città profondamente green che dopo svariate amministrazioni Dpp aveva cambiato improvvisamente colore.
La stella di Tsai Ing-wen sembrava già tramontata a metà del primo mandato. Annunciò le missioni da presidente del Dpp, mentre la corrente più radicale del partito guidata da William Lai pareva sul punto di operare una scissione. Tutto rientrò con la promessa della moderata Tsai di garantire a Lai il ruolo di vicepresidente al voto del 2020, una posizione tradizionalmente anticamera alla candidatura da presidente alla successiva tornata elettorale. La frattura si ricompose anche grazie alla contingenza che si era venuta a creare, improvvisamente favorevole per il Dpp in vista delle presidenziali.
La batosta alle elezioni locali era motivata più dalla sfiducia dei taiwanesi sul fronte economico e sociale (e ovviamente da considerazioni di tipo locale), piuttosto che non dalla linea mantenuta sulle relazioni con Pechino. Tsai non riconosce il famigerato “consenso del 1992“, frutto di un accordo tra Gmd e Pcc sull’esistenza di una “sola Cina” senza però stabilire quale fosse, precondizione fissata da Xi per riavviare il dialogo che era culminato con l’incontro storico di Singapore col suo predecessore Ma Ying-jeou (che ho peraltro intervistato per Limes). La telefonata con Donald Trump del novembre 2016 aveva alimentato ancora di più la tensione e la ripresa dell’aggressività diplomatica di Pechino.
Nel discorso di inizio anno 2019, Xi utilizza parole molto dure su Taiwan non escludendo l’utilizzo della forza e ribadendo che l’unico modello possibile è “un paese, due sistemi” in vigore a Hong Kong. Qualche mese dopo, però, Hong Kong va in fiamme. E come già dimostrato in passato, più Pechino mostra i muscoli e più i taiwanesi se ne allontanano. Questo è il prodromo di quanto culminato poi con la visita di Pelosi e tutto ciò che ne è seguito.
Candidati e temi
La sfida più attesa, come sempre, è quella di Taipei. In passato sono stati sindaci della capitale gli ex presidenti Lee Teng-hui, Chen Shui-bian e Ma Ying-jeou. Tanto che si tratta di una poltrona che tradizionalmente rappresenta un potenziale primo passo verso la presidenza. A testimonianza di un’identità ancora complessa a Taiwan, il favorito della vigilia sembra essere Chiang Wan-an, pronipote di Chiang Kai-shek. “Se Chiang vincesse, potrebbe potenzialmente rivitalizzare il Gmd aiutandolo a riprendere il controllo della città di Taipei e dando al partito un nuovo volto politico di spicco”, ha dichiarato Russell Hsiao, direttore esecutivo del Global Taiwan Institute di Washington. “I risultati potrebbero produrre effetti a cascata che avrebbero importanti implicazioni per le elezioni presidenziali del 2024 e, a loro volta, per la situazione attraverso lo Stretto di Taiwan”.
Molti elettori, in particolare le generazioni più anziane che hanno un’affinità con il Gmd, vedono Chiang, 43 anni, come una scelta sicura in questi tempi incerti. Sebbene non abbia l’esperienza politica del suo principale avversario Chen Shih-chung. Il 68enne ex ministro della Sanità e candidato del Dpp non sembra convincere tutti. Il suo ruolo a capo della gestione del controllo anti Covid gli ha attratto complimenti ma anche critiche. A insidiare Chiang c’è anche Huang Shan-shan, appoggiata dal Tpp del sindaco uscente Ko Wen-je.
La città di Nuova Taipei è la più popolosa. Dopo il passaggio allo status di municipalità speciale nel 2010, Eric Chu (attuale presidente del Gmd) ha vinto il seggio per due mandati consecutivi, comprese le elezioni locali del 2014. Ora la poltrona sembra saldamente in mano a Hou Yu-hi. È stato direttore generale dell’Agenzia nazionale di polizia dal 2006 al 2008 e ha un’ottima reputazione presso gli elettori. La sua conferma non sembra in bilico.
Diventa molto importante la corsa a Taoyuan, una delle municipalità chiave per capire dove tira il vento nella politica taiwanese. Secondo gli ultimi sondaggi prima del silenzio elettorale, Chang San-cheng del Gmd pareva in testa alla corsa anche se con un piccolissimo margine. L’opposizione è stata favorita da uno scandalo di plagio accademico, con il primo candidato del Dpp Lin Chih-chien sostituito da Cheng dopo le accuse di aver copiato la sua tesi universitaria.
Taichung è un importante centro economico, culturale e di trasporto nella parte centrale di Taiwan. Tradizionale feudo del Gmd, l’attuale sindaca Lu Shiow-yen è favorita per la riconferma e si parla insistentemente di lei come una possibile candidata nel ticket del Gmd per le presidenziali del 2024.
Tainan, Chiayi e Kaohsiung, sulla parte sud-occidentale dell’isola di Taiwan, sono tradizionalmente più favorevoli al Dpp. Yilan, Miaoli e Nantou, nella parte centro-orientale, più favorevoli al Gmd. Una divisione che dovrebbe essere rispettata anche da questa tornata elettorale, dove il Gmd sembra in vantaggio per mantenere la poltrona anche a Hsinchu, la capitale mondiale della fabbricazione e assemblaggio dei semiconduttori e sede del colosso Tsmc.
Tra le isole minori, Kinmen e Matsu sono sempre state appannaggio del Gmd (qui un mio reportage da Kinmen e qui un mio reportage dalle Matsu). Le isole Penghu, quelle più vicine alle linea mediana, sono state invece spesso in bilico.
Tra i candidati, a partire da quelli distrettuali, c’è anche molto colore. Per esempio, c’è una candidata del Gmd che è andata in giro a fare comizi travestita da Sailor Moon. Lo stesso Chiang si è fatto fotografare nei panni di Goku di Dragonball.
Le elezioni locali del 2022 e il “fattore Pechino”
Secondo molte previsioni, il Gmd è favorito per ottenere una sostanziale vittoria alle elezioni locali. Il grado della vittoria sarà deciso dalle corse di Taipei e Taoyuan. Se il Gmd vincesse in entrambi i casi, la vittoria assumerebbe proporzioni significative. E di riflesso, la sconfitta sarebbe molto pesante per il Dpp.
Come sottolineato da Courtney Donovan Smith, il Dpp ha cercato di portare il voto sul terreno identitario nel tentativo di trasformare le elezioni locali in un referendum sulla presidente Tsai, che generalmente piace di più agli elettori del partito stesso. La strategia ha funzionato “a meraviglia nel 2016 e nel 2020, ma le elezioni locali sono una creatura molto diversa e richiedono un approccio diverso. La strategia del Dpp non è riuscita a fornire nulla di significativo a livello locale”, sostiene Donovan Smith. Tsai ha detto che “votare per il Dpp” equivale a “difendere la democrazia” perché “manderebbe al mondo intero il giusto messaggio”. Ma che Tsai sembra dimenticare è che gli elettori in queste elezioni stanno scegliendo i candidati in base a questioni come l’accesso alla scuola materna e le protesi dentarie sovvenzionate per la nonna, non in base a considerazioni geostrategiche”. Senza contare il discutibile sottotesto del suo messaggio: votare l’opposizione non sarebbe democratico.
Alle elezioni locali, scrive Brian Hioe, “l’identità politica di partito e l’identità taiwanese sono entrambe ancora critiche, ma il discorso è guidato dalla qualità del Dpp e del Gmd, piuttosto che dalle loro relazioni con la Cina. Il Dpp e il Gmd fanno ancora del loro meglio per mobilitare gli elettori in base al loro rapporto con questi partiti, ma i sindaci e i consiglieri comunali hanno poca influenza sulla difesa nazionale. Invece di discutere delle relazioni tra le due sponde dello Stretto su scala nazionale e internazionale, il discorso delle elezioni di metà mandato si concentra su quale partito sia qualitativamente migliore per migliorare lo sviluppo politico interno di Taiwan”.
Il ministro degli Esteri Joseph Wu ha dichiarato che Taiwan sta assistendo a una “minore interferenza cinese” in vista delle elezioni locali, “forse a causa dei problemi interni della Cina e dei suoi sforzi per migliorare la propria immagine internazionale”.
“Se il Dpp vincesse a Taipei sarebbe una grande vittoria. Sarebbe il primo sindaco di Taipei da Chen Shui-bian nel 1998 e compenserebbe altre probabili sconfitte. Inoltre, convaliderebbe la politica anti Covid di Chen e rafforzerebbe la legittimità del Dpp”, sostiene Lev Nachman. “Ma se il Dpp perdesse, e perdesse anche altrove, si verificheranno grandi scossoni nel partito. Tsai probabilmente si dimetterà cerimoniosamente da presidente del partito e le linee di fazione saranno ridisegnate. Questo accadrà in ogni caso dopo che Tsai si sarà dimessa nel 2024, ma farlo ora accelererebbe molto le cose”.
Il che significa che il processo per le primarie e per l’individuazione dei candidati per il 2024 potrebbe sfuggire di mano a Tsai, destinata a diventare una anatra zoppa secondo Asia Sentinel. Anche perché l’individuazione di alcuni candidati, a partire da Chen a Taipei, è stata operata direttamente proprio da Tsai.
Come sottolinea Ross Feingold, il Gmd potrebbe fare bene, ma i suoi personaggi di spicco sono un ex presidente (Ma Ying-jeou) e il candidato sconfitto nel 2016 (Eric Chu). Per il Dpp sono in ballo invece l’attuale presidente (Tsai Ing-wen) e il probabile candidato del 2024 (William Lai). Segno che il Gmd non sa che pesci pigliare verso il 2024. Anche se il Gmd dovesse perdere terreno nelle gare per i commissari di contea, se riuscirà ad assicurarsi sia Taipei che Taoyuan, probabilmente Chu continuerà a presiedere il partito e a mantenerlo sulla sua strada attuale. Il che non è detto che sia una cosa del tutto positiva per il Gmd.
Il referendum
Sabato 26 novembre c’è anche un altro voto, che per certi versi potrebbe avere un impatto ancora più importante sul fronte dei rapporti intrastretto. La proposta è quella di abbassare l’età per avere diritto di voto a 18 anni. Perché il referendum passi, il 50% degli aventi diritto al voto di Taiwan deve votare a favore del cambiamento, il che richiede circa 9,65 milioni di voti a favore del referendum. Si tratta di una soglia relativamente alta, perché le modifiche costituzionali a Taiwan sono un grosso problema.
Sebbene il referendum riguardi i diritti civili dei diciottenni di Taiwan, è tenuto sotto stretta osservazione da Pechino, in quanto riguarda le modifiche alla Costituzione della Repubblica di Cina. Pechino si è opposta fermamente al referendum e il suo Ufficio per gli Affari di Taiwan lo ha definito un tentativo di passare all’indipendenza. “Il cosiddetto referendum sui diritti civili dei 18 anni è una manovra delle autorità del Partito Democratico Progressista [al governo], che mira a modificare la costituzione per spianare la strada al loro tentativo separatista”, ha dichiarato il mese scorso a Pechino il portavoce dell’ufficio di Taiwan, Ma Xiaoguang.
La ratio di Pechino è semplice: i più giovani hanno posizioni più radicali dei cittadini più adulti e sono generalmente meno inclini al dialogo con Pechino e più favorevoli alla possibile dichiarazione di indipendenza formale. Sarebbero loro i primi da “rieducare“, per usare un verbo pronunciato dall’ambasciatore cinese a Parigi lo scorso agosto, in caso di “riunificazione”. Secondo Pechino, il Dpp sta infatti conducendo una campagna di “desinizzazione” e permettere di votare a elettori più giovani sarebbe una spinta ulteriore al partito in vista delle presidenziali del 2024.
Secondo Jessica Drun, in ogni caso il trend della politica taiwanese sembra andare in una direzione opposta ai desideri di Pechino. “Il corso della politica taiwanese si muoverà in linea con le tendenze dell’identità taiwanese, che guideranno le priorità dei partiti nella stessa direzione – e più lontano da ciò che vuole la Rpc. Anche se non è detto che le elezioni del 2024 facciano da spartiacque, nel lungo periodo ci sarà un ulteriore consolidamento dell’identità taiwanese, che porterà a un più ampio sostegno elettorale per la coalizione pan-verde; la “vecchia guardia” del Gmd, composta dai tradizionalisti dell’era Ma, svanirà con il tempo e sarà sostituita da una generazione più riformista; la gioventù sproporzionatamente verde raggiungerà la maturità politica e voterà alle elezioni e ai referendum; e i terzi partiti guadagneranno un posto più importante nella politica di Taiwan”.
Le implicazioni verso il 2024
Lo abbiamo detto all’inizio. Attenzione a prendere il risultato delle elezioni locali di sabato 26 novembre come oro colato in vista delle presidenziali del 2024. Ci sono e ci saranno però importanti indicazioni e rilevanti riflessioni da fare, anche sui rapporti con Pechino e Washington. Partiamo dal fronte delle candidature. Per il Dpp non sembra al momento esserci una vera alternativa alla candidatura di Lai. La sua vicepresidenza, come detto, è frutto di un compromesso tra diverse anime del Dpp. La parte moderata non è ancora del tutto convinta di Lai, nonostante abbia istituzionalizzato moltissimo le sue posizioni dopo essere diventato vicepresidente. Difficile però non ricordare il suo passato radicale. Non se lo scorda Pechino, che ha osservato con molto fastidio i suoi movimenti in Giappone in occasione della morte di Shinzo Abe lo scorso luglio.
Non se lo scordano in realtà neanche i taiwanesi: la stragrande maggioranza di loro vuole il mantenimento dello status quo e Lai potrebbe essere percepito come un candidato un po’ troppo radicale. Ancora molto presto, ma non è così raro sentire elettori del Dpp dire che prenderebbero in considerazione di votare il Gmd nel 2024 qualora trovasse un candidato potabile da opporre a Lai. Non era stato così nel 2020, con la fallimentare candidatura di Han Kuo-yu. Stavolta, come scritto da diverso tempo su Taiwan Files, il Gmd spinge per la candidatura di Hou Yu-ih, il sindaco di Nuova Taipei. Ma per ora Hou non avrebbe ancora sciolto le riserve. Il suo nome è considerato il migliore anche perché non è mai stato in passato “compromesso” dalle questioni intrastretto e soprattutto gode di ottima popolarità nella città più popolosa di Taiwan.
Si fa strada come possibile nome per il ticket la sindaca di Taichung, Lu Shiow-yen. Tra le alternative, c’era chi immaginava un possibile ritorno sulla ribalta di Terry Gou, patron di Foxconn, già sconfitto alle primarie del 2020. Dalla sua gli ottimi rapporti sia con Pechino sia con Washington, oltre ovviamente alla sua fama di uomo di affari di successo. Quanto accaduto a Zhengzhou nelle ultime settimane potrebbe però comprometterne le ambizioni, neutralizzando anche il boost di popolarità ottenuto nel 2021 con l’acquisto di 5 milioni di vaccini Pfizer da Fosun Pharma.
Nel 2024 ci sarà però anche un terzo incomodo che potrebbe essere più forte di quanto accaduto nel 2020 con il decano Soong. Si tratta di Ko Wen-je, sindaco uscente di Taipei che ha annunciato la sua candidatura già diversi mesi fa. Una mossa inconsueta per le tempistiche, dettata dalla volontà di capitalizzare le difficoltà del Gmd e proporsi come “grande stabilizzatore” sul fronte interno ma anche su quello esterno. La stessa strategia che il Gmd ha riavviato negli scorsi mesi, con la riapertura dell’ufficio di rappresentanza di Washington (ne ho scritto qui). Con un Dpp che potrebbe avere un candidato radicale, forse troppo anche per Washington, il Gmd e lo stesso Tpp sperano di proporsi come figure di garanzia di stabilità.
I risultati delle elezioni saranno guardati con attenzione anche da Washington e da Pechino. C’è chi pensa che in caso di vittoria del Gmd, il Partito comunista possa ripetere lo stesso errore del 2018: pensare cioè che la maggioranza dei taiwanesi boccia la linea del Dpp sui rapporti intrastretto. Se si ripeterà quanto accaduto nel 2019, ciò potrebbe significare un innalzamento della pressione diplomatica e militare. Ma, come già ampiamente dimostrato dalle elezioni del 2020, si tratta di una strategia che rischia di essere un boomerang per Pechino. Anche se, sostiene per esempio Wen Ti-sung della Australian National University, che un ipotetico fallimento della linea identitaria del Dpp sulle elezioni locali potrebbe costituire un precedente pericoloso per il partito in vista del 2024.
Una cosa è certa: le elezioni del 2024 saranno cruciali per definire i futuri rapporti sullo Stretto. Una nuova vittoria del Dpp significherebbe che per la prima volta un partito manterrebbe il potere per tre legislature consecutive, per di più con un presidente più radicale di quella attuale. Potrebbe essere visto come un punto di non ritorno politico da Xi, che in questi 6 anni ha forse perso un’occasione nel non favorire il diaologo con la leader più moderata mai prodotta dal Dpp. Un eventuale ritorno del Gmd potrebbe invece rilanciare solo in parte il dialogo, anche perché la Rpc non è più la Rpc del 2015. Il lungo conto alla rovescia per le elezioni presidenziali del 2024 comincia da sabato 26 novembre.
Di Lorenzo Lamperti
Qui la puntata precedente: Biden/Xi, summit Apec, Ma Ying-jeou, Chip Act, Tuan Tuan
Qui per recuperare tutte le puntate di Taiwan Files
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.