La notizia del doppio scalo in California e a New York della presidente taiwanese non esclude un futuro viaggio dello speaker americano a Taipei. Contesto, ragioni e possibili conseguenze della visita. I segnali in arrivo dalle “due sessioni” di Pechino. Le ambizioni di Terry Gou e l’evoluzione del panorama politico taiwanese verso le elezioni. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
Tsai Ing-wen negli Stati Uniti. La notizia è arrivata dal Financial Times, proprio a poche ore dall’attesa prima conferenza stampa da ministro degli Esteri di Qin Gang, nell’ambito delle “due sessioni”. Una conferenza stampa molto dura (ne ho scritto qui). Qin non ha commentato apertamente la notizia (il ministero si è poi detto “seriamente preoccupato“), ma ha confermato che il rischio più evidente nei rapporti tra Pechino e Washington è quello legato allo Stretto di Taiwan, scenario di crisi collegato retoricamente a quanto accade in Ucraina: «Perché gli Stati uniti chiedono di non fornire armi alla Russia ma continuano a vendere armi a Taiwan?». Solo la settimana scorsa, la Casa Bianca ha approvato un nuovo pacchetto da 619 milioni di dollari. Momento più fotografato della conferenza quando Qin ha estratto la costituzione per leggere la sezione in cui si definisce Taiwan parte inalienabile del territorio cinese. «La questione di Taiwan è la prima linea rossa da non oltrepassare nelle relazioni tra Stati uniti e Cina», ha ribadito Qin.
Le “due sessioni” e altre notizie intrastretto
Secondo quanto dichiarato alla China Review News Agency dal deputato dell’Assemblea Nazionale del Popolo Li Yihu, durante le “due sessioni” sono possibili nuove azioni normative su Taiwan. Al Congresso di ottobre è stato approvato un emendamento allo statuto in cui si legge che il Partito è chiamato a «opporsi con determinazione e scoraggiare i separatisti che cercano di ottenere l’indipendenza». Per molti analisti, un passo che potrebbe essere la base legale di una futura legge per la riunificazione, che amplierà lo spettro di azione dell’attuale legge anti-secessione mettendo nel mirino non più i secessionisti ma coloro che «non si prodigano alla riunificazione». Una modifica che potrebbe avere ricadute concrete poco evidenti ma rappresenterebbe un cambio di paradigma concettuale, con un obiettivo (non semplice) politico: recidere il legame tra mondo imprenditoriale e partito di maggioranza taiwanese.
Non è detto che tutto questo avvenga già ora, ma qualcosa si muove. Lo dimostra anche il presunto incarico affidato a Wang Huning per aggiornare il principio teorico per la riunificazione (o unificazione secondo i taiwanesi), superando la logica “un paese, due sistemi” applicato a Hong Kong. Un segnale che si vuole tentare ancora una strada politica, sperando magari in una vittoria dell’attuale opposizione del Guomindang alle elezioni presidenziali del gennaio 2024. Oppure, nella visione più pessimista, che si vuole indorare la cornice “legale” entro la quale far entrare eventuali azioni future. Ne ho scritto qui.
Il discorso di Li Keqiang, premier uscente, in apertura dei lavori dell’Assemblea nazionale del popolo su Taiwan è stato in linea con quanto emerso dal XX Congresso del Partito comunista di ottobre: sottolineati i “progressi” sulla gestione dell’ex colonia britannica, mentre su Taipei è stato ribadito che saranno messe in campo “misure risolute” contro “i tentativi di indipendenza”. Ne ho scritto qui. Wen Ti-sung dell’Australian National University analizza qui il discorso di Li.
Dalle “due sessioni” emerge però una nuova norma che consentirà di creare una procedura più rapida per l’approvazione di “leggi d’emergenza“. Nikkei Asia collega la scelta a Taiwan.
Zhou Xiaoping, controverso autore ultranazionalista, ha sponsorizzato una risoluzione alla Conferenza politica consultiva del popolo cinese per la creazione di una lista nera di “separatisti di Taiwan” da uccidere durante un’ipotetica futura “operazione militare speciale”. Da sottolineare che si tratta di un organo consultivo e non legislativo, così come Zhou è già molto noto per le sue forti provocazioni sui social.
L’ex direttore senior per la sicurezza nazionale di Cina e Taiwan del presidente degli Stati Uniti Joe Biden è stata scelta come presidente entrante dell’ambasciata americana de facto Taipei. Laura Rosenberger, che di recente è stata assistente speciale del presidente e direttore senior del Consiglio di sicurezza nazionale per la Cina e Taiwan, sostituirà James Moriarty come presidente del Consiglio di amministrazione dell’American Institute in Taiwan (AIT) il 20 marzo, ha dichiarato l’AIT.
Le ambizioni presidenziali di Terry Gou, patron della Foxconn
Su Wired ho scritto del nuovo tentativo di Terry Gou, patron della Foxconn, in vista delle elezioni presidenziali taiwanesi del gennaio 2024. Qui sotto l’inizio del lungo articolo.
Fino a qualche tempo fa, Xi Jinping amava riferirsi a Joe Biden come a un “vecchio amico“. Il clima è cambiato da quando l’ex vicepresidente di Barack Obama siede alla Casa Bianca. Ma ci sono altri “vecchi amici” che potrebbero presto entrare in scena nella sempre più insidiosa partita in gioco tra Stati Uniti e Cina. Si tratta di Terry Gou, che nel maggio del 2019 ha usato lo stesso termine, “vecchio amico”, in riferimento a Donald Trump. Gou è il patron di Foxconn, il più grande produttore di componenti elettrici ed elettronici al mondo.
L’azienda è taiwanese ma ha legami strettissimi sia con Washington sia con Pechino. Basti pensare che è tra i principali fornitori di Apple (e altri colossi tecnologici statunitensi), mentre in terra cinese ha investimenti e stabilimenti immensi. A partire dalla cosiddetta iPhone City di Zhengzhou, dove lo scorso autunno sono esplose delle proteste (e una fuga di massa di operai) per il presunto mancato pagamento di bonus e le dubbie condizioni sanitarie all’interno dello sterminato impianto.
Ebbene, proprio Terry Gou potrebbe diventare un uomo fondamentale per capire gli equilibri tra Stati Uniti e Cina, potenzialmente il “grande stabilizzatore” di una relazione che sembra ora pericolosamente appoggiata su un piano sempre più inclinato. Il motivo? Gou sogna di diventare il presidente della Repubblica di Cina. Continua qui.
Nel frattempo, Foxconn ha annunciato nuovi importanti investimenti in India. Questo però non significa che le aziende vogliano o possano abbandonare la Cina. Anzi. Prima di recarsi in India, il presidente della Foxconn è stato proprio in Cina. In particolare a Zhengzhou, sede dell’immenso stabilimento di sua proprietà ribattezzato “iphone City” dove negli scorsi mesi si sono verificate proteste di massa degli operai per il mancato pagamento di bonus durante le restrizioni anti Covid. Young Liu ha garantito un’espansione dell’azienda in Cina, dopo che il governo locale ha avviato grandi sforzi per convincere il colosso taiwanese a mantenere la sua presenza nella provincia dello Henan. E Foxconn ha affittato un nuovo terreno di 293 acri nella Zhengzhou Comprehensive Bonded Zone per circa 28 milioni di dollari. Ne ho scritto qui.
Politica taiwanese
Semiconduttori e altre notizie
Si è svolto il primo incontro dei cosiddetti Fab 4 che unisce Usa, Taiwan, Giappone e Corea del sud. In realtà, soprattutto a Seul sono poco persuasi che le manovre americane sui chip siano favorevoli alle aziende asiatiche.
La TSMC, il più grande assemblatore di chip a contratto del mondo, assumerà più di 6.000 nuovi dipendenti nel 2023. Altro segnale di impegno su Taiwan dopo gli annunci di nuovi stabilimenti all’estero e le perplessità che queste manovre stanno generando anche tra i taiwanesi.
Un articolo di un outlet giapponese ha creato molto scalpore a Taiwan. Nell’articolo si afferma che fino al 90% degli alti ufficiali in pensione fa affari in Cina continentale, molti dei quali vendevano informazioni al rivale. Il governo di Taiwan ha negato categoricamente le affermazioni.
Google ha dichiarato che lancerà un fondo di 300 milioni di dollari taiwanesi (9,8 milioni di dollari) nei prossimi tre anni per contribuire a stimolare le attività dei media taiwanesi e la loro competitività digitale.
Segnalazioni
Qui lo special report dell’Economist su Taiwan a 10 mesi dalle elezioni presidenziali.
Uscito “Cina, Europa, Stati Uniti-Dalla Guerra fredda a un mondo multipolare” a cura di Agostino Giovagnoli e Elsa Giunipero per Guerini e Associati. All’interno un mio capitolo su Taiwan.
Di Lorenzo Lamperti
Taiwan Files – La puntata precedente
Taiwan Files – L’identikit di William Lai, nuovo leader del DPP
Taiwan Files – Le elezioni locali e l’impatto sulle presidenziali 2024
Qui per recuperare tutte le puntate di Taiwan Files
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.