Per la prima volta dal 1949, un leader o ex leader di Taipei mette piede a Pechino. Il secondo incontro tra il “signor Ma” e il segretario generale del Partito comunista ha diversi obiettivi e livelli di lettura. Chi è Ma, come sono andati i colloqui e quali sono i reciproci obiettivi: un’analisi. Il bilancio del forte terremoto del 3 aprile. Chip, Tsmc amplia la presenza negli Usa. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
Una lunga stretta di mano, quasi nove anni dopo quella del novembre 2015 a Singapore, durata 80 secondi. E poi un colloquio su toni amichevoli, perché “non ci sono problemi che non possono essere affrontati”. Alle 4 del pomeriggio di mercoledì 10 aprile, Xi Jinping e Ma Ying-jeou si sono incontrati di nuovo. Stavolta non in “campo neutro” ma a Pechino, nella Grande Sala del Popolo. L’incontro ha suggellato e proiettato in un’altra dimensione il viaggio di 11 giorni dell’ex presidente taiwanese in Cina continentale, il secondo a distanza di un anno (qui lo speciale dedicato a quella visita avvenuta contemporaneamente a un doppio scalo di Tsai Ing-wen negli Stati Uniti) ma il primo con tappa a Pechino. Come raccontato nella scorsa puntata, si tratta della prima volta dal 1949, cioè dalla fine della guerra civile, che un leader o ex leader della Repubblica di Cina (nome ufficiale con cui Taiwan è indipendente de facto) mette piede nella capitale.
Chi è Ma Ying-jeou
Prima di raccontare che cosa si sono detti e provare a capire il significato di quest’incontro, serve dire qualcosa in più su Ma. Nato a Hong Kong nel 1950, pochi mesi dopo che Chiang Kai-shek ripiegò a Taipei tenendo il controllo comunque di diversi altri lembi di territorio tra cui Kinmen e Matsu, si è spostato con la famiglia a Taiwan quando aveva solo un anno. I suoi genitori erano entrambi cinesi continentali, il che rende Ma un waishengren per la società taiwanese (qui per approfondire il significato di questo termine). Dopo un dottorato ad Harvard, è tornato a Taiwan nel 1981. Dopo aver insegnato diritto ha iniziato la sua carriera politica, dapprima come traduttore di Chiang Ching-kuo, il figlio di Chiang Kai-shek che avviò dall’alto il processo di democratizzazione sfociato poi nelle prime elezioni presidenziali libere del 1996. Ma è stato eletto due volte sindaco di Taipei, prima di arrivare alla presidenza nel 2008.
Durante i suoi due mandati, conclusi nel 2016, Ma ha sottoscritto un ampio numero di accordi commerciali e turistici con Pechino. Un accordo sui servizi fu bloccato dalla protesta del Movimento dei Girasoli del 2014. Il testamento politico di Ma è stato proprio lo storico incontro con Xi del 2015 negli ultimi mesi del suo mandato, mentre l’opposizione interna lo criticava di voler avvicinare troppo Taipei a Pechino, con rischi non solo per l’autonomia politica ma anche per l’economia taiwanese. Negli anni successivi è cambiato tutto, a partire dalla vittoria alle elezioni di Tsai Ing-wen del Partito progressista democratico (Dpp).
Oggi, Ma non ha più incarichi ufficiali ma è ancora uno dei “grandi anziani” del Guomindang (Gmd), all’opposizione dal 2016 ma da febbraio con una risicata maggioranza parlamentare allo yuan legislativo (qui lo speciale sugli equilibri politici post elettorali). Fin qui è stato spesso considerato il deus ex machina del partito. Ma ha spinto per la candidatura di Hou Yu-ih alle presidenziali dello scorso gennaio e lo ha ricevuto più volte negli uffici della sua fondazione per rafforzare il suo “status” in materia di rapporti intrastretto e relazioni internazionali. Sempre in quell’ufficio è stato sottoscritto l’accordo di coalizione con Ko Wen-je, poi disatteso dal terzo incomodo rivelatosi decisivo nel favorire la vittoria di Lai Ching-te alle urne. Ma è però diventato anche “scomodo” pochi giorni prima delle elezioni, quando in un’intervista a Deutsche Welle ha affermato che sarebbe “impossibile” vincere un conflitto contro la Cina e ha invitato a fidarsi di Xi per riaprire il dialogo politico.
In una lunga intervista col sottoscritto, l’unica realizzata con un media italiano e pubblicata su Limes, tra le altre cose Ma disse: “La nostra costituzione dice che il nostro nome è Repubblica di Cina. Quando ero presidente ho detto che la Repubblica di Cina è il nostro Paese e Taiwan è la nostra casa. Quando la gente mi chiede da dove vengo, a volte dico che vengo dalla Repubblica di Cina, popolarmente conosciuta come Taiwan. A volte dico che vengo da Taiwan, ufficialmente conosciuta come Repubblica di Cina. Noi crediamo ancora nel consenso del 1992, che riconosce l’esistenza di un’unica Cina ma con diverse interpretazioni”.
E ancora: “La popolazione di Taiwan non ha mai accettato la formula un Paese, due sistemi sin da quando è stata proposta per la prima volta nel 1982 (…) Il Partito Comunista ha detto diverse volte nel corso del tempo di voler rispettare lo stile di vita di Taiwan dopo un’ipotetica unificazione. Lo stile di vita di Taiwan è la libertà e la democrazia. Non escludiamo la possibilità di un’unificazione, ma questa deve avvenire attraverso mezzi pacifici e un processo democratico. Nessuna delle due parti dovrebbe usare la forza o la minaccia della forza. Per essere più specifici: se la Cina continentale vuole l’unificazione di Taiwan, deve ottenere il consenso della popolazione di Taiwan”. In che modo? “Per esempio con un referendum. (…) Senza un processo pacifico e democratico i taiwanesi non saranno mai favorevoli all’unificazione“.
Alla base di tutto, c’è la convinzione espressa da Ma più volte durante il suo ultimo viaggio, che le popolazioni delle due sponde dello Stretto siano entrambe “cinesi”. Una posizione identitaria in realtà ormai minoritaria nella società taiwanese.
Com’è andato l’incontro Xi-Ma
L’incontro non è mai stato ufficializzato fino all’ultimo momento, ma diverse fonti a conoscenza del programma di viaggio avevano confermato sin dall’inizio che il colloquio era pressoché certo. Tra i media taiwanesi c’è ha scritto di un rinvio sull’agenda da lunedì 8 aprile a mercoledì 10 aprile. Non ci sono conferme in merito, ma anche se così fosse non sarebbe stato per far coincidere l’incontro con la visita di Stato del premier giapponese Fumio Kishida alla Casa Bianca, che era già fissata da tempo. Semmai ci fosse stato davvero un rinvio sarebbe invece motivato dal desiderio di non far accavallare l’incontro Xi-Ma con quello tra lo stesso Xi e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov del giorno prima. Se davvero si è voluto far coincidere l’incontro con quello Kishida-Biden, tesi plausibile, si può allora pensare che il 10 aprile fosse sin dall’inizio la data prescelta.
La conferma definitiva che l’incontro si sarebbe fatto è arrivata il giorno prima, quando ai giornalisti al seguito della delegazione di Ma è stato chiesto di effettuare due cicli di test sugli acidi nucleici nella mattina di mercoledì e presentarsi poi nel pomeriggio alla Grande Sala del Popolo. Una procedura di sicurezza che poteva essere predisposta solo per Xi. Dopo la stretta di mano, Xi e Ma si sono seduti al tavolo. Al fianco del segretario generale del Partito comunista cinese due figure chiave, Cai Qi e Wang Huning. Non si tratta solo di membri del Comitato permanente con responsabilità rilevanti, entrambi hanno un ruolo importante anche a livello simbolico proprio sul dossier taiwanese. Sono infatti gli unici due componenti del Comitato permanente ad aver sin qui visitato ufficialmente Taiwan. Wang è stato sull’isola negli anni Novanta, Cai invece in una visita effettuata nel 2012, quando al potere c’era proprio Ma, e che aveva anche uno scopo privato: la visita dello zio (poi deceduto) a Kaohsiung. Secondo diverse fonti raccolte qui a Taipei, Cai è l’uomo chiave degli scambi con la fondazione di Ma. Wang è invece il Presidente della Conferenza politica consultiva del popolo ma anche il responsabile dei lavori su fronte unito e la stessa Taiwan, come dimostra la presentazione lo scorso anno del piano di integrazione col Fujian.
Nel suo discorso di apertura, Xi ha elogiato Ma per essersi opposto all'”indipendenza di Taiwan”, per aver promosso gli scambi attraverso lo Stretto e per aver concordato che entrambi i lati dello Stretto di Taiwan appartengono a “una sola Cina”. Riferendosi al suo ospite come “signor Ma”, Xi ha detto: “I compatrioti delle due parti sono entrambi cinesi. Non c’è rancore che non possa essere risolto. Nessun problema che non possa essere affrontato. E non ci sono forze che possano separarci”. Xi ha detto che le differenze nei sistemi politici non possono cambiare il fatto che le due parti sono un unico paese. Le “interferenze straniere” non possono fermare la tendenza storica di una “riunione familiare”, ha detto, invitando entrambe le parti a cercare una “riunificazione pacifica”.
Ma ha risposto rivolgendosi a Xi non come “presidente” (evidenziando dunque il reciproco mancato riconoscimento delle entità statuali, quantomeno a livello ufficiale) ma come “segretario generale”, in riferimento al suo titolo di leader del Partito comunista. “Spero sinceramente che entrambe le parti possano rispettare i valori e i modi di vita dei rispettivi popoli”, ha detto Ma, aggiungendo che “le recenti tensioni tra le due parti hanno innescato un senso di insicurezza”. Aggiungendo poi: “Se ci fosse una guerra, sarebbe insopportabile per la nazione cinese, e le due sponde dello stretto [di Taiwan] hanno la saggezza di gestire le loro dispute in modo pacifico”.
Nella parte più concreta del suo discorso, Xi ha dichiarato che la Cina continentale renderà più facili gli spostamenti dall’altra sponda dello Stretto. “I connazionali di entrambe le parti sono sempre stati una sola famiglia, dovrebbero visitarsi spesso e diventare più vicini e affettuosi. Adotteremo misure più incisive per promuovere attivamente gli scambi, le interazioni e l’integrazione tra le due parti, permettendo ai connazionali di entrare in contatto negli scambi, di costruire la fiducia nelle interazioni e di promuovere l’unità spirituale. Invitiamo calorosamente i nostri connazionali di Taiwan a visitare più spesso la terraferma e siamo felici di vedere i connazionali visitare l’Isola del Tesoro della madrepatria per rendersene conto di persona”. Dal 2019, i viaggi individuali di cinesi continentali per motivi di turismo sono bloccati, mentre Taipei tentenna nel riaprire completamente ai gruppi.
Xi si è poi rivolto ai giovani studenti parte della delegazione di Ma, sostenendo che “i compatrioti di entrambe le parti sperano nella pace e nell’armonia” e che le relazioni saranno gestite nella “prospettiva dell’interesse generale della nazione cinese e del suo sviluppo a lungo termine”. Una prospettiva teoricamente inconciliabile con un conflitto militare sullo Stretto. Xi ha poi espresso solidarietà per il terremoto del 3 aprile. Ma ha invece ribadito la necessaria adesione al “consenso del 1992”.
Che cosa significa l’incontro per Pechino e per Taipei
Raccontato chi è Ma e che cosa si sono detti i due durante l’incontro, la domanda è: perché Xi ha ricevuto Ma in questo momento? Molti media internazionali, compresi i più importanti, hanno sottolineato la volontà di mandare un messaggio di “pazienza strategica” agli Stati Uniti. La voce più autorevole nel sostenere questa tesi è Su Chi, decano del Guomindang ed ex stretto collaboratore di Ma. Non solo. Su è in sostanza l’uomo che ha “inventato” il concetto di “consenso del 1992”. Si tratta senz’altro di una componente fondamentale, ma a mio avviso non è l’unica e forse nemmeno la più importante agli occhi di Pechino.
Ci sono quattro dimensioni di importanza per cui Xi ha deciso di ricevere Ma. La prima è prettamente interna. Come notato anche da Amanda Hsiao, la grande rilevanza data all’incontro sul Quotidiano del Popolo vuole mostrare all’opinione pubblica cinese che la strategia di lungo termine di Xi e del Partito stanno funzionando, perché a Taiwan c’è ancora qualcuno disposto al dialogo e a lavorare per la “riunificazione pacifica”. Xi mostra così che sta facendo passi avanti, un modo anche per calmare un sentimento nazionalista in netta crescita dal viaggio di Nancy Pelosi a Taipei in poi e che talvolta chiede a Pechino azioni più risolute di quelle che già non si mettano in atto. Per esempio sulla recente vicenda di Kinmen, raccontata qui.
La seconda dimensione è quella legata ai taiwanesi. Xi ha provato a mostrare un volto più accomodante, consapevole che più mostra i muscoli e più favorisce il Dpp, la parte politica a lui più ostile. Incontrando Ma spera di togliere qualche elemento retorico alla linea del Dpp e dare validità a quella del Gmd. Operazione tutt’altro che semplice.
Terzo: ricevere Ma ora significa rispondere alle attuali manovre asiatiche degli Stati Uniti, segnalando contemporaneamente due cose a Washington e non solo: Pechino considera Taiwan una questione puramente interna. E, sul fronte retorico, si vuole suggerire che Xi è in grado di dialogare con chiunque. Taiwan compresa, dunque il luogo che più di tutti viene considerato un potenziale teatro di flashpoint asiatico.
Quarto elemento, cruciale: appiattire la posizione di Taiwan su quella accomodante di Ma Ying jeou e del Gmd, di fatto “squalificando” l’attuale governo del Dpp e del presidente eletto Lai. Come a dire: se su Taiwan ci sono dei problemi non è colpa nostra, né dei taiwanesi con cui dialoghiamo, ma del governo “secessionista” e “fomentato da Washington”.
Dall’altra parte, ci sono due motivi per cui si è voluto fare l’incontro. Il primo, più personale, riguarda lo stesso Ma, che incontrando di nuovo Xi rivendica il suo ruolo di “pioniere” dei rapporti intrastretto. Il secondo, più ampio, riguarda il Gmd, che ha interesse a mostrarsi dentro e fuori Taiwan come l’unico partito in grado di garantire dialogo con Pechino e, dunque, stabilità. Per capire quanto le due parti insisteranno su questa linea saranno importanti i prossimi mesi. A Taipei gira voce di una prossima visita di Eric Chu, attuale leader del partito. Eventualità che farebbe entrare i rapporti Pcc-Gmd in un altro livello e che potrebbe innescare un cronoprogramma di cui è forse presto parlare, ma che potrebbe prevedere incontri anche con Han Kuo-yu, presidente dello yuan legislativo, e magari anche Chiang Wan-an, sindaco di Taipei e presunto pronipote di Chiang Kai-shek, nonché papabile futuro candidato alla presidenza. Anche se è tutto da vedere quanto il Gmd si ponga sulla stessa linea di Ma. Anzi, fin qui sembra che ci sia stata un po’ di freddezza perché c’è sempre il pensiero che mostrarsi più vicini a Pechino possa causare una perdita di consenso elettorale.
A Taiwan però intanto ci sono diverse polemiche con la maggioranza che accusa Ma di interferire sul processo democratico interno, visto che il 20 maggio è previsto l’insediamento di Lai, mentre la “buona volontà” di Pechino viene smentita. Dall’altra parte, anche da Pechino arrivano bordate sul Dpp.
Nel resto della sua visita di 11 giorni, Ma è stato anche a Guangzhou e a Xi’an. Ha visitato le sedi di diverse aziende e diversi campioni tecnologici cinesi, a partire da Tencent e BYD (altro passaggio molto criticato a Taipei). Si è recato poi su diversi luoghi simbolici della resistenza anti giapponese, per poi visitare la Grande Muraglia e il museo nazionale di Pechino.
Il bilancio del forte terremoto a Taiwan
Quando hanno iniziato a circolare le prime, impressionanti, immagini del terremoto di mercoledì 3 aprile a Taiwan, il mondo esterno ha avuto la sensazione di trovarsi di fronte a un disastro di proporzioni immani. Palazzi e ponti che tremano, alti edifici inclinati a 45 gradi, pezzi di strada crollati, frane, treni scossi con una forza paurosa. Chi si trova a Taiwan, ha avuto quel timore per qualche minuto, durante la lunga e potentissima scossa di magnitudo 7.2 che è stata avvertita con forza su tutto il territorio dell’isola. Eppure, al di là della città di Hualien e dei territori limitrofi, sulla costa orientale dell’isola, appena scesi per strada si è subito capito che non si trattava di una tragica replica del disastro del 21 settembre 1999. Allora, un sisma di magnitudo 7.6 che qui a Taipei e dintorni è conosciuto come “921”, causò oltre 2’400 morti e danni catastrofici. Stavolta, nonostante una conta dei danni non trascurabile, Taiwan ha retto. Viene dunque da chiedersi il motivo, oltre a provare a sciogliere alcuni dei nodi legati al terremoto e al suo impatto.
Perché i danni sono stati contenuti?
Le ragioni sono molteplici. Innanzitutto, la prevenzione. Il disastro del 1999 ebbe conseguenze molto ampie non solo a livello di vittime e feriti, ma anche a livello legale e politico. Diversi costruttori e architetti finirono in carcere per non aver rispettato le norme di sicurezza, fin lì piuttosto blande. Negli anni e decenni precedenti si era costruito ovunque, in modo per lo più sregolato, senza tenere abbastanza conto dell’intensa attività sismica della regione. Nel mirino erano finiti soprattutto i soft story, un termine che si applica agli edifici il cui piano terra è meno rigido di quelli sovrastanti. I piani morbidi sono spesso caratterizzati da aperture relativamente grandi di porte e finestre e hanno meno tramezzi rispetto ai livelli sovrastanti. Agli architetti taiwanesi sembrava il modello vincente, soprattutto sul fronte economico. Il motivo? La diffusione capillare di ampi spazi commerciali aperti al piano terra con unità abitative regolari ai piani superiori. Peccato che nel 1999 crollarono a ripetizione. Il bilancio finale fu di 51’711 edifici completamente distrutti, 53’768 edifici gravemente danneggiati e un totale di 300 miliardi di dollari taiwanesi (10 miliardi di dollari statunitensi) di danni. Gli sfollati furono oltre centomila. La catastrofe fu anche una delle ragioni alla sconfitta del Kuomintang alle elezioni del 2000. Fin lì, il partito che fu di Sun Yat-sen e Chiang Kai-shek aveva governato ininterrottamente a Taiwan dalla fine della Seconda guerra mondiale. In molti definiscono il 921, anche in questi giorni citato da tutti i taiwanesi under 30 come termine di paragone, una “sveglia”. Il Governo operò una svolta severissima, imponendo regole davvero stringenti sulla costruzioni di nuovi edifici o la ristrutturazione di quelli già completati. Il rispetto delle misure antisismiche è diventato un mantra ineludibile. Non solo. Le stesse regole antisismiche continuano a essere costantemente aggiornate, visto che a Taiwan si registrano in media quasi 2500 episodi sismici all’anno, di cui oltre 200 percepibili anche dai suoi abitanti.
Ne ho scritto nel dettaglio per RSI, continua qui.
Nel frattempo, il bellissimo parco di Taroko resterà chiuso a tempo indefinito.
Altre notizie
L’ex presidente del Dpp, Cho Jung-tai, è stato nominato nuovo premier. Cho, figura centrale nel successo della campagna presidenziale di Lai, assumerà la carica lasciata vacante dal premier in carica Chen Chien-jen dopo che Lai entrerà in carica il 20 maggio. Cho, 65 anni, è stato segretario generale del gabinetto dal settembre 2005 al gennaio 2006 e di nuovo dal settembre 2017 al dicembre 2018, periodo in cui Lai era premier. Si è dimesso dall’incarico a fine dicembre 2018 dopo la batosta alle elezioni locali per candidarsi alla presidenza del Dpp, ruolo lasciato temporaneamente vacante dopo l’abbandono di Tsai. Cho ha poi ricoperto il ruolo di presidente del Dpp dal gennaio 2019 fino all’inizio del secondo mandato di Tsai nel 2020.
Il capo della marina taiwanese è stato in viaggio negli Usa. Prima per una cerimonia alle Hawaii, poi per colloqui a Washington che hanno riguardato anche il tema dell’interoperabilità.
Raymond Greene, attualmente vice capo missione presso l’ambasciata statunitense a Tokyo, dovrebbe a breve sostituire Sandra Oudkirk alla guida dell’American Institute in Taiwan (AIT).
Il più grande fabbricatore e assemblatore di chip al mondo, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Co (TSMC), ha accettato di produrre i suoi prodotti più avanzati in Arizona a partire dal 2028. TSMC produrrà gli ultimi chip all’avanguardia a 2 nanometri in un impianto di fabbricazione che sta costruendo a Phoenix, in Arizona, segnando un miglioramento rispetto ai piani precedenti. Va ricordato però che l’apertura del primo stabilimento è in ritardo e potrebbe subire altri slittamenti dopo i recenti problemi con i fornitori. Intanto, ai grandi gruppi taiwanesi viene consigliato di pensare a stabilire una sede all’estero per mantenersi operativi in caso di future turbolenze militari o geologiche.
A Taiwan si parla tantissimo dello scandalo legato al presentatore televisivo Mickey Huang.
Di Lorenzo Lamperti
Taiwan Files – La puntata precedente
Taiwan Files –Lo speciale sulle elezioni 2024
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.