Il colloquio Biden/Xi e l’analisi dei rispettivi comunicati in merito a Taiwan. Messaggi incrociati sullo Stretto. I Tre Comunicati e le Sei Assicurazioni. Manovre militari e (soprattutto) manovre normative. La rassegna di Lorenzo Lamperti con le ultime notizie da Taipei (e dintorni)
Gli Stati Uniti dicono “Ucraina“, la Cina risponde “Taiwan“. Quantomeno nel readout della telefonata tra Joe Biden e Xi Jinping diffuso da Pechino (qui la traduzione in inglese di Zichen Wang), metà del quale appunto occupato dal dossier taiwanese. Le formule utilizzate sono le solite, ma con qualche aggiunta interessante da parte cinese.
Primo punto, il principale: “Biden ha ribadito che gli Stati Uniti non cercano una nuova guerra fredda con la Cina; non mirano a cambiare il sistema cinese; la rivitalizzazione delle sue alleanze non è rivolta alla Cina; gli Stati Uniti non sostengono l’indipendenza di Taiwan; e non hanno intenzione di cercare un conflitto con la Cina”.
Su questo arriva anche la classica conferma degli Stati Uniti. Ecco quanto si legge, infatti, nel (molto più breve) readout americano sul tema: “Il presidente ha ribadito che la politica degli Stati Uniti su Taiwan non è cambiata, e ha sottolineato che gli Stati Uniti continuano ad opporsi a qualsiasi cambiamento unilaterale dello status quo”.
Solito botta e risposta nel quale sia Pechino sia Washington si richiamano allo status quo. Anche gli Usa, infatti, si oppongono a “qualsiasi cambiamento unilaterale”. Ergo, aggressione cinese o dichiarazione di indipendenza formale di Taipei in quanto Repubblica di Taiwan. Scenario completamente diverso, come già spiegato varie volte su Taiwan Files, rispetto all’indipendenza de facto di Taipei come Repubblica di Cina che viene invece tutelata da decenni da Washington.
Interessante però il contorno aggiunto da parte cinese. Si legge: “Ciò che vale la pena notare in particolare è che alcune persone negli Stati Uniti hanno inviato un segnale sbagliato alle forze indipendentiste di Taiwan. Questo è molto pericoloso. La cattiva gestione della questione di Taiwan avrà un impatto dirompente sui legami bilaterali. La causa diretta dell’attuale situazione nelle relazioni Cina-USA è che alcune persone negli Stati Uniti non hanno dato seguito all’importante intesa comune raggiunta dai due presidenti e non hanno agito in base alle dichiarazioni positive del presidente Biden”.
Torna alla mente in questo discorso la visita di Mike Pompeo a Taipei (durante la quale aveva chiesto alla Casa Bianca di riconoscere ufficialmente la sovranità della Repubblica di Cina) e la delegazione mandata di fretta da Washington in anticipo di due giorni rispetto all’ex segretario di stato. Diventa ancora più chiaro ora il motivo di quella visita (di cui scrivevo qui). Rassicurare Taipei e allo stesso tempo prendere le distanze da Pompeo, percepito da Pechino come una di quelle “persone” che vogliono modificare lo status quo.
La visita di Pompeo ha peraltro avuto alcuni strascichi polemici a Taiwan per il suo ricco cachet e non solo. Ne parla SupChina.
Su Taiwan non si tratta. I Tre Comunicati e le Sei Assicurazioni
Al di là delle parole, però, contano le azioni. E le azioni dicono ancora una volta che Taiwan è un tema sul quale non si tratta. Lo ha ribadito il passaggio della portaerei cinese Shandong (senza velivoli a bordo) vicino a Kinmen, piccolo arcipelago che si trova esattamente di fronte a Xiamen (capoluogo del Fujian cinese) e primo avamposto taiwanese nello Stretto insieme alle isole Matsu (qui si può recuperare il mio reportage da Kinmen, mentre la prossima settimana sarò alle Matsu). Alla portaerei è poi seguito il cacciatorpediniere Usa a missili guidati Ralph Johnson, già passato di recente per le stesse acque per rassicurare Taipei sull’impegno di Washington a sostenere la difesa militare taiwanese dopo l’invasione russa in Ucraina.
La stessa cosa, d’altronde, era accaduta poche ore prima dell’incontro a Roma tra Jake Sullivan e Yang Jiechi, con l’incursione di 13 velivoli militari cinesi nello spazio di identificazione di difesa aerea taiwanese. L’incursione più massiccia degli ultimi mesi.
Ma di che cosa si parla quando si sente dire Pechino che gli Usa non rispettano gli impegni presi su Taiwan? Di solito ci si riferisce ai “Tre Comunicati“, una serie di dichiarazioni congiunte rilasciate dagli Stati Uniti e dalla Cina nel 1972, 1979 e 1982 per definire la natura delle relazioni bilaterali dei paesi, in particolare dopo aver stabilito legami diplomatici nel 1979.
Le “Sei Assicurazioni”, invece, sono state date dall’ex presidente americano Ronald Reagan a Taiwan nel 1982 e includono l’impegno a non fissare una data per la fine delle vendite di armi a Taiwan, a non tenere consultazioni preventive con la Cina riguardo alle vendite di armi a Taiwan e a non giocare un ruolo di mediazione tra Taiwan e Cina. Includono anche assicurazioni che gli Stati Uniti non rivedranno il Taiwan Relations Act o faranno pressione su Taiwan per entrare in negoziati con la Cina.
Gli Stati Uniti sostengono da sempre di rispettare ciascuno di questi documenti e dunque di non violare lo status quo, mentre la Cina ritiene che le Sei Assicurazioni contravvengano ai Tre Comunicati.
Intanto, negli Usa passa una proposta che vieta di finanziare l’utilizzo di mappe nelle quali la Repubblica di Cina (Taiwan) viene presentata come parte della Repubblica Popolare Cinese.
La questione militare nel post Kiev
Di paralleli e soprattutto differenze tra Ucraina e Taiwan ne ho parlato più volte su Taiwan Files (qui la prima volta a fine gennaio) ma anche qui su Gariwo. Differenze ribadite da tutte le parti in causa in maniera diretta o indiretta. Lo stesso ministro degli Esteri cinese Wang Yi continua a sottolineare le diversità delle due vicende. Pechino accusa Taipei di “capitalizzare” la crisi ucraina per fini personali.
Nel frattempo, Taiwan continua a mandare aiuti umanitari in Ucraina (che ASUS ha lasciato) ed è stata inserita nella lista dei paesi e territori ostili da parte del Cremlino per la sua decisione di emanare sanzioni nei confronti della Russia.
Si è diffusa una voce secondo la quale Xi Jinping avesse già predisposto un’invasione (poi rinviata per gli effetti della guerra in Ucraina) per il prossimo ottobre per ottenere “una piccola vittoria” prima del XX Congresso. Ricostruzioni che non trovano nessun riscontro nella realtà e che soprattutto descrivono una “piccola vittoria” qualcosa che sarebbe “LA” vittoria. Ma anche qualcosa che potrebbe diventare “LA” sconfitta. Secondo Politico, le difficoltà russe in Ucraina stanno rallentando i piani di Xi, così come il Financial Times citando fonti di intelligence. Di certo stanno velocizzando una tendenza già in atto: la corsa alle armi e alle capacità di difesa non solo di Taiwan ma in generale dell’Asia (ne ho scritto qui).
Ad azioni militari immediate non crede neppure Taipei. Un report sulle implicazioni della guerra in Ucraina per la sicurezza di Taipei, presentato al parlamento taiwanese dal Consiglio per gli affari continentali, sostiene che “il governo della Cina considera prioritario garantire la stabilità dell’ambiente domestico e internazionale prima del 20mo Congresso nazionale del Partito e dunque “non alimenterà le tensioni a breve termine” con Taiwan.
Come sempre più “bold” il ministro degli Esteri Joseph Wu: “Se i leader cinesi considerassero la reazione occidentale all’aggressione russa debole, non coerente e senza alcun impatto, potrebbero prenderla come un via libera”, ha dichiarato durante una conferenza stampa. In un incontro telematico tenuto a febbraio con l’ex segretario alla Difesa Usa nell’amministrazione Trump, Mark Esper, il capo della diplomazia taiwanese ha precisato che un attacco da parte della Cina continentale non è una questione di se, ma una questione di quando”.
Secondo un sondaggio, la guerra in Ucraina ha reso gli abitanti di Taiwan più disposti a combattere, il 70,2% contro il 40,3% di dicembre. Ma restano dubbi sulle capacità dell’esercito e sui mezzi a disposizione. Solo nei giorni scorsi è caduto il secondo jet militare dell’anno.
Intanto, l’esercito taiwanese ha condotto dei test militari a Dongyin, l’isola più vicina al territorio della Repubblica Popolare tra quelle dell’arcipelago Matsu e teatro di una recente incursione dell’Esercito popolare di liberazione. Non saranno gli unici test, ma si svolgeranno nelle prossime settimane altre esercitazioni volte a rafforzare la capacità di combattimento asimmetrica di Taipei. Nelle prossime settimane verranno anche collaudati dei nuovi sistemi missilistici.
Secondo War on the Rocks, dalla guerra in Ucraina il governo taiwanese dovrebbe trarre la lezione di iniziare “a fare sul serio” in materia di difesa. E anche sul come difendersi.
Il governo pensa intanto ad ampliare il programma dedicato ai riservisti, includendo anche le donne. Il dibattito sulla leva militare è sempre aperto e probabilmente sarà sempre più di attualità. Ne parleremo.
Su Wired ho invece parlato del perché Pechino non può abbandonare la propaganda russa sull’Ucraina, con qualche passaggio su Taiwan. “Pechino sottolinea invece quelle che definisce “fake news” diffuse da Stati Uniti e “secessionisti taiwanesi” (attraverso quella che il Global Times definisce “online army” messa a punto dal Partito progressista democratico al potere). Qualche esempio: la teoria secondo cui la Cina sapesse dell’attacco russo e lo sostenga, che Taiwan sarà la prossima Ucraina o che Pechino sia pronta a trarre vantaggio dalla guerra per operazioni militari nella regione”.
La Reunification Law: arsenale normativo cinese
I movimenti da seguire maggiormente da parte di Pechino sono in questo momento quelli normativi. Attenzione a quanto accaduto durante la “lianghui”, le due sessioni. Nella conferenza stampa di chiusura, il premier uscente Li Keqiang ha ribadito l’opposizione a qualsiasi “attività separatista” e ha assicurato che “le opportunità di sviluppo comuni continueranno a essere condivise con i connazionali” di Taiwan attraverso una “parità di trattamento ai connazionali di Taiwan che vengono a lavorare sulla terraferma e adotteremo anche misure concrete a loro vantaggio”.
Ma al di là delle solite formule, la novità arriva dal suggerimento di un senior advisor della Conferenza Consultiva del Popolo. Zhang Lianqi ha avanzato la proposta di superare la Anti Secession Law in vigore dal 2005 con una nuova Reunification Law. La prima si è concentrata sulla lotta contro “l’indipendenza di Taiwan”, mentre la proposta di legge sulla riunificazione promuoverebbe la riunificazione. “La legge dovrebbe definire chiaramente le responsabilità legali quando gli obblighi verso la riunificazione nazionale sono stati violati”, ha detto Zhang.
Un cambiamento di paradigma molto forte: se prima a essere potenzialmente puniti erano solo quelli che Pechino definisce “secessionisti”, con una legge come quella proposta da Zhang nel mirino ci potrebbe finire chiunque non si prodiga alla “riunificazione”. Finora non c’è alcun segno che la formulazione di una legge di riunificazione sia nell’agenda ufficiale di Pechino, ma nei giorni scorsi l‘Ufficio per gli Affari di Taiwan ha comunicato che il governo cinese “rafforzerà l’uso della Rule of Law per combattere i secessionisti taiwanesi” ed è stato dichiarato che la proposta di Zhang verrà presa in esame.
Altre cose
La vittoria del conservatore Yoon Suk-yeol potrebbe cambiare in qualche modo i rapporti tra Corea del Sud e Cina, con riflessi anche su Taiwan. Lunedì scorso è uscito il mini e-ebook di China Files interamente dedicato alla Corea.
Visita ufficiale del presidente di Belize, uno degli stati rimasti a riconoscere Taiwan.
Record al box office per il documentario “Revolution of our Times” sulle proteste di Hong Kong.
Continua l’allentamento delle restrizioni all’ingresso a Taiwan.
Richiesti maggiori fondi per il sistema elettrico taiwanese dopo i recenti blackout.
Italia-Taiwan: Mozione di Formentini (Lega) alla Camera per prestare attenzione alla situazione sullo Stretto. Berloni diventa taiwanese. La società, in concordato dallo scorso novembre, è stata comprata all’asta indetta dal tribunale di Pesaro dalla Treasure Win di proprietà del tycoon taiwanese Alex Huang. Nell’occasione della Giornata del Design Italiano (23 marzo), in collaborazione con l’Ufficio di Taipei dell’Agenzia ICE, l’Ufficio Italiano di Promozione Economica, Commerciale e Culturale invita a un ciclo di videoconferenze sia i professionisti locali dei settori arredamento e architettura, sia il grande pubblico. Un primo incontro (dal titolo: Ciao Maestro) è con Alberto Perazza, CEO di MAGIS Spa, sui temi della sostenibilità e dell’innovazione; esso sarà seguito da due dialoghi (titolo: Carpe diem) con i KOL locali Chang Dao Ming (architetto formatosi accademicamente e professionalmente in Italia) e Hsu Yu Hua (giornalista di design e lifestyle), che esamineranno il rapporto tra design italiano e percezione taiwanese.
In giro per Taiwan – Tainan
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Di Lorenzo Lamperti
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Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.