La “deliberata ambiguità” sta diventando sempre meno ambigua. Il principio che dal 1979 definisce meglio di qualunque altro l’approccio strategico degli Stati Uniti ai rapporti con la Repubblica di Cina, ergo Taiwan, è in fase di mutamento.
L’amministrazione Biden ha rilasciato delle nuove linee guida sui rapporti bilaterali, che corrono sempre più veloce pur restando (per ora) su binari non ufficiali in ossequio al principio dell’unica Cina. Gli incontri tra i funzionari statunitensi e i rappresentanti taiwanesi saranno più semplici e potranno tenersi anche presso uffici federali e l’ambasciata de facto di Taipei a New York. Si tratta di uno step successivo all’annuncio last minute di Mike Pompeo, che pochi giorni prima di lasciare il Dipartimento di Stato aveva eliminato le restrizioni auto imposte nelle relazioni con Formosa. Per Biden poteva essere un trabocchetto, è diventato un assist.
Già nelle scorse settimane, gli ambasciatori statunitensi nei Paesi Bassi e in Giappone avevano ospitato i rappresentanti locali del governo taiwanese, mentre per la prima volta dal 1979 un ambasciatore Usa in carica (quello a Palau) è stato in visita a Taipei. Dopo l’intensificazione delle incursioni aeree dell’Esercito popolare di liberazione e dei transiti incrociati ed esercitazioni navali sullo Stretto, a Washington c’è chi chiede a Biden di fare un ulteriore passo e cancellare del tutto l’ambiguità nel sostegno al governo taiwanese. Altri esperti sconsigliano passi avventati che possano mettere a repentaglio il delicato (e per ora fruttuoso) status quo.
Sul lato militare, si alza l’attenzione sulle isole Pratas (in cinese Dongsha): controllate da Taiwan ma, come il resto del territorio di Formosa, rivendicate da Pechino, stanno diventando il teatro ideale per testare su piccola scala i rapporti di forza. Ai mezzi aerei e navali si aggiungono i droni militari che il governo taiwanese ha detto di essere pronto ad abbattere.
Ma le competenze taiwanesi sono utilizzate da Pechino per perseguire quell’ammodernamento tecnologico che un giorno potrebbe essere utile per azioni militari contro la stessa Taipei. Negli scorsi giorni, l’amministrazione Biden ha inserito nella lista nera sette entità cinesi tra aziende e laboratori attivi sul fronte “supercomputer”, utili allo sviluppo nucleare e degli armamenti. Alcune di queste entità, come la Tianjin Phytium Information Technology, utilizzano però chip provenienti dal colosso Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc), leader mondiale del settore. Un apparente paradosso che spiega bene quanto, lungo lo Stretto, al di là della retorica le interconnessioni siano ancora forti.
[Pubblicato su il manifesto]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.