Pechino ha avviato nuove manovre militari intorno all’isola principale e quelle minori, nemmeno tre giorni dopo l’insediamento del neo presidente Lai Ching-te. Arrivano segnali sia sul fronte militare sia su quello politico: non sarà semplice un ritorno alla calma apparente degli ultimi mesi
Novembre 1948. L’esercito popolare di liberazione circonda Pechino, dove sono asserragliate le forze del Guomindang. È un lento accerchiamento, che taglia i rifornimenti e sfianca le resistenze. Passano due mesi e i fedeli di Chiang Kai-shek escono dalle mura. I comunisti di Mao Zedong entrano in quella che di lì a poco diventerà la capitale della Repubblica popolare. Tra gli analisti cinesi, c’è chi pensa che si possa replicare questo modello per la “riunificazione” di Taiwan.
Le esercitazioni militari lanciate alle 7.45 di ieri mattina mostrano che Pechino non esclude l’ipotesi di un futuro blocco navale intorno all’isola. Dopo un anno di relativa calma, in cui anche Xi Jinping ha atteso l’esito delle presidenziali taiwanesi, jet e navi continentali tornano a lambire le 24 miglia nautiche dalle coste che segnano l’ingresso nelle acque contigue di Taipei. Se quella soglia sarà oltrepassata o meno è considerato il principale indicatore delle operazioni “spada congiunta 2024A”. Un nome che chiarisce già l’intenzione di effettuare altre manovre nel corso dell’anno. La mappa delle manovre è molto simile a quella delle maxi esercitazioni di agosto 2022 dopo la visita di Nancy Pelosi. Rispetto ad allora, la durata è nettamente inferiore: 48 ore invece di dieci giorni. Fino alla tarda serata di ieri, non erano stati nemmeno lanciati nuovi missili balistici. Eppure, l’ampiezza e proprio la rapidità dà alle nuove esercitazioni un alto valore strategico. “La breve durata suggerisce che Pechino potrebbe essere in grado di una manovra ad ampio raggio senza che Giappone e Usa abbiano il tempo di intervenire”, dice Lu Li-shih, ex istruttore dell’accademia navale di Kaohsiung. Effettuati pattugliamenti congiunti in modalità da combattimento e simulazioni di attacchi contro obiettivi chiave, mentre la guardia costiera si è mossa intorno a Kinmen, Matsu, Dongyin e Wuqiu. Si tratta delle isole e arcipelaghi minori amministrati da Taipei, a pochi chilometri di mare dal Fujian cinese. Per la prima volta questi ex avamposti militari, teatro di bombardamenti negli anni Cinquanta, sono stati indicati sulle mappe dell’esercito di Pechino. Il segnale non è tanto che sarebbero i primi obiettivi in caso di azione militare, quanto che la Cina potrebbe essere in grado di controllare e quasi “inglobare” ogni porzione di territorio.
I piani erano evidentemente già pronti, ma l’innesco della spada congiunta è stato il discorso di insediamento di Lai, pronunciato nemmeno 72 ore prima. In campagna elettorale, Lai aveva garantito di porsi in perfetta continuità con la leader uscente Tsai Ing-wen, sua compagna di partito. Nella prima uscita ufficiale ha sì ribadito l’intenzione di tutelare lo status quo, che significa niente “unificazione” e niente indipendenza formale, ma ha tolto molta ambiguità all’indipendenza de facto “taiwanesizzando” il tradizionale perimetro della Repubblica di Cina. Di più, non ha riaffermato la validità della costituzione nella gestione dei rapporti intrastretto. Per i media e gli ufficiali cinesi si è trattato di un “tradimento”. È vero che qualsiasi posizione che non sia l’accettazione del principio della “unica Cina” non basterebbe a Pechino, ma secondo molti osservatori Lai ha eroso una parte di quell’opacità funzionale al mantenimento di uno status quo sempre più vacillante.
Non è un caso che, dopo aver criticato le esercitazioni, l’opposizione del Guomindang chieda a Lai “risposte pragmatiche ed efficaci, oltre alla condanna verbale”. Il messaggio è chiaro: solo noi siamo in grado di dialogare con Pechino e la tua posizione ci mette a rischio. Visti i primi giorni di amministrazione Lai, è assai complicato prevedere una ripresa di un dialogo che a livello governativo manca ormai da oltre otto anni. Le turbolenze sembrano dunque destinate ad aumentare nel prossimo futuro, col rischio che si apra un nuovo fronte di crisi. I taiwanesi, per ora, si preoccupano soprattutto del voto di oggi sulla riforma voluta dall’opposizione (che ha però la maggioranza parlamentare) che amplia il potere del ramo legislativo. A Taipei ci si aspetta una vasta protesta dei sostenitori di Lai, in un clima frammentato che potrebbe non dispiacere a Pechino.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.