«Una pietra miliare per la democrazia di Taiwan». O la morte della stessa. Una nuova legge volta a far luce sulle ricchezze dei partiti acuisce la spaccatura che divide l’indipendentista Democratic Progressive Party (Dpp), uscito vincente dalle elezioni di gennaio, dallo sconfitto filocinese Guomingdan (Kmt). Sullo sfondo, le frizioni che oggi più che mai sfilacciano i rapporti tra le due sponde dello Stretto.
Taipei si accinge ad avviare un’indagine sulle fortune occulte dei partiti. Il 25 luglio lo Yuan Legislativo (ovvero il parlamento taiwanese) ha approvato una legge lungamente attesa che autorizza la realizzazione di controlli ed eventualmente la confisca di beni illeciti accumulati dai vari gruppi politici. Dopo 14 anni di ostruzionismo nazionalista, e una seduta parlamentare di 11 ore, lo «Statute on Handling the Inappropriate Assets of Political Parties and Their Affiliated Organizations» prevede l’istituzione di una commissione speciale sotto la supervisione dello Yuan Esecutivo (il gabinetto) con il compito di indagare l’origine degli asset accumulati dal Kmt prima della fine dell’era della legge marziale (1987), compresi i beni di tutte quelle organizzazioni su cui il partito ha esercitato un controllo sostanziale.
Considerato uno dei partiti più ricchi al mondo, il Guomindang vanta tra, partecipazioni in agenzie di stampa, imprese edili, ospedali e karaoke, beni pari a 18,96 miliardi di dollari di Taiwan (TWD), contro i 478,72 milioni del Dpp, tornato al governo con le elezioni dello scorso gennaio. Parte delle ricchezze risale a prima che i nazionalisti scappassero dalla mainland per rifugiarsi oltre lo Stretto alla fine della guerra civile; un’altra fetta deriva dagli asset nazionalizzati dai giapponesi, quando Taiwan era ancora una colonia nipponica (1895 – 1945). Ma il brusco svuotamento dei forzieri ha nel corso degli anni suscitato diversi dubbi sulla gestione finanziaria degli eredi di Chiang Kai-Shek, sopratutto durante l’amministrazione dell’ex presidente Ma Ying-Jeou: secondo Wealth Magazine (Caixun), nel 2000 gli asset dei nazionalisti si aggiravano ancora intorno alla cifra sbalorditiva di 600 miliardi TWD, circa 17 miliardi di euro.
Mentre la somma è stata spesso additata dai partiti rivali come fonte di «un vantaggio sleale» in campagna elettorale, negli ultimi anni non di rado accuse di appropriazione indebita contro Ma – leader del Guomindang dal 2009 al 2014 – sono partite nientemeno che dalle fila del partito stesso; sintomo di un «conflitto interno più che della reale corruzione» dell’ex numero uno di Taipei, spiega Brian Hieo sul magazine online New Bloom.
Cionondimeno, un lungo passato di corruzione, che risale ai tempi del Generalissimo, offre alla coalizione indipendentista pan-verde spunti per varie accuse. I detrattori sostengono che gran parte delle fortune accumulate dai nazionalisti derivino dai monopoli commerciali e dai contatti politici tessuti durante quasi sessant’anni di governo monopartitico. Dopo la sconfitta ad opera dei comunisti e la fuga sull’ex Formosa, il Kmt ha governato manu militari sino al 1987, rimanendo saldo al potere fino al 2000 quando per la prima volta il Dpp ha assunto le redini del paese. Salvo poi tornare all’opposizione nel 2008, in seguito alla nomina di Ma Ying-jeou alla guida della Repubblica di Cina; un ricambio – cominciato con l’arresto per corruzione del Capo di Stato progressista Chen Shui-bian – che ha segnato l’inizio di un periodo di distensione tra le due sponde dello Stretto durato sino al recente turnover politico e alla bagarre sull’interpretazione del concetto «una sola Cina», su cui la neopresidente e leader del Dpp Tsai Ing-wen continua a mantenere una posizione ambigua con grande disappunto di Pechino.
In base alla nuova legge, tutti gli asset di un partito, con l’eccezione di quote associative, donazioni politiche e sussidi governativi ottenuti dal 15 agosto 1945 – quando il Kmt ha rimpiazzato il Giappone sull’isola – sono considerati illeciti e devono essere restituiti al governo. Tutti i gruppi politici dovranno rendere conto dei propri beni alla commissione appositamente istituita entro un anno dall’entrata in vigore della legge. I trasgressori rischiano pene pecuniarie tra 1 e 5 milioni TWD.
Mentre qualcuno rimarca l’abilità con cui il Dpp è riuscito a sbloccare i processi decisionali del granitico parlamento taiwanese, la nuova leader del Kmt Hung Hsiu-chu ha definito l’Act «scorretto e antidemocratico». Stando a quanto riportava ieri il Taipei Times, i nazionalisti «chiederanno un’interpretazione costituzionale da parte del Consiglio dei Grandi Giudici per salvaguardare gli interessi del partito, ma hanno assicurato che onoreranno la promessa di donare tutti i beni in beneficenza, indipendentemente dall’esito». Lo scorso 14 luglio Hung aveva reso nota l’intenzione di «cedere tutto, a parte gli spazi per uffici acquistati legalmente e i fondi per coprire le spese personali».