L’11 agosto scorso, la Cina ha svalutato lo yuan con una mossa a sorpresa. Svalutazione competitiva, inizio di una guerra valutaria, semplice, decisione prevedibile? La mossa della banca centrale ha avuto diverse interpretazioni. China Files ha sentito diversi esperti per capire cosa stava succedendo e quali sarebbero state le conseguenze. D’ora in poi la Cina sarà un fattore da tenere in considerazione nell’attuazione delle politiche monetarie. Con la svalutazione dello yuan decisa dalla People’s Bank of China Pechino ha infatti acquisito un’influenza che prima non aveva. E questo nuovo ruolo potrà avere le prime conseguenze nel momento in cui la Federal Reserve deciderà la tempistica per il rialzo dei tassi negli Stati Uniti, spiega François Godement, direttore del programma sull’Asia e sulla Cina dell’European Center on Foreign Relations (Ecfr).
In un recente articolo sul deprezzamento della valuta cinese lo studioso francese ha tratto due conclusioni dalle mosse della Cina: la prima è il talento dimostrato dai cinesi nell’ammantare la propria politica monetaria di un linguaggio accettabile a livello internazionale. La seconda è che la dirigenza non lascerà che il mercato detti i tassi di cambio ma al contrario immagina la propria valuta come uno strumento macroeconomico per massimizzare la competitività e contenere il rallentamento della crescita economica.
Professor Godement, lei ha descritto il ribasso forzato dello yuan come una «dichiarazione politica». Quali sono i contenuti?
Innanzitutto ho voluto dire che non siamo davanti al dispiegarsi di forze di mercato. Il secondo messaggio è che la Banca centrale ha deciso di spingere al ribasso lo yuan, ma è pronta contrastare la speculazione. L’andamento della svalutazione è chiaro. Il primo intervento è stato un ribasso del midpoint sul dollaro del 1,9%, poi del 1,6% e infine dell’1,1%. L’obiettivo dovrebbe essere una svalutazione complessiva attorno al 4%. Tuttavia, in momento in cui le forze del mercato stavano prendendo il sopravvento, sono intervenuti in senso contrario.
Per questo motivo parla di una «politica monetaria celata dietro un linguaggio accettato internazionalmente»?
Per anni è stato chiesta alla Cina flessibilità nei cambi, ma questa era sempre stata intesa come
flessibilità verso l’alto. La Cina ha accetto questa richiesta, ma è chiaro che ha deciso di usarla anche nella direzione opposta.
Le borse europee hanno inizialmente reagito con pesanti cali. Quali saranno le conseguenze della mossa cinese per l’Europa?
L’Europa ha reagito in maniera eccessiva. Ci saranno effetti sulle esportazioni di auto e beni di lusso, settori per i quali quello cinese rappresenta uno dei principali mercati. Di contro la decisione di svalutare lo yuan ha anche risvolti positivi; si pensi alle aziende europee che investono e producono in Cina o, ancora, al calo del petrolio e delle materie prime, che intacca Paesi come l’Australia o il Venezuela, ma non l’Europa.
Quanto peserà la mossa cinese invece sui rapporti con gli Stati Uniti? Lo yuan è già diventato un tema di dibattito tra i membri del Congresso Usa, sventolato anche dal candidato alla primarie repubblicane Donald Trump.
Il tema non sarà centrale nella corsa alla Casa Bianca. Già in vista della visita del presidente cinese Xi Jinping negli Usa, in agenda a settembre, le polemiche si saranno sgonfiate. Al contrario un tema da tenere in considerazione è il rapporto tra la People’s Bank of China e la Federal Reserve. Tutti attendono il rialzo dei tassi Usa, ma un apprezzamento del dollaro c’è di fatto già stato. La stretta Usa pertanto potrebbe non arrivare subito. La svalutazione della propria divisa ha dato alla Cina una leva per influire sulle scelte di politica monetaria delle banche centrali delle altri macro-aree economiche mondiali.
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