Hanoi sta affrontando uno dei periodi più critici per la fornitura di energia elettrica nelle zone colpite dalle ondate di calore. Le fonti fossili tornano a essere la prima scelta in un paese considerato tra i più promettenti per la produzione di energia pulita nel Sud-Est asiatico
In Vietnam non è ancora tempo per dire addio al carbone. Il dato è emerso lo scorso 31 maggio in occasione di un incontro tra società e istituzioni del mondo Esg (Environment, Society, Governance) a Ho Chi Minh City ed è stato riportato da diverse testate asiatiche. Ma il problema esiste da tempo, ed è sintomatico di un processo di sviluppo rapido e disordinato. Da pochi anni il paese è al centro di un significativo processo di conversione alle rinnovabili mai visto prima nel Sud-Est asiatico, ma la corsa all’energia verde non è ancora sufficiente a sostenere una domanda energetica che è raddoppiata in meno di dieci anni.
Come accade oggi per la Cina – stretta tra le promesse di sviluppo sostenibile e un sistema energetico ancora da stabilizzare – anche per Hanoi il problema di equilibrare domanda e offerta energetica è già realtà. E il cambiamento climatico aggiunge un ulteriore difficoltà nella tenuta della rete elettrica e nella gestione dei picchi energetici. A partire da maggio diverse aree industriali nel nord del paese hanno iniziato a registrare una serie di interruzioni della corrente elettrica senza precedenti: “È la prima volta che accade in dieci anni”, racconta a VnExpress un lavoratore della provincia di Bac Ninh. Il manager dell’impianto, che si occupa dell’assemblaggio di alcune componenti telefoniche, ha avvertito i dipendenti che il giorno dopo non sarebbe stato possibile lavorare a causa di un’interruzione della corrente di dodici ore consecutive.
Crisi energetica e transizione
A giustificare la crisi energetica di queste settimane è senz’altro un aumento record delle temperature, fattore che causa a sua volta un picco della domanda energetica legata a impianti di raffreddamento industriali e utilizzo di condizionatori negli edifici. Ma anche il lato dell’offerta manca di continuità. Secondo quanto riferito dal ministero dell’Economia e del Commercio ben undici centrali idroelettriche sono state chiuse a causa della carenza di acqua, mentre sarebbe necessario almeno un milione di tonnellate di carbone per far funzionare le centrali termiche del nord.
Lo scorso 7 giugno il direttore dell’Autorità di regolamentazione dell’elettricità del ministero dell’Industria Tran Viet Hoa aveva parlato di “gravi carenze” nella fornitura energetica, affermando che – importazioni comprese – la disponibilità effettiva era di soli 18 mila megawatt, contro una previsione di domanda energetica capace di toccare punte di 24 mila megawatt. A fine maggio l’output delle dighe era capace di sostenere solo altri quattro giorni di picco energetico, pochi giorni dopo – il 3 giugno – i principali impianti idroelettrici non erano in grado di produrre energia per l’intera giornata.
La dipendenza dal carbone
La crisi idrica è senz’altro un fattore che rallenta l’avanzamento vietnamita nel mondo dell’energia rinnovabile, e riporta inevitabilmente il paese verso una fonte considerata – almeno in teoria – più sicura e disponibile. Se da un lato il crollo della produzione di energia idroelettrica ha fatto emergere un deficit nello stock di carbone per la produzione di corrente elettrica, dall’altro le fonti fossili non hanno mai lasciato un vuoto nel mix energetico nazionale. Anzi, sono semplicemente aumentate per sopperire al boom economico. Come riferisce l’International Energy Agency (IEA) il Vietnam è uno di quei paesi che, pur essendo uno dei più grandi investitori ASEAN nelle rinnovabili, prevede di raddoppiare la produzione delle centrali termoelettriche a carbone.
Inoltre, “il problema del Vietnam è che le centrali a carbone sono molto giovani, alcune hanno meno di 10 anni”, ha spiegato a Nikkei Asia Tung Ho, responsabile nazionale della consulenza energetica Allotrope. Tant’è che i legislatori stanno valutando non tanto l’abbandono di questa fonte energetica, bensì la conversione degli impianti a tecnologie che cadono sotto l’ombrello semantico del “carbone pulito (clean coal technologies)”. Tra queste, l’utilizzo dell’ammoniaca come co-combustibile per ridurre le emissioni nocive, una tecnologia ancora molto dibattuta perché non esistono ancora prove certe della sua efficacia.
Quale futuro per la transizione energetica vietnamita?
Il carbone in Vietnam occupa oltre il 50% del mix energetico, superando tutti gli altri paesi del gruppo ASEAN. Il secondo consumatore di carbone nella regione è il Laos, paese chiave per le forniture di questo combustibile ad Hanoi. Mentre le prospettive del Power Development Plan 8 (PDP8) parlano di transizione verde come opportunità per attrarre capitale straniero e raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, la leadership vietnamita continua a valutare una serie di ambiziosi progetti infrastrutturali legati al carbone. È il caso di un’autostrada di 160 km che collegherebbe le province laotiane di Sekong e Salavan al distretto vietnamita di Hai Lang.
Lo stesso PDP8 prevede la costruzione di nuove centrali a carbone fino al 2030, anno che dovrebbe segnare l’inizio effettivo di una transizione esclusiva – almeno a livello infrastrutturale – verso gli impianti di produzione energetica sostenibile. Si tratta dunque di scadenze che non prevedono la chiusura delle centrali a carbone, ma del solo divieto a nuovi appalti. Sebbene le previsioni mostrino un graduale calo della produzione legata al carbone (una riduzione del 10% nei prossimi dieci anni), è importante ricordare che le prospettive di produzione totale sono ambiziosamente al rialzo. Secondo il piano di sviluppo, infatti, Hanoi punta a produrre più energia di paesi come Francia e Italia.
I piani del Vietnam dovranno fare i conti anche con le promesse internazionali. Dal 2022 il paese è entrato a far parte della Just Energy Transition Partnership. Lo schema, adottato insieme a partner quali Usa, Giappone, Regno Unito e Unione Europea, prevede di sbloccare oltre 15 miliardi di dollari per sostenere la transizione energetica dei paesi membri. Alla COP26 di Glasgow, inoltre, Hanoi ha dichiarato che smetterà di utilizzare il carbone come fonte energetica entro il 2040. Nel 2022 l’Economist aveva definito il Vietnam come “un punto luminoso in una mappa altrimenti nera come la notte” per il suo rapido sviluppo nel campo dell’energia solare. Ma la strada da percorrere è ancora lunga.
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.