La nuova rubrica di China Files (ogni due settimane, al mercoledì) è dedicata alla sostenibilità economica della locomotiva cinese. Oggi è sul messaggio trasmesso alla China Think Tank Conference: nel pentolone fumante, c’è bisogno di tenere la fiamma alta, l’ebollizione non deve esaurirsi e le bolle di idee e innovazione si devono combinare tra loro.
Shanghai – “Boiling pot effects”, questa la metafora usata da Wang Zhen vice presidente di uno dei maggiori think tank cinesi (Shanghai Academy of Social Sciences),da sempre legato a doppio nodo al Partito. Con tanto di fumetto ad accompagnare la sua presentazione, il messaggio trasmesso alla China Think Tank Conference, che si tiene in questi giorni a Shanghai è il seguente: nel pentolone fumante, c’è bisogno di tenere la fiamma alta, l’ebollizione non deve esaurirsi e le bolle di idee e innovazione si devono combinare tra loro.
Nel pentolone del Panoramix cinese non c’è altro che il percorso di innovazione politica ed economica sul quale la Cina si è avviata e che dipende dalla capacità di governo del paese davanti alle grandi sfide che si profilano: ambiente, demografia, sicurezza non solo energetica, per dirne solo alcune. Una modernizzazione che prende sempre più la forma di nuovi sistemi di governance della complessità che il paese chiede a gran voce di costruire insieme ai tradizionali think tank governativi, ma anche a nuove istituzioni indipendenti.
Il richiamo non è di oggi, infatti in occasione dell’ultimo appuntamento politico importante per la Cina, il Terzo plenum dello scorso novembre, tra le tante riforme incoraggiate vi è stata “la creazione di think tank con caratteristiche cinesi, che aiutino il miglioramento delle capacità decisionali e dei meccanismi di supporto alle decisioni nella formulazione delle politiche pubbliche”. E’ la prima volta che si fa esplicito riferimento a due concetti “country’s governing system” e “governing capabilities” che corrispondono alla nostro concetto di governo della singola entità paese e nella seconda definizione di governance delle relazioni tra una pluralità di attori sociali ed economici.
Scopo delle discussioni di Shanghai che hanno portato nella metropoli cinese esponenti di think tank da tutto il mondo (per l’Italia Paolo Magri Direttore dell’ISPI) obiettivo del workshop quello di riflettere sul ruolo che i think tank sono chimamti ad assumere in un nuovo ordine globale dove a fare da padrone è il flusso, il cambiamento, lo spostamento delle barriere economico e politiche su paesi e aree del mondo prima ai margini.
Le best practice globali si scontrano nelle discussion con il richiamo cinese alla necessità di mantenere “caratteristiche locali” anche nella gestioni di questi organismi. Se Chatman House descrive la propria regola d’oro basata il più delle volte sul il ribaltamento delle prospettive delle problematiche avanzate dagli interlocutori, che fa giocare il ruolo dell’avvocato del diavolo su diverse questioni, mantenendo una rigida regola dell’anonimato su opinioni o aziende, la visione cinese si interroga sulle modalità attraverso le quali questi organismi, tradizionalmente vicini al potere, possano accompagnare il mutamento annunciato dalla Cina.
Sono interrogative nuove, così come lo sono i temi sul tavolo, almeno per il contesto cinese. Qualche esempio: si parla di indipendenza dei think tank dal governo come una prospettiva necessaria (forse per liberarsi dall’abbraccio mortale con i vested interests che da sempre legano policy making e implementazione) e della possibilità che questi imparino sempre di più da quelli esistenti in altri paesi. Tematiche su cui da decenni si interrogano gli omologhi europei ed americani ma che nel complesso scenario cinese suonano come musica nuova.
Una cosa però i cinesi paiono averla chiara e lo dice a gran voce un membro dell’Accademia delle scienze sociali di Shanghai gelando la platea: “ Voi americani avete i migliori think tank del mondo. Perché non li avete ascoltati quando vi sconsigliavano di impegnarvi nella Guerra in Iraq?”. La Cina impara dagli sbagli altrui, restando ferma quella caratteristica cinese che ormai permea tutto e che nel ristretto ambito dei think tank vede "una maggiore attenzione per i dati qualitativi e meno importanza al livello emotivo delle situazione, come in Occidente”.
*Nicoletta Ferro si è occupata delle dinamiche politiche e aziendali legate alla sostenibilità, prima come senior researcher presso la Fondazione Eni Enrico Mattei a Milano, in seguito per 7 anni da Shanghai. Oggi è ricercatrice presso il CRIOS (Center for Research in Innovation, Organization and Strategy) dell’Università Bocconi e responsabile dello sviluppo asiatico di GOLDEN (Global Organizational Learning and Development Network) for sustainability, un network di ricerca globale sui temi della sostenibilità.
Esperta di sostenibilità sociale e ambientale. Si è formata nel mondo della ricerca accademica (prima alla Fondazione Eni e in seguito all’Università Bocconi) ed é arrivata in Cina nel 2007. Negli anni cinesi ha lavorato come consulente e collaborato con diverse testate italiane online quali AgiChina e China Files per le quali ha tenuto il blog La linea rossa e la rubrica Sustanalytics oltre a curare il volume “Cina e sviluppo sostenibile, le sfide sociali e ambientali del XXI secolo, L’Asino d’oro (2015). Dopo una parentesi nel settore privato come Communications & Corporate Affairs Manager in Svizzera, é rientrata in Italia e ora vive a Milano.