Montagne di acquisti e ancora di più scarti. Tra i tanti record registrati in questi giorni dal Singles Day, la giornata di super sconti offerta dal gigante dell’ hi-tech cinese Alibaba, ce n’è uno meno decantato dalle cronache, ma non per questo meno significativo. Sono le 300,000 tonnellate di imballaggi di cartone, plastica, polistirolo, buste postali, carta plasticata, tenute insieme da chilometri di scotch che il miliardo di pacchi consegnati in tutto il paese si è lasciato dietro.
Il voluminoso e spesso eccessivo packaging dei prodotti, specie quelli elettronici, prende in Cina la via della spazzatura con una stima di riciclo e riuso di solo il 20% calcolata da Greenpeace. Negli Stati Uniti se ne ricicla il 67%, per capirci. Se pensiamo solo che il cartone con il nastro adesivo non può essere riciclato possiamo immaginare l’entità degli scarti che hanno messo in seria crisi il sistema di smaltimento del paese.
In un momento storico come quello attuale dove l’attenzione di aziende, società civile e del legislatore è sempre più concentrata sul tema della plastica, dal suo smaltimento alla prevenzione, e con il comparto moda che ha iniziato finalmente a interrogarsi sui propri impatti ambientali e sociali e a ridiscutere, o meglio tentare di farlo, i fondamenti stessi dell’idea di moda e di fast fashion, le notizie che giungono dalla Cina allarmano non poco.
Non che nel paese non vi sia coscienza della questione, non più tardi dell’anno scorso Jack Ma, nel ringraziare gli addetti alle consegne per l’incredibile sforzo profuso durante i giorni del Single Day, ammetteva l’esistenza della questione dell’impatto ambientale, chiamando all’azione il settore della logistica nel supportare una svolta verde. Ma non è solo il comparto della logistica cinese, vera e propria forza dietro la potenza dell’e-commerce nel paese a dover correre ai ripari.
In occidente si parla da tempo e si fa ricerca e innovazione su soluzioni di packaging sostenibile e circolare secondo la regola delle 3R, riduco, riuso, riciclo. Ci hanno provato anche alcuni retailer come Suning, che ha introdotto degli imballaggi riutilizzabili ma che non sembrano avere particolare successo. E lo stesso Cainiao, braccio logistico di Alibaba , ha da quest’anno predisposto 20 prototipi di magazzini che utilizzano materiale riciclabile e biodegradabile per il packaging. Un mare nell’oceano, costituito da consumatori incalliti e anche abbastanza disinteressati alla fase post acquisto.
Il governo ha creato un organismo per verificare gli impatti della logistica sull’ambiente, ma sembra che ben poco sia stato fatto. D’altra parte la questione non è nuova ed è uno snodo fondamentale non solo per il packaging ma per l’intera programmazione economica del governo che persegue in modo apparentemente inconciliabile il sostegno della crescita dei consumi interni e le politiche di salvaguardia ambientale.
A dare la misura della situazione le affermazioni di Shen Xiaoye, capo del dipartimento di Politica del centro di ricerca del Ministero della protezione ambientale che dice “l’impatto ambientale dei consumi super ora quello della manifattura in Cina” e avverte “non ci sono ancora abbastanza regolamentazioni per il packaging e i consumi”.
Esperta di sostenibilità sociale e ambientale. Si è formata nel mondo della ricerca accademica (prima alla Fondazione Eni e in seguito all’Università Bocconi) ed é arrivata in Cina nel 2007. Negli anni cinesi ha lavorato come consulente e collaborato con diverse testate italiane online quali AgiChina e China Files per le quali ha tenuto il blog La linea rossa e la rubrica Sustanalytics oltre a curare il volume “Cina e sviluppo sostenibile, le sfide sociali e ambientali del XXI secolo, L’Asino d’oro (2015). Dopo una parentesi nel settore privato come Communications & Corporate Affairs Manager in Svizzera, é rientrata in Italia e ora vive a Milano.