Sono almeno 30 milioni gli ettari sparsi tra Asia, Africa e Sud America e ricoperti da foreste di bambù. La Cina è per tradizione il primo produttore al mondo e ne ospita più di 500 specie diverse, concentrate nelle province meridionali. L’iconografia classica ha nel bambù un simbolo nazionale e il Panda deve il passaporto cinese all’abbondanza di quello che è il suo principale alimento.
Da sempre materiale versatile, sarebbero oggi 10,000 le modalità di utilizzo documentate del bambù, dall’alimentazione al tessile, passando per l’edilizia e l’industria pesante. Insomma un sempreverde, buono per tutti gli usi. Ma il bambù ha qualcosa di unico che lo distingue dalle altre specie vegetali: è incredibilmente resistente, cresce con poche cure e a grande velocità e ha effetti positivi su clima e biodiversità.
Più resistente dell’acciaio, e più leggero del cemento armato, flessibile, adattabile, alcune specie di bambù crescono anche di 90 cm al giorno. Questo significa che nel giro di 3-6 anni, il coltivatore di bambù riesce a monetizzare il proprio primo investimento senza grossi pensieri giacché la pianta non ha particolari esigenze e non necessità di concimi o fertilizzanti chimici. La velocità di crescita mette anche al sicuro dai frequenti disastri causati dai cambiamenti climatici, permettendo agli agricoltori una certa flessibilità e adattabilità alle mutate condizioni.
Che tutte le varietà arboree assorbano anidride carbonica è risaputo, il bambù si distingue però anche in questo. La rapidità con cui cresce e la varietà di usi, ne moltiplica di fatto le potenzialità di assorbimento. Ricerche realizzate su un arco di 30 anni hanno rivelato che un ettaro di foresta di bambù e di prodotti derivati, hanno la capacità di sequestrare 600 tonnellate di carbonio. Le foreste di bambù preservano i terreni dai rischi idrogeologici, grazie alla radice che è in grado di compattare il terreno preservandolo. A questo si somma la capacità del bambù di proteggere la biodiversità, restaurando le terre degradate.
In Cina al di là dell’edilizia, l’utilizzo della pianta si è diffuso al settore delle infrastrutture nel suo complesso. La sua flessibilità ne ha fatto il materiale ideale e per la ricostruzione nelle zone colpite dal terremoto del Sichuan. Seppur già fiorente negli ultimi anni, la Cina ha registrato una crescita del 50% del mercato del bambù, il cui valore complessivo si aggira oggi intorno ai $30 miliardi di dollari con più di 7,5 milioni di addetti sparsi sul territorio.
Oltre ai requisiti tecnici, il bambù ha anche quelli politici per ben rappresentare la svolta verde propagandata da Pechino. Ha infatti tutti i caratteri che compongono la visione cinese di “civilizzazione ecologica”, il concetto locale di sostenibilità. E’ un prodotto in cui la Cina é leader nel mondo, ha chiari vantaggi ambientali e sociali nella misura in rende indipendenti le comunità coinvolte nella sua coltivazione. E non dimentichiamo la forte valenza culturale che lo identifica con i valori e la tradizione cinese.
Un’ottima carta diplomatica, quindi che pone la Cina nella posizione di poter consigliare e avviare altri paesi all’economia del bambù, con scopi spesso strumentali. Questo è quanto di fatti è avvenuto in occasione del Forum sulla cooperazione Cina-Africa dello scorso settembre, in cui il bambù é stato proposto come incentivo economico alla partecipazione alla Nuova Via della Seta ai paesi africani. Infrastrutture ecologiche fatte di bambù, che certo non risolvono gli impatti ambientali che un progetto così mastodontico porta con sé, ma che per Pechino rappresentano comunque un ottimo biglietto da visita e una carta da storytelling nazionale da giocarsi con abilità.
“Il ruolo del bambù nel mercato delle emissioni va definitivamente riconosciuto“ ha affermato il capo negoziatore della rappresentanza cinese sul clima Xie Zhenhua, al Summit di Katowice, ventilando anche la possibilità che il bambù entri a far parte del nuovo sistema di scambio delle quote di emissione cinese. Più bambù, meno emissioni e viceversa, dunque.
A promuovere la causa del bambù al summit sul clima anche l’International Bamboo and Rattan Organisation (INBAR), organizzazione multilaterale costituita da 44 stati membri produttori con sede proprio in Cina. In un incontro dal titolo “Bambù, la soluzione dimenticata ai problemi climatici” ha ricordato che “questa pianta rappresenta una valida alternativa a materiali dal forte impatto ambientale come legname, alluminio, cemento e plastica”.
Esperta di sostenibilità sociale e ambientale. Si è formata nel mondo della ricerca accademica (prima alla Fondazione Eni e in seguito all’Università Bocconi) ed é arrivata in Cina nel 2007. Negli anni cinesi ha lavorato come consulente e collaborato con diverse testate italiane online quali AgiChina e China Files per le quali ha tenuto il blog La linea rossa e la rubrica Sustanalytics oltre a curare il volume “Cina e sviluppo sostenibile, le sfide sociali e ambientali del XXI secolo, L’Asino d’oro (2015). Dopo una parentesi nel settore privato come Communications & Corporate Affairs Manager in Svizzera, é rientrata in Italia e ora vive a Milano.