Pechino lancia nuovi target per sostenere l’industria energetica, partendo dalle basi: la tecnologia. Una transizione verde che, soprattutto per la Repubblica popolare, è un tentativo per conciliare crescita e sviluppo. La nuova puntata con la rubrica dedicata ad ambiente, energia e cambiamenti climatici in Asia
Arricchirsi è glorioso. Ma senza investimenti non c’è ricchezza. O almeno è quello che cerca di fare Pechino con la sua industria energetica, la più ampia al mondo in termini di capitali impiegati e misure dedicate per favorirne il mercato interno e l’esportazione delle sue tecnologie. Lunedì 4 settembre il ministero dell’Industria e dell’Information technology cinese ha rilasciato un nuovo target per sostenere i produttori di apparecchiature destinate alla produzione e alla distribuzione dell’energia elettrica. Almeno il 9% di crescita annua sul reddito delle imprese coinvolte.
Il dato, indicato nel nuovo “Piano di lavoro per una crescita costante del settore delle apparecchiature elettriche 2023-2024”, arriva insieme a una serie di misure che le municipalità e i governi locali sono invitati a implementare per favorire (o, meglio, mantenere) la parabola ascendente del mercato energetico cinese. La domanda, sottolinea infatti il documento, è destinata a rimanere forte ma nel breve termine “la crescita dei ricavi del settore nella seconda metà dell’anno è destinata a diminuire”. All’incertezza della domanda interna si aggiunge la competizione con l’estero. Nonostante la presenza massiccia delle aziende cinesi sui mercati dei pannelli solari e delle pale eoliche, afferma il ministero, “il controllo dei componenti chiave da parte di altri paesi” ne sta effettivamente limitando lo slancio.
Le manovre statunitensi per limitare l’accesso alle apparecchiature per la produzione di microchip avanzati, per esempio. Un “bullismo tecnologico” a cui Pechino ha risposto stringendo sui permessi dei suoi esportatori di metalli chiave come il gallio e il germanio. Dall’altro lato dello spettro geopolitico, il Sud globale che dovrà diventare sempre di più il mercato di riferimento per le tecnologie energetiche cinesi. Partendo dalle basi, come nel caso della recente donazione di apparecchiature elettriche (batterie di accumulo, generatori, pannelli solari off-grid etc.) al Sudafrica in occasione del summit Brics dello scorso agosto.
Ingegneria nazionale
Pechino ha da tempo investito risorse finanziarie e capitale umano nello sviluppo del suo settore dell’energia elettrica. In quella che è – anche, ma non solo – una fuga dall’annosa dipendenza dal carbone che ne domina il mix energetico. E che continua a rimanere tale. Solo nel mese di giugno 2023 la Cina ha occupato con il carbone il 14% del mix energetico in più rispetto allo stesso mese nel 2022. Dati ed evidenze che tornano ciclicamente a tormentare le municipalità cinesi con meno alternative per la produzione di elettricità, come accaduto durante la grave crisi energetica dell’autunno 2021. E che nel 2023 hanno segnato un record per quanto riguarda le emissioni pro capite connesse alle centrali a carbone. Ora la Cina, che per anni ha giustificato la mole impressionante delle sue emissioni climalteranti (superiore alla somma di quelle prodotte da tutti i paesi sviluppati) facendo leva sulla ridotta carbon footprint dei suoi singoli cittadini. Che ora, però, sono terzi al mondo per emissioni derivanti dal carbone dopo Australia e Corea del Sud.
Il target e gli obiettivi lanciati dal governo centrale si aggiungono anche a una serie di misure necessarie ad incentivare quello che, per il momento, rappresenta un valido driver della crescita economica. Anche – e soprattutto – su base locale. Già in affanno prima della pandemia, le finanze delle amministrazioni territoriali hanno raggiunto un debito di oltre 9 mila miliardi di dollari che fatica a essere onorato presso i prestatori. A ciò si aggiunge la crisi del settore immobiliare. Un settore che non solo rappresentava una delle principali fonti di liquidità dei governi locali, ma di cui l’intero ciclo produttivo è arrivato a contribuire al 30% del Pil. La speranza è quella che la crescente domanda di tecnologie per la transizione energetica nazionale e internazionale possa ridare slancio all’economia cinese su tutti i fronti.
Sviluppo di qualità o speculazione?
Il settore energetico cinese e l’ambizione del raggiungimento delle emissioni nette entro il 2060 non sono un pranzo di gala. Sulla carta la Repubblica popolare continua a collezionare una serie di successi per quanto riguarda la regolamentazione e gli incentivi dedicati alle energie pulite (che per Zhongnanhai comprendono anche il nucleare). In pratica, la strada verso una rete elettrica veramente stabile e diffusa è ancora lunga. Ciò non ha impedito a Pechino di raggiungere cifre record in tempi record: negli ultimi 19 mesi la Cina ha installato una capacità di produzione di energia elettrica da pannelli solari di 184,6 gigawatt, più di quella mai implementata dagli Stati Uniti nel corso della loro intera storia (149 gw) e poco meno di quella esistente oggi in Unione Europea (208,9 gw).
La chiave di lettura, si capisce, continua a rimanere quella degli investimenti nel comparto hardware della transizione energetica. Tra gli obiettivi da raggiungere? La capacità totale installata di energia eolica e solare dovrà superare i 1200 gigawatt entro il 2030, una cifra che supera i target precedenti. La scommessa di Pechino è già oggi qualcosa che sta impattando in modo importante i mercati. Non solo quello interno, dove la questione rimane un tema centrale dell’ultimo piano quinquennale, che sta portando a una riforma significativa del mercato energetico. Anche all’estero l’accumulo di capitali e tecnologie delle aziende energetiche cinesi sta portando a una sovrapproduzione di elettricità che deve essere ancora gestita e distribuita in maniera più efficiente, nonché capace di sostenere condizioni climatiche sempre più imprevedibili. I grandi parchi solari cinesi, al contrario delle ghost town, non sono ancora delle cattedrali nel deserto. Ma lo sviluppo di una rete elettrica pulita è un’impresa di ingegneria nazionale che tocca tutti i piani: economia, industria, crisi climatica.
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.