Era un Elon Musk inusitatamente emozionato quello che ha presieduto alla posa della prima pietra della Gigafactory 3 – il primo stabilimento produttivo di Tesla in Cina – lo scorso 7 gennaio.
Un investimento dal costo stimato di 2 miliardi di dollari che Tesla ha raccolto da banche e investitori locali per il suo primo impianto fuori dai confini americani nel cuore di un mercato che solo l’anno scorso ha contato per oltre la metà del milione di veicoli venduti globalmente.
Nel parterre des rois che ha partecipato alla cerimonia, tra funzionari e burocrati di partito, spiccava il sindaco di Shanghai Ying Yong, la cui municipalità, desiderosa di attirare nuovi investimenti e know how, è stata decisiva nel supportare il progetto con tempistiche da record.
Benché si discutesse da qualche tempo, la fase finale ha subito un’accelerazione: a luglio la firma dell’accordo ed ad ottobre l’annuncio dell’acquisizione dei terreni da parte della società americana.
Se la Gigafactory 3 al momento si presenta ancora come una landa desolata nel bel mezzo del parco industriale di Lingang a Pudong, i lavori per quello che il CEO di Tesla ha descritto come “l’impianto più avanzato al mondo” inizieranno prima dell’estate, per concludersi entro la fine dell’anno, quando la fabbrica sarà definitivamente operativa.
Come ha twittato da Shanghai lo stesso Musk, la Gigafactory 3 una volta a rigore, produrrà 500,000 veicoli per il mercato cinese tra i modelli più accessibili per il mercato di massa. Si inizierà con il Modello 3, per poi aggiungere anche la produzione della berlina modello Y.
I veicoli di gamma superiore, come i modelli S, continueranno ad esser prodotti negli Stati Uniti ed importati in Cina, gravati dai dazi di importazione, risultato dell’inasprirsi della guerra commerciale tra i due giganti che solo nell’ultimo anno ha obbligato il car maker a un abbassamento dei prezzi dei veicoli in dell’ 8%.
Come conferma Bloomberg nel suo Electric vehicle outlook per il 2018, la Cina è ad oggi il più grande mercato di veicoli elettrici al mondo, acquistando il 35% dei veicoli prodotti su scala globale. Nel solo 2018 (dati fino ad agosto) ne sono stati venduti 4 milioni.
I piani di Pechino per il futuro sono chiari. Obiettivo, entro il 2025 il 20% dei veicoli circolanti sulle strade cinesi, dovrà essere elettrico. Si sta parlando di circa 7 milioni di macchine.
Per far questo il governo ha concesso incentivi per produttori locali e stranieri e imposto regole rigide. Dal 2018, ad esempio, tutti gli operatori stranieri e cinesi che producono o importano più di 30,000 veicoli l’anno, sono tenuti a dedicare una parte della propria produzione o importazione a veicoli elettrici o ibridi.
In un sistema simile al ‘cap-and-trade’, quello utilizzato per negoziare le emissioni di gas climalteranti, i player che non riusciranno a mettersi in regola e a raggiungere i target voluti da Pechino, potranno comprare inizialmente crediti dai propri competitor per poi adeguarsi al trend stabilito.
Sul lato consumatori, benché i veicoli elettrici ed ibridi continuino a costare più di quelli tradizionali e gli incentivi concessi dal governo verranno sospesi nel 2021, rimarranno comunque in vigore le agevolazioni delle varie municipalità che prevedono la messa su strada gratis per i veicoli elettrici contro costose tasse da pagare per quelli a combustibili fossili.
Se Tesla, producendo direttamente nel cuore del più grande mercato di auto elettriche al mondo, non dovrà pensare al 40% delle tariffe imposte da Pechino all’importazione di macchine dagli Usa, altre saranno le problematiche che l’azienda americana si troverà a fronteggiare una volta che sarà definitivamente produttiva in Cina.
Va detto che quella di Tesla è una situazione unica, nel panorama degli investimenti stranieri in Cina, almeno nel settore automotive.
Si tratta infatti della prima azienda dell’automotive a capitale totalmente straniero a poter produrre sul suolo cinese, senza il bisogno di un partner locale, così come stabilito dalla legge fin dal 1994.
Il risultato è il frutto di una serrata negoziazione ai più alti livelli politici e dell’annunciato rilassarsi delle regole sugli investimenti esteri che Pechino promette di avviare e che parte proprio dai produttori di veicoli elettrici, promettendo di allargarsi in futuro.
Operare nel contesto cinese in senza appoggi locali non è facile. Permette certo di controllare e proteggere la propria tecnologia ma può creare rallentamenti e difficoltà nello stabilire canali di vendita e attirare personale.
In più Tesla in Cina si troverà a competere, oltre che con competitor internazionali come Byton (di BMW) che sta finalizzando uno stabilimento per la produzione di 300,000 veicoli l’anno a Nanjing o Audi, Mercedes, Ford e Volkswagen tutte con Joint Venture ben rodate nel paese e nuovi modelli in uscita, anche con i player locali.
BYD, produttore basato a Shenzhen e finanziato dal miliardario Warren Buffett, è il primo rivenditore di veicoli elettrici in Cina con 113,600 vetture vendute l’anno passato. O ancora Nio che produce Suv e altre macchine da corsa e che segue una strategia commerciale a tappeto, aprendo show room in tutto il paese o ancora la start up Xpeng, che sebbene non abbia ancora prodotto alcun veicolo, ha raccolto importanti capitali e per alcuni promette di diventare la Tesla Cinese.
Esperta di sostenibilità sociale e ambientale. Si è formata nel mondo della ricerca accademica (prima alla Fondazione Eni e in seguito all’Università Bocconi) ed é arrivata in Cina nel 2007. Negli anni cinesi ha lavorato come consulente e collaborato con diverse testate italiane online quali AgiChina e China Files per le quali ha tenuto il blog La linea rossa e la rubrica Sustanalytics oltre a curare il volume “Cina e sviluppo sostenibile, le sfide sociali e ambientali del XXI secolo, L’Asino d’oro (2015). Dopo una parentesi nel settore privato come Communications & Corporate Affairs Manager in Svizzera, é rientrata in Italia e ora vive a Milano.