Ma allora cosa si nasconde sotto la fumosa idea di Civilizzazione Ecologica? Quale la traduzione pratica dei suoi principi nella pianificazione urbana cinese, culla dello sviluppo presente e futuro del paese? Lo abbiamo chiesto a chi di urbanizzazione e sviluppo in Cina si occupa da tempo. Daniele Brombal, ricercatore del Dipartimento di Studi sull’Asia e l’Africa Mediterranea all’Università Ca’ Foscari di Venezia, esperto di dinamiche dei rapporti tra Stato e società in Cina, con particolare attenzione all’ambito ambientale.
Insieme un’altra giovane sinologa, Costanza Termine, ha appena pubblicato un articolo uscito sulla prestigiosa rivista Monde Chinois, che a questo tema tra slogan e realtà, dedica il suo ultimo numero.
Cosa si intende per Civilizzazione Ecologica nel contesto cinese?
“Nel corso del tempo questo concetto ha finito per coprire l’insieme e la complessità degli aspetti ascrivibili al concetto di sostenibilità come concepito in occidente ma con l’aggiunta della sfera culturale, richiamando-almeno nella forma-la tradizione cinese. L’idea di Civilizzazione Ecologica fornisce una visione di futuro, nello stesso modo in cui si parlava di civilizzazione materiale nel passato”.
Perché un legame così forte con lo sviluppo urbano ?
“Diciamo che l’urbanizzazione fornisce una visione di futuro e il futuro è l’urbanizzazione in Cina perché è proprio nelle aree urbane che si concentra lo sviluppo economico e l’innovazione del paese. Ciò è vero anche per molti paesi occidentali, ma quella cinese è una visione più estrema, dove prevale infatti un paradigma efficientista. L’idea parte dall’assunto che le risorse naturali vadano sempre sfruttate dal punto di vista economico grazie a una continua e pervasiva presenza antropica. Le città sono il punto focale di questa visione. “
Quale è stato l’obiettivo di questa ricerca?
A Venezia lavoriamo da anni sul tema dell’urbanizzazione in Cina, con l’intento di sviluppare sistemi di valutazione della sostenibilità dello sviluppo urbano con applicazioni pratiche, come nel caso degli studi che abbiamo realizzato nella città di Wuxi e sul nuovo aeroporto di Pechino. In molti dei nostri studi preliminari ci trovavamo davanti criteri, metriche e parametri che richiamavano il concetto di Civilizzazione Ecologica. ma in modo molto nebuloso. Ci è quindi sembrato necessario fermarci e approfondirlo. Quello che volevamo capire era cosa ci fosse sotto l’idea di Civilizzazione ecologica’ e come si traducesse in un cambiamento delle norme e delle pratiche, con particolare riferimento al processo di urbanizzazione.
Come avete proceduto quindi?
“Abbiamo fatto una review sistematica dei sistemi di valutazione del progresso in contesti urbani esistenti in Cina, usando la banca dati della CNKI (China National Knowledge Infrastructure) la più grande banca dati di articoli scientifici in lingua cinese . Ci siamo concentrati sul periodo dal 2008 al 2015 e abbiamo isolato i paper che hanno avuto la maggior circolazione online. Abbiamo quindi estrapolato da questi articoli che citavano i sistemi di valutazione tutti gli indicatori citati per un totale di 24 sistemi di valutazione e 727 indicatori.
Quali i risultati più interessanti della vostra analisi?
“Quello che è venuto fuori è che esiste una forte continuità con il passato anche in sistemi di indicatori ispirati alla Civilizzazione Ecologica. Si è potuto registrare anche un processo di crescente allargamento del concetto di sostenibilità che è andata nel tempo a includere, oltre a criteri di natura ambientale che sono la maggior parte, anche indicatori di natura economica, sociale e culturale”.
In che modo la dimensione ambientale si lega a quella sociale e culturale nel concetto di civilizzazione ecologica?
“Per il sociale avanzano quei criteri che riguardano dimensioni quali l’educazione e la salute e quanto al culturale si registra l’attenzione per la presenza nelle comunità locali di una sensibilità ambientale, che viene registrata spesso censendo le attività atte a creare consapevolezza su questi temi. Si è anche registrata la presenza di metriche per misurare la partecipazione pubblica e il coinvolgimento pubblico, oltre alle percezioni dei cittadini. Ciò è la norma in in occidente ma che rappresentano una novità nella pianificazione urbana in Cina”.
Sembra una buona notizia! Quindi esiste una maggiore partecipazione delle comunità alla pianificazione urbanistica, come sta diventando la norma anche in occidente?
“La questione è che l’integrazione della cultura nella convivenza tra persone nelle citta in occidente è da tempo frutto di un processo bottom up, mentre in Cina rimane ancora in maniera molto rigida un processo imposto dall’alto, tanto che abbiamo trovato il concetto di propaganda che viene riportato tra i criteri con cui si giudica la capacita delle città di allinearsi sulle norme di Civilizzazione Ecologica. Esiste in Cina un’idea molto forte di educazione, ma non di co-creazione degli spazi urbani. Strumenti di coinvolgimento e partecipazione pubblica nel delineare spazi urbani stentano a imporsi e quando lo fanno hanno esiti fallimentari, spesso non sortiscono alcun tipo di risultato, non coinvolgono le parti più vulnerabili delle comunità o nel peggiore dei casi finiscono in maniera disastrosa, con violenze e trasferimento forzoso di intere comunità,. come è successo anche di recente a Pechino”.
Esperta di sostenibilità sociale e ambientale. Si è formata nel mondo della ricerca accademica (prima alla Fondazione Eni e in seguito all’Università Bocconi) ed é arrivata in Cina nel 2007. Negli anni cinesi ha lavorato come consulente e collaborato con diverse testate italiane online quali AgiChina e China Files per le quali ha tenuto il blog La linea rossa e la rubrica Sustanalytics oltre a curare il volume “Cina e sviluppo sostenibile, le sfide sociali e ambientali del XXI secolo, L’Asino d’oro (2015). Dopo una parentesi nel settore privato come Communications & Corporate Affairs Manager in Svizzera, é rientrata in Italia e ora vive a Milano.