Il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha spinto perchè si avviasse una riflessione a livello globale sull’utilità dei big data. Un esempio? Attraverso la app “Baidu Recyle”, per ora attiva solo a Pechino e Tianjin, si può conoscere i tempo reale la quotazione sul mercato del riciclo del proprio scarto elettronico e mettersi in contatto con il più vicino riciclatore, grazie all’assistenza di TCL.
L’orologio del millennio scandisce le ore che separano dai nuovi Obiettivi di sviluppo che il mondo si ripromette di perseguire. Le agende delle diplomazie mondiali sono impegnate a elaborare quella che dovrà essere la continuazione dell’agenda di sviluppo rappresentata dai Millenium Developemnt Goals, ed elaborata nel 2000 al Millenium Summit. Ne usciranno il prossimo settembre, quelli che sono stati ribattezzati come i Sustainable Development Goals (SDGs), che rappresenteranno la cornice entro la quale incanalare l’agenda dello sviluppo dopo il 2015.
Ma dietro quello che sembra all’apparenza un semplice cambio di nome si nasconde una riflessione più profonda che tocca anche i technoscapes, come li ha definiti l’antropologo Appadurai, i nuovi panorami conoscitivi aperti dalle nuove tecnologie, e una delle componenti fondamentali della contemporaneità.
Un esempio: i big data, l’immensità di dati (strutturati e non strutturati) che vengono immessi ogni giorno in rete dalle interazioni degli utenti di social networks, gps, cellulari, dispositivi medici e ogni altro tipo di device. Le 4 V distinguono questi dati da quelli ordinari, rendendoli “Big”: velocità nella trasmissione, volume di notizie che contengono, varietà della loro provenienza e valore che sta proprio nell’essere prodotti dagli user riflettendone di fatto le esigenze. E in questo sta la sfida posta dai big data che si sostanzia nel riuscire a raccoglierli, memorizzarli, visualizzarli e analizzarli.
Per fare questo servono algoritmi efficienti e in tempi ragionevoli perchè questo tsunami informativo venga incanalato, producendo informazioni utili per una serie di fini. Tra questi è sempre più evidente la possibilità, attraverso i big data, di agevolare e supportare pratiche economiche più sostenibili o di cooperazione e sviluppo, specie in ambiti emergenti.
A cementare i big data alla nuova agenda dello sviluppo post 2015, ci ha pensato il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki Moon, che ha spinto perchè si avviasse una riflessione a livello globale sull’utilità dei big data affidandone le redini a un Advisory Group presieduto da Robin Li (fondatore del motore di ricerca Baidu) e da Enrico Giovannini, ex Ministro, poi direttore delle statistiche OCSE prima di passare alla presidenza dell’Istat. Il loro compito, coadiuvato anche dalla creazione di UN Global Pulse, un laboratorio con sedi a New York, Jakarta e Kampala, è quello di creare la struttura che servirà a monitorare, attraverso i big data, i progressi compiuti a livello globale per i nuovi target che usciranno a breve.
In questo risiko di innovazione e visioni a lunga gittata non poteva mancare la Cina che presenta sia le competenze sia le condizioni giuste per sfruttare la rete di big data prodotta dai sui 600 milioni di cibernauti. I fini sono già ben chiari, oltre alle finalità di business per orientare il mercato seguendo i gusti dei nuovi consumatori cinesi, Pechino potrebbe sfruttare, e in parte lo sta già facendo i big data anche a buon fine, per gestire l’imponente processo di urbanizzazione che il paese sta conoscendo e che entro il 20135 promette di portare almeno il 70% della popolazione cinese a vivere in zone urbane, nel mettere in pratica strategie di adattamento ai cambiamenti climatici, e nel gestire processi di evoluzione verso la green economy, e persino nel gestore emergenze quali terremoti e inondazioni.
Un primo passo è già stato fatto, l’agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) ha avviato una collaborazione proprio con Baidu che ha portato alla creazione del Big data Joint Laboratory focalizzato per il momento su questoni di salute pubblica ed ambiente ma che promette di allargare il proprio spettro in futuro. Primo prodotto di questa joint venture, un’applicazione per agevolare il riciclo di materiale elettronico, di cui la Cina è processore a livello mondiale con forti conseguenze ambientali. Attraverso l’app “Baidu Recyle”, per ora attiva solo a Pechino e Tianjin, si può conoscere i tempo reale la quotazione sul mercato del riciclo del proprio scarto elettronico e mettersi in contatto con il più vicino riciclatore, grazie all’assistenza di TCL.
Certo lo scenario dei big data cinesi presenta aspetti problematici (rischi di monopolio sulle informazione, gestione della privacy) e che in Cina hanno specificità uniche rispetto al resto del mondo. Prima di tutto è tendenzialmente chiuso laddove la Great FireWall, la muraglia cibernetica voluta da Pechino, riesce, almeno in parte, ancora a contenere le barriere che isolano la rete e il flusso di dati dalla Cina. In più l’utilizzo dei big data ha negli organi di gestione delle Statistiche, un partner naturale e strategico. Da questo punto di vista la Cina presenta una gestione, in mano al National Bureau of Statistics, “con caratteristiche cinesi”, spesso lacunosa e lascia poco spazio alla comparazione.
Mentre le stime per la crescita del mercato dei big data parlano di un salto dagli attuali 2.3 miliardi di dollari a 8.7 miliardi previsti per il 2016, serve manodopera capace e a questo ci ha pensato IBM che lo scorso luglio ha firmato un memorandum of understanding con il Ministero dell’istruzione cinese, che prevede un fondo del valore di 100 milioni di dollari per fornire software ed expertise a 100 università cinesi per creare la prossima generazione di esperti di Big data.
Le grandi aziende di Media e Internet cinesi non stanno certo a guardare e quella volpe di Jack Ma, CEO di Alibaba, cha creato una divisione destinata a mettere in piedi una struttura per analizzare i dati elaborati ogni giorno dagli utenti delle piattaforme di business-to-business e di e-commerce come Taobao.com. Le finalità in questo caso non paiono comprendere lo sviluppo sostenibile, se non quello degli affari delle corporation cinesi.
*Nicoletta Ferro si è occupata delle dinamiche politiche e aziendali legate alla sostenibilità, prima come senior researcher presso la Fondazione Eni Enrico Mattei a Milano, in seguito per 7 anni da Shanghai. Oggi è ricercatrice presso il CRIOS (Center for Research in Innovation, Organization and Strategy) dell’Università Bocconi e responsabile dello sviluppo asiatico di GOLDEN (Global Organizational Learning and Development Network) for sustainability, un network di ricerca globale sui temi della sostenibilità.
Esperta di sostenibilità sociale e ambientale. Si è formata nel mondo della ricerca accademica (prima alla Fondazione Eni e in seguito all’Università Bocconi) ed é arrivata in Cina nel 2007. Negli anni cinesi ha lavorato come consulente e collaborato con diverse testate italiane online quali AgiChina e China Files per le quali ha tenuto il blog La linea rossa e la rubrica Sustanalytics oltre a curare il volume “Cina e sviluppo sostenibile, le sfide sociali e ambientali del XXI secolo, L’Asino d’oro (2015). Dopo una parentesi nel settore privato come Communications & Corporate Affairs Manager in Svizzera, é rientrata in Italia e ora vive a Milano.