Prima è arrivata la siccità: la peggiore degli ultimi 56 anni, alleviata dalle torrenziali piogge degli ultimi giorni. Poi sono iniziati i blackout: due in meno di una settimana. Infine, quella che sembrava una prima avvisaglia di casi Covid ha ribaltato in una decina di giorni qualsiasi previsione sull’immunità dell’isola dalla nuova ondata che sta colpendo diversi paesi nella regione.
Quello che succede a Taiwan non è un’esclusiva, piuttosto una combinazione di sfortune che hanno molto a che vedere con questa nuova fase dell’Antropocene (la cosiddetta nuova era dei cambiamenti terrestri influenzati dall’azione umana) in Asia: qualcosa che assomiglia a un microcosmo di uno dei tanti futuri possibili a causa dei cambiamenti climatici.
Il 2020 è stato un anno drammatico per il clima dell’isola, abituata a estati afose e piovose alternate da inverni miti. Negli ultimi sette mesi le precipitazioni sono state sotto la metà della media stagionale, e di fatto nessun tifone si è abbattuto sull’isola. Secondo la Taiwan adaptation platform, ente istituto dal governo per lo studio e la mitigazione dei cambiamenti climatici, le estati si sono allungate di 29,7 giorni ma le precipitazioni sono sempre più scarse, sostituite da sporadici eventi estremi.
Sono diventate virali le immagini del lago Sun Moon, dove le acque si stanno ritirando a tal punto da permettere alle persone di camminare su una superficie coperta, di solito, da almeno due litri d’acqua. Non è solo il turismo a risentirne: la siccità di questo ultimo mese sta colpendo tutti i settori dell’economia, dai coltivatori di riso ai produttori di chip. Il governo ha imposto il razionamento dell’acqua per due giorni alla settimana in alcune aree a rischio, e a risentirne sono proprio i grandi campioni dell’industria dei semiconduttori taiwanesi.
Nell’area di Hsinchu il consumo di acqua dovrà scendere almeno del 17% rispetto alla norma, una scelta che andrà a colpire il cuore dell’industria dei chip: la Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. (TSMC), azienda che detiene il 50% della quota di mercato globale ed è l’unica, oltre alla sudcoreana Samsung, in grado di produrre i più avanzati chip da 5 nanometri che sono alla base della rivoluzione high tech di oggi. E per produrli serve molta acqua, e serve purissima: la produzione di un circuito integrato su un wafer di 300 mm richiede circa 8327 litri di acqua, di cui ¾ sono di Ultrapure Water (o UPW, cioè di acqua purificata secondo specifiche molto rigorose). Per correre ai ripari, il ministero dell’economia ha sbloccato 88 milioni di dollari USA lo scorso marzo per la ricerca di nuove falde e la costruzione di impianti di desalinizzazione. Nel frattempo, sono state mobilitate le forze aeree per procedere con il cloud seeding (anche conosciuta come “inseminazione delle nuvole”), una tecnica che attraverso l’uso di agenti chimici favorisce le precipitazioni.
È proprio il rapido avanzamento dell’economia taiwanese a essere diventato un altro fattore che desta preoccupazione. Gli incidenti alla rete elettrica nazionale non sono mai stati così al centro del dibattito pubblico come dopo il blackout dello scorso 13 maggio, quando a 30 minuti dal messaggio di allarme lanciato dal governo oltre 4 milioni di famiglie si sono di colpo ritrovate senza corrente elettrica. Secondo quanto dichiarato dall’operatore elettrico statale Taipower il guasto è avvenuto a causa di un “errore umano” nella centrale elettrica di Hsinta a Kaohsiung, nel sud del paese. Per poi aggiungere che per la centrale, alimentata a carbone, non era prevista una domanda di energia così alta da provocare un malfunzionamento.
La domanda sarebbe impennata soprattutto a fronte dell’improvvisa ondata di calore che è anche uno dei fattori che sta prolungando la siccità. La presidente Tsai Ing-wen ha presto ribadito che verranno prese le misure necessarie per verificare le lacune nell’infrastruttura energetica nazionale, ora più che mai sotto i riflettori. Lo slancio economico del primo semestre del 2021 viene inserito tra le concause del fenomeno perché la risposta maggiore è arrivata dall’industria e, in generale, dalle attività economiche più energivore del paese. Con Taipei impegnata ad abbandonare in via definitiva l’energia nucleare in cambio delle rinnovabili (solo il 5,4% delle fonti energetiche totali), la sfida per una rete elettrica efficiente potrebbe diventare sempre più ardua – soprattutto se le “nuove” lunghe estati porteranno consumi energetici domestici e industriali più alti rispetto allo scorso decennio. Ma nuove infrastrutture richiederanno una visione a lungo termine, e lavori che potrebbero iniziare anche dopo dieci, venti anni dalla pianificazione.
Terza piaga ad abbattersi nell’arco di un mese è l’ondata di nuovi casi di Covid-19, in un
paese che era diventato d’esempio nella lotta alla pandemia. Taipei ha presto reagito con nuove restrizioni passando al livello di allerta 3. I contagi totali hanno raggiunto quota 3820 dall’inizio del mese di maggio (dati del 25 maggio), dopo 253 giorni che non si registrava nessun caso di infezione locale.
Se i cambiamenti climatici non sono attribuibili a uno stato solo, ma a una tendenza generale trainata dalla modernizzazione, anche la diffusione di nuovi virus rappresenta un effetto collaterale della distruzione degli ecosistemi. Secondo i ricercatori, l’Asia sarà uno dei continenti che più soffriranno l’impatto dei cambiamenti climatici nei prossimi 30 anni. Tra i fattori principali, lo scioglimento dei ghiacciai himalayani e l’innalzamento dei mari provocheranno seri danni alla sicurezza alimentare e, a cascata, alla stabilità sociale, economica e politica di questi paesi.
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.