Exxon Mobil aveva previsto i cambiamenti climatici, ma anche grandi opportunità in Asia Pacifico. E poi l’ondata di freddo in Bangladesh e tanto altro. La nuova puntata con la rubrica dedicata ad ambiente, energia e cambiamenti climatici in Asia
Il 13 gennaio un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Science ha rivelato come il gigante petrolifero Exxon Mobil avesse condotto alcuni studi estremamente accurati sull’innalzamento delle temperature globali causato dalla combustione delle fonti fossili. Non è la prima volta che accade: negli ultimi anni sono emersi diversi studi redatti dalle big oil sull’impatto ambientale del proprio core business. L’articolo, oltre a confermare la consapevolezza dei vertici aziendali delle conseguenze del proprio operato sul medio-lungo termine, emerge per l’esattezza delle proiezioni ipotizzate dai tecnici di Exxon alla fine degli anni Settanta rispetto alle temperature registrate fino a oggi. Nel frattempo, l’ufficio per le pubbliche relazioni ha lavorato a lungo per portare avanti la narrazione contro l’abbandono delle fossili e per mettere in dubbio la validità degli studi sui cambiamenti climatici.
In Asia la compagnia statunitense ha altrettanti scheletri nell’armadio quanti programmi di sviluppo socioeconomico. La homepage dell’azienda dedicata ai grandi progetti internazionali evidenzia soprattutto le attività in Indonesia e in Papua Nuova Guinea. In questi paesi la Exxon opera come uno “dei partner fidati del governo” con investimenti che hanno prodotto un “significativo e diffuso sviluppo economico”. Nel 1999 la big oil ha ottenuto la gestione dei giacimenti di gas di Arun, nella regione indonesiana di Aceh. Il passaggio di consegne era avvenuto con la fusione di Esso e Mobil, che operava in quello che allora fu etichettato come una delle più grandi riserve di gas al mondo (e oggi è nel mirino dei progetti di cattura e stoccaggio della CO2). Per la gestione della sicurezza ad Aceh l’azienda si trascina, da oltre vent’anni, un processo che la vede al centro di gravi violazioni dei diritti umani (qui l’ultimo rigetto della mozione di Exxon per archiviare il caso). Per portare avanti le operazioni, infatti, sarebbero stati assunti dei militari in collaborazione con il governo centrale negli anni di recrudescenza della guerra civile. I giacimenti di gas sono stati gradualmente abbandonati dal 2001, e dallo stesso anno il gigante statunitense si è spostato verso il giacimento petrolifero di Banyu Urip, dove oggi si concentrano alcune delle sue principali operazioni.
In Papua Nuova Guinea l’impronta di Exxon, così come di altre grandi multinazionali, è evidente. Quasi il 40% degli abitanti si trova sotto la soglia di povertà, e solo il 60% ha accesso alla corrente elettrica: è quindi necessario, come prevedono i piani di sviluppo del governo, che entrino in gioco nuovi capitali. Ciononostante, le analisi parlano di buone prospettive energetiche nel settore delle rinnovabili, tra cui abbondante propensione per l’utilizzo di energia solare, idroelettrica e geotermica. Oggi la big oil sta portando avanti un importante progetto per l’estrazione di gas naturale liquefatto – un tipo di operazione che il governo non ha ancora regolamentato accuratamente né reso sufficientemente trasparente. Il progetto è destinato, al momento, per la sola esportazione (soprattutto in Cina, Corea del Sud, Giappone e Taiwan).
Il cambiamento climatico non è solo aumento della temperatura
Nelle prime due settimane di gennaio 2023 il Bangladesh ha registrato un’anomala ondata di freddo. In un paese dove la temperatura media nel mese più freddo dell’anno si aggira intorno ai 23-26°C, i 6,3°C rilevati nel distretto di Chuadanga si avvicinano già alla fascia d’allerta più alta. I dati parlano di oltre un’ottantina di morti legate al freddo, nonché 52 mila casi di malattie respiratorie registrati negli ultimi due mesi.
Non è la prima volta che accade, ma il fenomeno sta diventando sempre più frequente – con tutto quello che comporta per la salute individuale e per le colture. Il Bangladesh è uno dei paesi più colpiti dall’emergenza climatica, che si esprime anche attraverso un progressivo cambiamento delle temperature stagionali. La preoccupazione principale si sente soprattutto nel settore agricolo, dove l’inizio della stagione della semina subirebbe dei danni notevoli per via delle temperature troppo basse per le colture. Coltivazioni che, secondo uno studio del 2004, non vedranno veramente l’impatto dei cambiamenti climatici fino al 2030 a causa del massiccio utilizzo di fertilizzanti, ma la cui produzione inizierà a crollare con perdite fino al 32% nel 2050.
Taiwan, non solo emissioni zero
Il 10 gennaio i legislatori di Taiwan hanno dato ufficialmente il via libera alla Legge per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Approvato nel 2021, il documento è un’evoluzione della Legge sulla riduzione e la gestione dei gas serra del 2015 e fissa alcuni obiettivi importanti per lo sviluppo sostenibile dell’arcipelago. Tra questi: il controllo dei prezzi sul mercato delle emissioni e nuovi incentivi per le aziende che scelgono di passare a tecnologie più pulite. Rimane il traguardo del 2050 come anno per il raggiungimento della neutralità carbonica. Anche a Taiwan questi ragionamenti passano inevitabilmente per il settore energetico, dove invece rimangono grandi interrogativi in materia di sicurezza energetica (abbiamo dedicato un capitolo a questo tema nell’ebook “Taiwan”).
Il “cavo solare” di Singapore ha un problema
Stop (temporaneo?) al progetto che prevedeva di importare a Singapore l’energia elettrica prodotta da pannelli fotovoltaici situati in Australia. Secondo quanto riportato dalla Sun Cable (la società nata per implementare il progetto) non è stato trovato un accordo tra i finanziatori coinvolti. Ora la società potrebbe considerare diverse opzioni, tra cui la vendita dell’intera attività a nuovi interessati.
L’impresa doveva iniziare nel 2024 e portare alla realizzazione di un cavo sottomarino di 4200 km. Un’idea ambiziosa, ma necessaria, per sostenere la domanda energetica della metropoli finanziaria. Soprattutto se paesi come la vicina Malesia non sono propensi a esportare l’elettricità prodotta dalle proprie fonti rinnovabili.
Il sud globale si è riunito per parlare (anche) di clima. Ma erano pochi
Il 12 gennaio si sono incontrati i ministri dell’Ambiente dei paesi del cosiddetto “Sud globale”. L’incontro, previsto in agenda in occasione del summit virtuale Voice Of Global South, ha visto però la sola partecipazione di 14 paesi sui 125 presenti. Nel report prodotto dal ministero degli Esteri indiano (paese ospitante) si parla, molto brevemente, dell’importanza di trovare “un equilibrio tra crescita e sostenibilità” e della necessità di condividere conoscenze e competenze per la tutela della biodiversità. Per quanto riguarda l’incontro tra i ministri dell’Energia, si cita l’imperativo della sicurezza energetica in “un contesto di crescente instabilità”.
Alcuni approfondimenti
The Third Pole ha dedicato un lungo reportage al tema della pesca sul lago di Tonle Sap, in Cambogia. Quest’area rappresenta uno dei cuori pulsanti dell’economia cambogiana e le sue acque sono da sempre un indicatore della salute dell’ambiente naturale e dei suoi abitanti. Ma tra cambiamenti climatici, imponenti opere di contenimento delle acque del Mekong e nuove leggi, per i pescatori locali diventa sempre più difficile sopravvivere.
Sempre per rimanere in Cambogia: alla Friends and Futures Factory di Phnom Penh si sta tenendo la mostra #PrayforPrey dedicata alle foreste pluviali lungo il bacino del Mekong. Qui si possono vedere alcune delle immagini esposte e avere accesso a tanto materiale informativo sulle foreste in pericolo.
Come la “crociera fluviale più lunga al mondo” rischia di danneggiare in via permanente, e con un solo viaggio, l’habitat naturale dei delfini e di altre specie locali.
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.