Le banche dichiarano guerra al carbone? Negli ultimi tre anni si è assistito a una crescita significativa delle direttive orientate alla sostenibilità ambientale, una necessità resa ancora più urgente dalla pandemia e dalla crisi climatica. Le banche giocano un ruolo di primo piano, poiché le dinamiche economiche globali sono fondate sugli investimenti e – di conseguenza – su debiti, “scommesse” sui profitti. Ecco, quindi, l’urgenza da parte di istituzioni internazionali e governi di coinvolgere il settore. In particolare, parliamo delle nuove direttive che cercano di ridurre gli investimenti intorno al mondo delle fonti fossili e delle grandi opere con progetti troppo impattanti.
E in Asia? Il tema diventa più complesso in un continente che sta vivendo anni di grande slancio economico, su cui sono state costruite solide narrazioni di apertura commerciale e agli investimenti. Bilanciare sostenibilità e investimenti strutturali importanti non è facile. Le possibilità che offrono i paesi asiatici di costruire da zero nuove realtà incontrano gli interessi verso settori altamente redditizi, come l’energia e le infrastrutture.
Questo non ha impedito alle organizzazioni del continente di unirsi al coro delle principali iniziative multilaterali – come lo United Nations Environment Programme Finance Initiative – che, attraverso la roadmap dell’agenda 2030 degli obbiettivi di sviluppo sostenibile, propongono le macro-politiche per il futuro. In senso più strettamente economico-finanziario un ruolo importante è giocato dalla Banca Mondiale, che collabora con le controparti regionali per una visione coerente delle pratiche di finanziamento e aiuti nel campo dello sviluppo sostenibile. A rilanciare queste proposte nella regione asiatica sono soprattutto due istituzioni: l’Asian Development Bank (ADB) e la Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), che hanno promesso di investire almeno il 50% dei propri fondi per la mitigazione dell’impatto dei cambiamenti climatici entro il 2025.
La prima è un’organizzazione storica, banca di sviluppo regionale nata nel 1966 sul modello della più nota Banca Mondiale. Ha il compito di analizzare e proporre soluzioni per il processo di sviluppo dei paesi asiatici attraverso consulenze e finanziamenti: prima della sua nascita l’Asia-Pacifico aveva un PIL pro capite inferiore ad Africa e Sudamerica, mentre adesso occupa il 50% del PIL globale. Ora che sta diminuendo l’impatto della crescita dei campioni economici dell’area, anche l’organizzazione cerca di ristrutturarsi sulle nuove sfide ambientali.
E qui entra in gioco la Asian Infrastructure Investment Bank, istituzione nata nel 2014 insieme al lancio del progetto Belt and Road Initiative da parte di Pechino. Grazie ai nuovi capitali investiti dalla Cina attraverso questa organizzazione parallela c’è stato un ritorno agli investimenti su larga scala. Con il crescente posizionamento del Dragone sulle tematiche ambientali si è cercato presto di dare un nuovo orientamento alle iniziative della AIIB, con particolare attenzione al settore energetico. E l’imprinting cinese potrebbe fare la differenza.
Il fattore energetico è imprescindibile dal discorso sui cambiamenti climatici e il degrado ambientale, tant’è che a partire dal 2020 entrambe le istituzioni hanno delineato la propria strategia contro il carbone. Chiuderanno gli investimenti per progetti legati alle fonti fossili, mentre nuovi finanziamenti dovranno stimolare il mercato dell’energia sostenibile. Ma anche altri progetti che oggi vengono inseriti sotto l’etichetta di “transizione energetica”, e che coprono una serie molto ampia di azioni volte a rendere i sistemi energetici efficienti e all’avanguardia.
Nelle policy delineate dalle due banche compare la dichiarazione di rinuncia formale alle fonti fossili e l’ultimo aggiornamento inserito in via ufficiale tra le politiche della ADB risale a maggio di questo anno: è la prima volta dal 2009. Per quanto riguarda la AIIB, lo stop agli investimenti per il carbone risale a settembre 2020, mentre questo aprile è stato lanciato un nuovo framework per la sostenibilità che interessa tutti i finanziamenti elargiti dall’organizzazione.
In entrambi i casi vengono date delle linee guida per indicare in modo chiaro quali saranno i criteri di selezione dei progetti, oltre le dichiarazioni e le semplificazioni rilanciate dai comunicati stampa. Ed ecco quindi che se la ADB esclude il nucleare dall’equazione, il gas verrà finanziato finché saranno in atto progetti per gasdotti e centrali elettriche – soprattutto nei paesi a basso reddito, almeno per i prossimi dieci anni. E le banche cinesi continuano a sostenere aziende che investono in nuovi impianti di produzione elettrica a carbone all’estero: sarebbero almeno 300 i nuovi progetti tra Sudest asiatico e Medio Oriente. Parte dei finanziamenti è inoltre dedicata alle cosiddette tecnologie “Carbon capture and storagev” (Css), ancora oggi non del tutto mature e al centro di un controverso dibattito sui rischi ambientali dello stoccaggio di CO2 sotto terra. Tra le altre soluzioni sul tavolo: il mercato delle emissioni e il l’acquisto di bond “verdi” per aumentare i fondi dedicati alla transizione ecologica.
In Asia il nodo cruciale è riuscire a sostenere l’ambizione verso progetti più o meno etichettabili come “a basso impatto ambientale” e conciliarli con le diseguaglianze economiche e le crisi ambientali. Secondo le indagini del progetto Alliance for Financial Inclusion il continente è una delle zone più attive, almeno per legislazione: dalle macro-politiche suggerite dalle organizzazioni internazionali molti governi hanno avviato delle strategie di sviluppo per la sostenibilità ambientale e sociale, questo con la necessaria collaborazione delle banche centrali. Il suggerimento a chiusura del report è di continuare a collaborare tra enti diversi, invitando banche ed organismi regolatori a lavorare insieme alle agenzie ambientali. Importante anche coinvolgere i privati e stimolare la cooperazione con realtà estere più avanzate su questo fronte.
I grandi fondi di investimento iniziano ad operare sui mercati finanziari dell’Asia, portando con sé le ultime novità in fatto di investimenti responsabili e criteri ESG. Anche in Cina, dove il settore si sta aprendo solo di recente, sono arrivate alcune delle principali società di gestione patrimoniale al mondo come Amundi e Black Rock. Sebbene queste compagnie siano ancora attive in progetti legati alle fonti fossili, da qualche anno hanno allargato la loro offerta di prodotti finanziari “green”. Ma la strada è lunga e, avvertono gli esperti, senza misure concrete l’Asia rischia di perdere oltre il 40% della produzione agricola e almeno il 10% del PIL totale della regione ogni anno.
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.