Nel condannare questo ennesimo massacro di civili, l’Onu chiede «un’indagine approfondita e indipendente» ma soprattutto il «cessate il fuoco». Nel 2022 lo scenario si complica: alla presidenza Asean c’è il cambogiano Hun Sen
Tra gli ultimi gravi crimini commessi dalla giunta militare che ha preso il potere in Myanmar ci sono «almeno 46 vittime civili innocenti», denunciano i parlamentari birmani esautorati dal golpe di febbraio.
Donne, anziani, bambini. L’ultimo massacro è avvenuto nello Stato Kayah (Myanmar orientale, al confine con la Thailandia) nella cosiddetta «strage di Natale» che da sola conterebbe almeno 35 morti, Con foto di veicoli bruciati e resti carbonizzati delle vittime. Civili che la mattina del 24 dicembre cercavano di fuggire su un’autostrada dagli scontri in corso nel villaggio di Moso con i ribelli pro-democrazia delle Forze di autodifesa del Governo clandestino (Nug).
Tra le vittime anche due membri dello staff della ong britannica Save The Children (StC). «Per motivi di sicurezza», nomi e nazionalità degli operatori umanitari non sono stati ancora noti, ma si tratterebbe di un 32enne con un figlio piccolo che si occupava della formazione degli insegnanti e un 28enne (padre di un bimbo di 3 mesi) da 6 anni al lavoro in questo ambito. Stavano rientrando in ufficio dopo aver fornito assistenza a una comunità vicina. Per StC l’esercito birmano ha «costretto le persone a uscire dalle loro auto, ne ha arrestati alcuni e uccisi molti per poi bruciare i loro corpi».
Nel condannare questo ennesimo massacro di civili, l’Onu chiede «un’indagine approfondita e indipendente» ma soprattutto il «cessate il fuoco». Fonti locali parlano del resto di oltre 1.300 persone uccise dalle forze di sicurezza dal golpe di febbraio. Tra fine novembre e inizio dicembre altri civili erano stati dati alle fiamme dall’esercito negli Stati di Chin e Karen e nelle regioni di Sagaing e Magway. Stessa sorte toccata ad altre 11 persone nel villaggio di Done Taw, a Yinmabin Township. Per l’esecutivo di unità nazionale l’elenco dei crimini della giunta al potere è già lungo: «Manifestanti pacifici sparati in testa, torture a morte, veicoli lanciati contro i cortei, famiglie prese in ostaggio, violenze sessuali, città distrutte, attacchi aerei, incendi e saccheggi».
Sul fronte diplomatico asiatico intanto le cose si complicano. Soprattutto nell’Asean, l’associazione regionale di dieci nazioni del Sudest asiatico di cui anche il Myanmar fa parte. Nel 2022 la presidenza passa alla Cambogia e dunque al suo uomo forte, il premier Hun Sen, al potere da 34 anni. Il Paese fa parte di quel gruppo di nazioni del Sudest asiatico settentrionale (con Thailandia, Vietnam, Laos) apertamente autoritarie e che nei confronti del Myanmar non hanno espresso particolari reprimende.
E hanno accettato, e forse mal sopportato, le recenti decisioni promosse dai Paesi dell’area Sud (Malaysia, Filippine, Indonesia e Singapore) che, durante la presidenza del Brunei, hanno escluso il Myanmar dalle ultime riunioni dell’Associazione. Uno schiaffo ovviamente mal digerito dai golpisti birmani. Hun Sen ha già nominato inviato speciale per il Myanmar il suo ministro degli Esteri e vicepremier Prak Sokhonn.
Ma il problema vero è lui: a inizio dicembre il presidente del Cambodian People’s Party – una sorta di partito unico – ha detto di voler andare in Cambogia a incontrare la giunta. Rischia così di spezzare il fronte, finora abbastanza compatto, che si è opposto ai golpisti di febbraio. Hun Sen ha appena fatto nominare dal partito (il 24 dicembre) come suo successore il figlio Hun Manet, un giovane generale dell’Aviazione. Garantendo così alla sua famiglia una sorta di avvicendamento dinastico che eguaglia quello di Norodom Sihamoni, un re opaco (figlio del grande Sihanuk) che vive all’ombra del premier.
Ma questa è solo l’ultima tappa dell’avventura politica del settantenne primo ministro che si è distinto in questi anni per aver eliminato sistematicamente tutti gli oppositori politici: la polizia provinciale di Banteay Meanchey, nel nordovest del Paese, ha appena arrestato Sok Vel, ex membro del Cambodian National Rescue Party. A questo partito, ormai fuorilegge, apparteneva anche Sam Rainsy, l’oppositore più noto del regime che vive in esilio in Francia del 2015, condannato in absentia a 25 anni di carcere.
Di Emanuele Giordana e Alessandro De Pascale
[Pubblicato su il manifesto]