60 investigatori al lavoro e quasi 15 milioni di dollari di risarcimenti. Ma com’è possibile che una nave con 465 persone a bordo si sia rovesciata tanto velocemente che nessuno abbia fatto in tempo a dare l’allarme o a chiedere aiuto? E come si spiega tanto ritardo nell’avvio dei soccorsi? Non lo sapremo mai perché la macchina della propaganda è già partita.
Tutto potrebbe avere diverse spiegazioni, anche legittime. Ma ormai la macchina della propaganda è partita: i giornalisti sono chiamati a documentare solo il mastodontico impegno di uomini e mezzi che la Repubblica popolare ha messo a disposizione dei soccorsi. Il risultato sono prime pagine molto simili su tutti i giornali e la rabbia dei famigliari delle vittime che non riescono ad accedere a una corretta informazione. “Invece di considerarci persone bisognose di aiuto, ci trattano come nemici” ha dichiarato uno di loro.
All’inizio degli anni 2000 un fiorire di blogger indipendenti aveva fatto sperare nella possibilità di un giornalismo più libero. I più coraggiosi sono in carcere. Gli altri hanno smesso di scrivere. Nel 2010-2011, l’avvento dei social network (tra tutti Weibo, il twitter cinese) aveva costretto l’informazione ufficiale a confrontarsi con un citizen journalism che arrivava nel giro di pochi attimi a centinaia di milioni di persone. Ma Xi Jinping ha fatto della “sovranità sulla rete” un’interesse nazionale.
Il punto è sempre lo stesso. Il Partito pretende che l’informazione sia uno degli strumenti per educare le masse. Non si tratta solo di censurare argomenti scomodi. Nelle redazioni dell’ex impero di mezzo è normale che ciò che gli anglosassoni chiamano newsworthiness sia un processo guidato dall’alto che tenga in considerazione soprattutto gli obiettivi che si prepone chi tiene le redini del Paese. E in soli due anni Xi Jinping ha dimostrato di voler guidare il paese con le stesse redini che usava Mao.