Dopo Singapore, un altro paese asiatico al voto. Mercoledì 5 agosto si svolgono infatti le elezioni parlamentari in Sri Lanka. Le urne si sono rese necessarie dopo che il presidente Gotabaya Rajapaksa, a inizio marzo, ha sciolto il parlamento. La pandemia ha fatto posticipare la tornata elettorale due volte: inizialmente previste per il 25 aprile, sono state prima rimandate dalla Commissione elettorale al 20 giugno e poi al primo mercoledì di agosto.
I principali partiti in corsa
Gotabaya Rajapaksa è stato eletto nel novembre del 2019, ma, non avendo una maggioranza in parlamento, alla prima occasione possibile (e prevista dalla Costituzione) ha sciolto la legislatura. Si potranno recare al voto quasi 16 milioni di cittadini mentre secondo i dati ufficiali saranno circa settanta i partiti che si presenteranno alle elezioni, 313 i gruppi indipendenti di ogni grandezza con 7452 candidati.
Il partito favorito è lo Sri Lanka Podujana Peramuna (SLPP), guidato dal primo ministro Mahinda Rajapaksa, già presidente dal 2005 fino al 2015 e fratello maggiore del Presidente Gotabaya. Mahinda ha un consistente supporto tra la maggioranza etnica singalese-buddista del paese, rappresentante circa il 70% della popolazione dello Sri Lanka. In realtà i Rajapaksa sono un vero e proprio clan, visto che non solo Gotabaya e Mahinda sono impegnati in prima persona in politica, ma anche altri due fratelli – Basil e Chamal – sono stati rispettivamente ministro dello sviluppo economico e presidente del parlamento, mentre al momento sono il capo del partito il primo, e deputato il secondo.
I due partiti più grandi, che cercheranno di ostacolare la (ri)affermazione della famiglia Rajapaksa, sono lo United National Party (UNP) e lo Samagi Jana Balawegaya (SJB), entrambi riconducibili ad un’area di centro-destra. Queste ultime due formazioni sono però fortemente in contrasto tra di loro visto che lo stesso SJB è nato da una scissione dello storico e più grande UNP. In campagna elettorale sia lo SJB, guidato da Sajith Premadasa, che l’UNP si sono concentrati più sull’attaccarsi a vicenda che sull’organizzare una reale alternativa ai Rajapaksa. I sondaggi danno lo SJB come secondo partito ma il distacco dall’UNP è molto labile. Nella corsa elettorale i seggi residui dovrebbero andare ai partiti più piccoli che rappresentano le minoranze etniche e religiose del paese, come quella dei Tamil, dei musulmani o piccole formazioni marxiste. Voti che però potrebbero essere decisivi per contrastare l’influenza e la maggioranza dello SLPP.
I temi
La tematica sociale più importante per tutto il paese è quella della riconciliazione etnica e religiosa, dopo la guerra civile che ha insanguinato lo Sri Lanka dal 1983 fino al 2009, tra la minoranza Tamil e la maggioranza singalese. Il Consiglio nazionale per la Pace (CNP) ha invitato sia gli elettori che i candidati a continuare il percorso verso la convivenza pacifica. Lo SJB di Premadasa ha cercato di raccogliere le istanze delle minoranze etniche e dei più poveri e svantaggiati, i quali richiedono lotta alla corruzione e meno favoritismi verso i potenti. In realtà durante la crisi del coronavirus, che nello Sri Lanka ha causato poco più di una decina di morti accertati, non sono stati molti i temi principali affrontati nella campagna elettorale dai vari partiti. L’obiettivo dichiarato dello SLPP dei Rajapaksa è quello di conquistare una forte maggioranza parlamentare e il controllo dei 2/3 dei seggi (150 su 225), che permetterebbe loro di modificare la Costituzione e far ottenere al presidente maggiore libertà d’azione e potere.
Lo scenario internazionale tra Cina e India
La (praticamente) certa vittoria dello SLPP dei Rajapaksa, da sempre sostenitori di un’alleanza con Pechino, rafforzerà lo stretto legame tra lo Sri Lanka e la Cina. Lo stesso Basil Rajapaksa ha affermato di ispirarsi al modello del Partito comunista cinese per quanto riguarda la gestione dello SLPP. Per decenni l’India ha avuto una grande influenza sull’isola asiatica, ma a partire dai primi anni del nuovo millennio Pechino ha scalzato New Delhi come potenza straniera di riferimento e ha acquisito un maggior ascendente grazie soprattutto agli ingenti investimenti riversati nel paese.
Non è un caso che lo Sri Lanka sia un esempio della famosa “trappola del debito” cinese. Il debito accumulato da Colombo, capitale dello Sri Lanka, nei confronti di Pechino ammonta a oltre 5 miliardi e cresce sempre più di anno in anno. Non avendo la possibilità di ripagarlo l’unica possibilità rimasta è quella di vendere asset strategici e infrastrutture al creditore. Il progetto della città portuale di Colombo e la costruzione del porto di Hambantota (e la successiva concessione per 99 anni) possono essere considerati casi emblematici, anche se affondano le loro radici nella crisi economica che attraversa il paese. La costruzione del Colombo Port City finirà, secondo le previsioni, nel 2041 e ad oggi è stato investito circa un miliardo di dollari da parte della società cinese ‘China Communications Construction Company’ che intende far diventare la capitale srilankese una “nuova Dubai”. Il porto di Hambantota, rilevante snodo nel progetto strategico della Via della Seta, è stato invece finanziato per circa l’80% da Pechino e nel 2017 è stato ceduto per 99 anni alla ‘Merchant Port Holdings Limited’ cinese per un valore di 1,12 miliardi di dollari.
La stretta cinese sullo Sri Lanka potrebbe diventare ancora più forte dopo le elezioni parlamentari, nonostante alcuni tentativi indiani di riprendere controllo e influenza sulla vicina isola, visti mal volentieri e osteggiati dalle istituzioni e dalla maggioranza della popolazione srilankese. La Cina si è assicurata negli ultimi anni l’alleanza dell’isola dell’oceano Indiano che, data la posizione geografica, in un possibile scontro indo-cinese potrebbe rivelarsi fondamentale.
di Luca Sebastiani
[Pubblicato su Affaritaliani]