Un manager nell’impero di mezzo. Biografia di Paolo Gasparrini, presidente di L’Oréal Cina (€ 14) è la testimonianza di un’esperienza personale e professionale, iniziata nel 1997, quando ancora i riflettori erano lontani dalla Cina. China Files ve ne regala un estratto (per gentile concessione dell’editore Guerini e Associati).
Un antico proverbio cinese recita: «Il cielo è alto e l’imperatore è lontano». Un modo di dire per riprendersi, a livello decentrato, quelle libertà che l’occhio dell’imperatore non potrebbe permettere.
È un proverbio molto adatto alle aziende straniere che vanno in Cina, spesso – come accade in particolare nella cultura americana – armate delle loro logiche stringenti, il budget, le regole di gestione del personale, i corsi di formazioni uniformanti che vanno bene in ogni parte del globo. Ma la Cina è diversa. Anche altri Paesi lo sono, ma qui la distanza è più radicale, più evidente.
Se a questo si accompagna l’orgoglio che abbiamo spesso evocato nelle pagine precedenti, la miscela diviene problematica. Ci si trova di fronte a un universo fatto di radici profonde, ancora evidenti nel senso comune, certo in cambiamento, ma non alla velocità che si potrebbe supporre.
Come dice Paolo: «Non si può stare in Cina solo pochi anni. Ci vuole il tempo necessario per capire, per conoscere, per stringere le relazioni che servono». Molti sono i manuali che sono stati scritti, molte le rivisitazioni del pensiero cinese che sono adattate per manager occidentali, si pensi solo a Sun Tzu e alla sua Arte della guerra, ma un conto è leggere un libro, anche interessante e ben scritto, e un altro è l’allenamento quotidiano alla comunicazione cross culturale.
Il modello L’Oréal ha funzionato perché attento a lasciare i giusti gradi di libertà a chi lavora sul campo, ovviamente selezionando le persone giuste e costruendo, come è stato sottolineato, una grande fiducia reciproca. Dal centro non si sono mai fatte forzature, al massimo si apriva un tavolo di confronto, si ascoltavano attentamente le persone sul posto.
Un tema di grande attualità in anni in cui globalizzazione ha spesso significato omologazione, in cui, da punto di vista organizzativo, lo schematismo del taylorismo ritorna per ottimizzare sistemi informatici rigidi, che consentono la lettura immediata dei fenomeni ma che ne costringono la gestione dentro schemi spesso riduttivi.
Un dilemma, quello tra centralizzazione e omogeneizzazione e tra libertà decentrata e incomunicabilità, che non sarà mai risolto a tavolino, ovvero da teorie ancorché ben documentate. La Cina dimostra che vi è una peculiarità che non può essere disattesa; che vi sono caratteristiche, di cultura, di mercato, di valori, di comportamenti, che non si possono ridurre in modo schematico.
Questa consapevolezza deve essere alla base dei comportamenti dei manager che verranno: dovranno saper dire no, quando è necessario, motivando le proprie prese di posizione, articolando le specificità del grande Paese asiatico, facendo da ponte tra culture molto, a volte troppo diverse.
Naturalmente dall’altra parte, dal punto di vista del centro, vi devono essere aziende disposte alla flessibilità. In anni in cui il diktat centrale era di tagliare costi e investimenti, in Cina bisognava avere il coraggio di andare avanti ad aumentare gli impieghi. Una considerazione che sembra ovvia, ma che non lo è considerando il «normale» comportamento delle imprese globalizzate.
Questa considerazione apre la strada a un «a priori», ovvero a come selezionare e gestire questi espatriati che siano in grado di capire il contesto e di comunicarlo al centro, in un’azione quasi di mediazione culturale. Cruciale la dimensione attitudinale, quella curiosità sottolineata molte volte nel testo, ma anche umiltà, come racconta un altro Amministratore Delegato in Cina intervistato per il libro China CEO (2006).
Più che la formazione, che comunque può essere importante, quello che vale sono le caratteristiche personali, la capacità di osservare prima di giudicare, la flessibilità di adeguare i propri modelli mentali, spesso costruiti all’ombra di famose business school e quindi ritenuti «la verità» da applicare sempre e comunque.
Nello stesso libro un intervistato aggiunge che gli occidentali arrivano in Cina convinti di dover insegnare qualcosa, raramente pensando di avere qualcosa da imparare. Resiste lo stereotipo di un gruppo dirigente ancora da formare, che richiede agli occidentali la loro saggezza. Interessante invece l’esperienza di Gasparrini e del suo incontro con la dirigenza politica, con lo stupore di incontrare persone di ottimi studi e di radicata esperienza.
È però necessario, per i manager che verranno, avere una mappa di riferimento, che cercheremo di tradurre in pochi essenziali punti, partendo dalla constatazione che l’importanza del comportamento manageriale è tanto più elevata in un contesto cross-culturale, dove i rischi di malintesi sono molto frequenti e gli errori eventuali spesso difficilmente riconoscibili anche quando sono stati commessi.
*Maria Cristina Bombelli è fondatrice della società di consulenza Wise Growth e presidente della onlus La Pelucca di Sesto San Giovanni. Per i nostri tipi ha pubblicato: Cina. Sotto il cielo una famiglia (con A. Arduino e J. Gonzalez, 2007); Over 45. Quanto conta l’età nel mondo del lavoro (con E. Finzi, 2006); Oltre il collocamento obbligatorio (con E. Finzi, 2008) e Alice in business land. Diventare leader rimanendo donne (2009).