Speciale Tian’anmen – La voce di una madre

In by Simone

23 anni di silenzio di stato. Oltre duecento gli studenti morti in piazza accertati, ma si pensa siano stati almeno dieci volte tanto. La lucida opinione dell’ultra settantenne Zhang Xianling, fondatrice assieme a Ding Zilin delle Madri di Tian’anmen. L’intervista di China Files.
In aggiunta all’intervista oggi, su China Files – Speciale Tian’anmen, potete leggere:

Ricordo 2G – Tian’anmen da un’altra angolazione. Cosa ne sanno e cosa ne pensano i cinesi che vivono in Italia. Intervista a Marco Wong, presidente onorario di Associna, l’associazione che riunisce le seconde generazioni di cinesi. Quelli nati in Italia. 

La rete ricorda – Ogni anno il 4 giugno il popolo della rete commemora l’anniversario di Tian’anmen. Anche alcuni vignettisti pubblicano lavori particolari sui loro blog, invisibili nell’intranet cinese. La loro identità è avvolta nel mistero, ma è evidente la voglia di ricordare il cosiddetto "incidente del 4 giugno".

Una tragedia evitabile – Parla Chen Xitong, sindaco di Pechino durante le proteste di piazza Tian’anmen. Un suo rapporto ufficiale avrebbe spinto Deng Xiaoping a sposare la linea dura della repressione violenta. Dopo 23 anni Chen affida ad un libro-intervista la sua versione dei fatti.

E inoltre

23 anni di silenzi. Si suicida un padre di Tian’anmen – Il 4 giugno sarà il 23esimo anniversario del massacro di piazza Tian’anmen. Il 24 maggio l’anziano padre di una delle vittime si è tolto la vita. Intanto sono in molti quelli che ieri hanno visitato la "libera" Hong Kong per l’annuale manifestazione in ricordo degli avvenimenti del 1989.

Sono molto contenta per questa intervista. Non abbiamo altri canali, in Cina è vietato parlare di queste cose.

Quest’anno è il 23° anniversario, fino ad oggi non è stata ancora aperta un’inchiesta. Pensa ci saranno dei cambiamenti in futuro?

Ci saranno dei cambiamenti, ma temo di non poter dire quanto ancora sia lontano questo futuro: un anno, due, cinque, o forse ancora di più. Ma non passerà tantissimo tempo. Questi cambiamenti non sono decisi sulla base delle idee dei nostri governanti. Chi governa oggi spera di farlo per sempre. Ma è impossibile. Prima o poi se ne parlerà con chiarezza.

Quanto tempo ci vorrà?

In cinese c’è un modo di dire: "huiyi jiyi, non andare dal medico per nascondere la malattia" ovvero nascondere le proprie debolezze per paura delle critiche. Questo è l’atteggiamento dei nostri leader sul 4 giugno. Ma se non vai dal medico rischi la morte, i nostri politici dovrebbero capirlo e risolvere la questione.

Ora ho più di settanta anni, se vivo altri vent’anni potrò sicuramente vedere questo futuro. Spero di superare i novant’anni.

Cosa pensa della riabilitazione del movimento di Tian’anmen menzionata dal presidente Wen Jiabao?
 
Non ho sentito Wen Jiabao parlare di queste cose in occasioni pubbliche, né su media. Sono informazioni che circolano su internet, tra la gente. Probabilmente l’ha detto, ma non so se sia vero.

Se l’ha detto davvero, vuol dire che è abbastanza lucido. Ma questo non dipende dalla forza di una sola persona, non basta che uno ammetta la necessità della riabilitazione per realizzarla. Serve il consenso di tutto il Partito.

Esiste questo consenso? Secondo me, sì. Ma non osano, hanno paura come un assassino che non vuole essere arrestato. Vogliono sinceramente trovare una soluzione? Basta che si siedano a discuterne e si risolve. Ma hanno paura.

Come spiega questa paura?

Gli obiettivi e gli slogan del movimento degli studenti erano la richiesta di democrazia e il contrasto alla corruzione. Oggi la democrazia cinese è solo una facciata. Buona parte dei nostri leader sono sospettosi nei confronti della democrazia, perché intacca i loro interessi economici.

Anche i livelli più alti sono corrotti. Prendono i soldi della gente a piacimento e se li intascano. Questo non dovrebbe succedere in un paese democratico.

Un esempio è l’organizzazione delle Olimpiadi con i soldi dello Stato. Non si fa. Ma in Cina va così. Si prendono a piacimento i soldi della gente per fare ciò che si vuole. Nessuno osa chiedere niente.

Tutto ciò implica un cambiamento del sistema dispotico. Nessuno lo vuole. Risolvere Tian’anmen significa risolvere il problema della corruzione e democrazia.

Cosa ne pensa la gente?

A Pechino la grande maggioranza della gente è insoddisfatta,  magari  fuori Pechino meno. Ma è perché fuori le notizie sono inaccessibili, la gente non si preoccupa molto di conoscere i fatti che riguardano la nazione.

Una volta, tornando a Pechino, un tassista mi ha detto: "A Pechino ogni dieci persone, undici insultano il Partito". Non credo siano così tante, magari sono solo nove su dieci!

Noi osiamo parlare: per i nostri figli sconfiggiamo la paura. Invece molte persone non osano. Si preoccupano per il loro lavoro, la loro vita, la loro famiglia. La Cina è una dittatura: se osi insultare il Partito rischi di essere rimosso dal posto di lavoro.

Esiste sì, la libertà di parola. Si parla tranquillamente tra amici, col tassista, e in molte altre occasioni. Ma se intendiamo un parlare pubblicamente, allora questa libertà non esiste. In televisione o sui giornali non se ne parla, né in altre occasioni pubbliche. Ci si può lamentare. Questo ci è concesso!

In Cina c’è la libertà di parola, ma non quella di commentare. Rispetto al passato siamo più liberi, ma ancora non si può parlare apertamente e pubblicamente. Sui giornali alcune cose non si possono scrivere.

Le nazioni straniere che ruolo  hanno in tutto questo?

Se la Cina vuole procedere ad un cambiamento radicale sul piano dei diritti umani deve affidarsi ai cinesi. L’opinione pubblica  e i media stranieri hanno sicuramente un ruolo e possono influenzare il Governo, ma è il ruolo dei cinesi ad essere fondamentale.
 
Cosa possono fare le potenze straniere?

Prima di tutto possono far sapere che in Cina non esistono i diritti umani, far conoscere la realtà cinese, non guardare solo alla facciata di prosperità o quello che si vede qui da turisti. In realtà la questione dei diritti umani è ancora disastrosa. Far conoscere la vera realtà.

In secondo luogo, devono far sì che i cittadini mettano più pressione al governo. I paesi stranieri devono spronare la Cina, anche arrivando a criticare il governo, cosa che ritengo che la Germania con Merkel abbia fatto bene.

Trova però che le potenze straniere pecchino di ipocrisia?

Stavo proprio per dirlo. Ora soprattutto l’America e l’Europa hanno bisogno dell’aiuto e dei soldi della Cina, e per questi soldi sono disposti ad abbassare i loro standard di moralità, sono disposti a diminuire il supporto nei confronti dei diritti umani. Ora il mondo insegue solo i soldi. Ed è una cosa che non mi piace.

E perché i soldi della Cina sono così facili da guadagnare? Perché la Cina è una dittatura. Come fa il governo a guadagnare questi soldi? La gente non ha il diritto di chiederlo. Quindi i vostri governi si comportano bene col nostro governo, non osano dire che non va bene, perché sperano di ottenere degli apalti, dei soldi, ecc. Perché non deve badare alla gente comune. In realtà i soldi del governo sono i nostri soldi, di cui non ne sappiamo niente. è un problema che ha a che fare col sistema dittatoriale.
I soldi allettano i vostri governi.

Come vede il prossimo cambio della leadership in Cina?

Non ho molta speranza nel prossimo Congresso. In passato la Cina era un paese dittatoriale, generazioni di imperatori una dopo l’altra. Ora ci chiediamo come sarà questa nuova generazione di imperatori.

Adesso, che si voglia o no, bisogna procedere in direzione della democrazia, non solo una persona o un gruppo di persone, la cosa principale è aumentare la consapevolezza dei cittadini, di tutti.

Quale sarà il ruolo dei nuovi leader cinesi?

Penso che la loro mentalità potrà essere più aperta, ma non mi aspetto un’apertura nel loro modo di agire. Perché si limitano a vicenda, in una situazione in cui ognuno sorveglia l’altro. 

Hanno interessi economici, spesso comuni. Se c’è un’idea, non si realizza per paura di scontrarsi contro gli interessi altrui, che sono anche i propri o della propria famiglia. Così anche se alcuni vogliono le riforme, non osano, sarebbe impossibile.

Non sono più così conservatori come prima, c’è stato un miglioramento rispetto alla generazione precedente. Ma cambiare la situazione attuale non è facile, soprattutto se non c’è la volontà.

C’è stato anche un altro cambiamento. Personaggi come Deng Xiaoping, Mao Zedong o persone della generazione successiva come Jiang Zemin, erano temuti dalla gente e visti come imperatori. Ora c’è un maggiore equilibrio che permette compaiano opinioni diverse. Si è capito che non può essere una persona sola (o poche persone) a prendere le decisioni. Questo è un fattore nuovo e positivo.

Quali saranno i cambiamenti che la Cina vedrà nei prossimi dieci anni?

In dieci anni è possibile che ci siano cambiamenti, ma non saranno così grandi. Oggi possiamo vedere i passi avanti rispetto a dieci anni fa, ma l’essenza non è cambiata. La polizia ci sta ancora addosso, ma l’atteggiamento è più rilassato. 

Qualche anno fa qui intorno era pieno di polizia. Il fatto che siete qui indica che ci sono stati dei cambiamenti. Ma i progressi sono lenti e di facciata, non sono cambiamenti sostanziali.

Cosa organizzerà il gruppo delle madri di Tian’anmen?

La nostra non è un’organizzazione, ma un gruppo. In Cina le organizzazioni non sono permesse. Il nostro è un semplice gruppo, delle persone che si riuniscono, senza un leader né linee guida. Non ha neanche un numero fisso di componenti, si può entrare e uscire dal gruppo. C’è chi muore e chi può unirsi al gruppo. 

Ogni anno, nel giorno dell’anniversario, ci riuniamo e pubblichiamo le nostre idee nella cosiddetta “lettera aperta”. Il contenuto di queste opinioni sono sostanzialmente sempre le nostre tre richieste. Quest’anno non lo abbiamo ancora pubblicato, lo vedrete quando sarà il momento.

 Le tre richieste sono l’apertura di un’inchiesta e la riabilitazione, ammettendo la verità sulla vicenda. Poi pubblicare i nomi delle vittime del 4 giugno e provvedere ad un risarcimento secondo la legge. La terza è indagare sui responsabili del crimine 

 Poi faremo una commemorazione. Il 4 giugno andremo tutti a Wan’an gong, il cimitero dove sono sepolti i nostri parenti. L’abbiamo fatto anche gli anni scorsi. In passato è capitato che l’iniziativa venisse dispersa dalla polizia, ma noi speriamo che quest’anno non interferiscano. In ogni caso ci andremo.

Se dovesse fare il nome di un responsabile?

Indichiamo tre persone come responsabili: Deng Xiaoping, il principale criminale. All’epoca era presidente, senza il suo permesso, nessuno avrebbe aperto il fuoco. Il secondo è Yang Shangkun, allora presidente della Repubblica, ugualmente responsabile verso la nazione: come è possibile aprire il fuoco sulla gente? L’altro è Li Peng, all’epoca era primo ministro. È stato lui a dare l’ordine, è responsabile in prima persona.

Come vede il futuro del gruppo?

Siamo tutte in là con l’età. Nel gruppo ci sono madri, padri, o anziani che moriranno. Nuove persone ne entreranno a far parte. Il gruppo esisterà fino a quando non sarà risolta la questione. L’importante non è il numero di persone, ma le nostre richieste.

All’interno ci sono anche giovani, ma sono tutti parenti delle vittime o gente che è rimasta ferita all’epoca. In genere ci sono due tipi di componenti nel gruppo: uno sono persone che hanno avuto vittime nella loro famiglia, l’altro sono persone rimaste ferite.

Il punto principale è la firma al manifesto pubblico. Chi firma il manifesto che pubblichiamo ogni anno, fa parte del gruppo. Per esempio, se c’è una donna che ha perso il figlio ma non firma il manifesto: non fa parte del gruppo delle madri, ma risulta famigliare delle vittime.

Oltre a mariti, fratelli, padri, sorelle, ci sono casi particolari. Ad esempio la nuova moglie di un uomo che ha perso la sua prima moglie durante il movimento.

Siamo circa 120-130 persone, un numero che varia ogni anno. Ma non abbiamo ancora avuto casi di abbandono del gruppo.

Subisce ancora maltrattamenti dalla polizia?

Non avete visto quella stanzetta all’ingresso? Si mettono lì per tenermi d’occhio. Se esco, mi seguono. Se vado a fare la spesa, mi seguono. Qualunque cosa faccio, mi seguono. Se prendo un taxi è probabile che si mettano in macchina e mi seguano.

Se venivate anni fa, e loro lo sapevano, potevano venirmi a chiedere chi era venuto a fare l’intervista. Ora prima telefonano a casa e mi chiedono il permesso per venire a parlare di alcune cose. Diciamo che è uno dei miglioramenti degli ultimi anni. Prima potevano arrivare in qualunque momento.

Ha mai pensato di lasciare la Cina?

Mai, solo restando qui possiamo vincere la nostra lotta.

Cosa ricorda della notte del 3 giugno?

Ho raccontato questa storia così tante volte che il dolore è già andato via. La sera del 3 mio figlio era in casa. Andava spesso in piazza Tian’anmen a sentire le discussioni degli universitari. All’epoca  era uno studente delle scuole superiori, voleva capire.

Approvava le opinioni degli studenti universitari. Il 17 maggio aveva partecipato alla manifestazione degli studenti. Amava andare in piazza Tian’anmen a fare foto.

Quella sera era a casa, è uscito dopo le dieci. Allora non abitavamo qui, ma in un altro appartamento molto più piccolo. Così avevamo due appartamenti diversi. Spesso in Cina si usa così, genitori e figli vivono in case diverse.

Quella notte era uscito dicendo di andare in piazza a “fotografare la verità della storia”. Alcuni dicevano che avevano aperto il fuoco, ma altrinegavano. Mi aveva chiesto se secondo me era possibile che aprissero il fuoco. Gli avevo detto di no: “all’epoca della Banda dei quattro non hanno aperto il fuoco, non lo faranno neanche ora”. Me ne sono sempre pentita.  

Quindi era andato in piazza a fare foto di fronte alla Grande Sala del Popolo, all’angolo con Nanjie Nankou. Colpito da un proiettile, non era morto ma solo ferito. L’avevano detto anche alcuni testimoni.

I medici – che all’epoca erano il gruppo di assistenza formato da studenti di medicina – volevano andare a salvarlo. L’ambulanza si era avvicinata per portarlo via, ma non gliel’hanno permesso. Una cosa brutale, da fascisti, anche a due paesi in guerra è consentito salvare i propri feriti. Ma non volevano salvarli.

Così tutti quelli che erano ammassati lì in Chang’an jie sono morti. All’alba del giorno dopo, li hanno nascosti nei pressi di Tian’anmen. Mio figlio era nascosto insieme ad altri di fronte ad una scuola media. Le lezioni stavano per iniziare. Non erano sepolti in profondità, c’era un odore molto forte. La scuola lo ha segnalato all’ufficio di sicurezza di portare fuori quei morti.

Mio figlio indossava la vecchia divisa, erano studenti delle superiori, per questo portava la divisa. Pensando che facesse parte di una qualche forza armata e lo hanno portato in ospedale. Così ho trovato il suo corpo. Altre famiglie non hanno mai trovato i loro famigliari.

Mio figlio era uno studente delle superiori, molto giovane. Poiché non tornava da molti giorni, l’ho segnalato alla sua scuola e all’ufficio di sicurezza. Forse allora c’erano anche dei servizi di informazione, non sono sicura. In ospedale non aveva documenti, la carta d’identità gliel’avevano già portata via. Vedendo che era un ragazzo di scuola superiore avevano avvisato la sua scuola, che poi ha avvisato me. Così sono andata a vedere.

Quanti morti ci sono stati?

Ad oggi ne abbiamo trovati più di duecento. Ma credo ce ne siano stati circa duemila. Alcuni ospedali dicevano che ne avevano cinquanta o sessanta , ma noi ne abbiamo trovati solo cinque o sei. Altri ospedali dicevano trenta, quaranta, ma noi ne abbiamo trovati tre o quattro. 

La mattina del 4 giugno verso le otto, sentivo la radio. Un giornalista, probabilmente di Voice of America, aveva chiesto [il numero dei morti] a un membro della Croce rossa. L’ho sentito con le mie orecchie. Quello della Croce rossa era un uomo. Il giornalista gli chiese: "sa quante persone sono morte?” e lui rispose: "secondo le statistiche circa duemila".

N
oi ne abbiamo trovati più di duecento, ma ricordando i numeri riportati dagli ospedali ho stimato una proporzione di 1 a 10. Credo in totale ce ne siano stati circa duemila.

Molte persone non hanno dichiarato di avere un morto in famiglia perché nessuno glielo ha chiesto. Sono convinta che se il governo chiedesse di dichiarare i morti del 4 giugno, lo direbbero sicuramente.

Se nessuno ci avesse detto niente, non avremmo saputo chi era morto né dove andare a cercarlo. Il governo non permette che se ne parli, molte famiglie hanno paura e non osano parlare.

Queste famiglie non si sono mai avvicinate a voi?

Molte persone non sanno neanche che esistiamo. In Cina l’informazione non è sviluppata. Sono gli stranieri ad avere maggiori informazioni sul nostro gruppo, i cinesi ne sanno ben poco. Alcuni ci hanno trovato ascoltando trasmissioni straniere.

Che lavoro faceva, di cosa si occupava?

All’epoca ero un’ingegnere, lavoravo in un centro di ricerca del dipartimento di ingegneria aerospaziale. Dopo il 4 giugno sono andata in pensione, avevo subito una botta troppo pesante. All’epoca dovevamo anche fare assemblee in cui si diceva che il 4 giugno era sbagliato. Non ce la potevo fare.
Siamo andati avanti con la pensione, mia e di mio marito.

Ora ho 75 anni. Ho tre figli, il più piccolo è morto. Ho anche una nipotina di dodici anni. Tutti figli maschi, avrei voluto una femmina ma non è arrivata.

Non ho molto da aggiungere. Sono già passati molti anni da questi fatti e di molte cose non c’è più bisogno di parlarne.Sono morte molte persone, mio figlio è stato ucciso, per questo ne parlo.