Come ogni anno China Files ricorda Tian’anmen. La voce di un Nobel e quella di una madre, il ricordo e la censura sul web cinese, le parole di Bao Tong e quelle di Fred Engst, un americano nato nella Cina maoista che non abbandona le vecchie ideologie. E ancora lo stretto legame tra poesia e memoria e l’allegoria crudele che vede il padre uccidere il figlio per conservare il proprio potere. A ventiquattro anni dai fatti che sconvolsero il mondo, le Madri di Tian’anmen non si arrendono. È un comunicato durissimo quello che diffondono attraverso l’ong Human Rights in China di New York. Xi Jinping, il nuovo presidente cinese, “ha mischiato gli aspetti più impopolari ed esecrabili” di Mao Zedong e Deng Xiaoping. I suoi predecessori Jiang Zemin e Hu Jintao “hanno perso dieci anni ciascuno”, se Xi si dimostrasse anche un minimo degno di suo padre (che aveva fama di riformista), “non dovrebbe seguire i loro passi”.
Imprigionate, costrette agli arresti domiciliari e sottoposte a sorveglianza costante, ogni anno dal 1995 le madri di Tian’anmen presentano una petizione al governo. Chiedono che venga aperta un’inchiesta sui fatti del 4 giugno. Vogliono che sia ristabilita la verità storica e che i famigliari delle vittime vengano risarciti. Ma soprattutto vogliono che la politica confessi i propri errori.
La notte tra il 3 e il 4 giugno l’Esercito di liberazione popolare sparò sul popolo cinese per la prima e ultima volta in sessantanni. Fino a quando non sarà fatta chiarezza su quello che avvenne quella notte, non si conoscerà il numero e l’identità dei morti. E non sono pochi. Duecento accertati, duemila e oltre secondo altre stime. Sicuramente un’intera città messa a tacere con il terrore.
Né si conosce il numero delle persone arrestate o costrette a fuggire all’estero solo per aver preso parte a quel movimento che alla fine degli anni Ottanta chiedeva al Partito riforme economiche e politiche. Un movimento trasversale che era nato per denunciare la corruzione dilagante dei funzionari e per partecipare attivamente alla costruzione della nuova Cina.
Si dice che l’ultimo prigioniero incarcerato per “atti controrivoluzionari” legati ai fatti di Tian’anmen sia uscito di prigione lo scorso autunno. Si chiama Jiang Yaqun, ha 73 anni, soffre di alzaheimer e non ha più una famiglia né una casa in cui tornare. Pare non abbia nemmeno una fonte di reddito. Non sapendo quante persone finirono in carcere all’epoca, è difficile affermare che sia l’ultimo.
Per questo le Madri di Tian’anmen non si stancano di chiedere l’apertura di un’inchiesta. Questa volta il portavoce del Ministro degli esteri interrogato sulla lettera ha dovuto rispondere. Ciò che ha dichiarato è che il governo cinese “ha raggiunto una chiara conclusione” sui fatti del 4 giugno e che i successi raggiunti negli ultimi vent’anni “dimostrano che il cammino scelto ha servito gli interessi del popolo cinese”.
Allora chissà perché quando si digita Tian’anmen su un qualsiasi motore di ricerca all’interno della Repubblica popolare escono solo immagini e informazioni turistiche sul centro della città.
[Scritto per il Fatto Quotidiano; L’illustrazione è di Paolo Castaldi per Becco Giallo editore]