Speciale Nord Corea – Tutto tranquillo, a Dandong

In by Simone

Capire cosa succede in Corea del Nord dal confine cinese. 45mila lavoratori nordcoreani vivono qui in pianta stabile e gli affari continuano. Nessuno sembra credere al giovane Kim, impegnato a costruire un mito degno dei suoi padri. Eppure dal 10 aprile Pyongyang non garantirà più la sicurezza delle ambasciate. Reportage da Dandong.

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Dandong, confine tra Cina e Corea del Nord – Quando cala la sera sembra quasi che la Cina sputi in faccia ai fratelli nord coreani tutta la sua potenza. Un diluvio di luci, colori sui palazzi e sul ponte, quello sul fiume Yalu, distrutto dagli americani durante la guerra degli anni 50 e divenuto oggi un luogo turistico. Prima rosso, poi blu, verde. A pochi metri, visibile in pieno giorno, un punto che scompare nel buio della notte: la Corea del Nord. E’ Dandong, estremo oriente della Cina, dove il Dragone guarda negli occhi l’ingresso al regno dinastico dei Kim, attualmente comandato da questo giovane, Kim Jong -un, personaggio ambiguo e capace di catalizzare l’attenzione internazionale a suon di minacce catastrofiche.

Camminando sulla passeggiata da cui si vede la desolazione apparente e immaginifica di quel mistero che è la Corea del Nord, l’alone di dicerie, sospetti e una sottintesa follia, diventa più reale, trascende l’immaginario e assume sembianze vere, di persone che si muovono, tra le strade tra le vie, che puoi vedere, in carne ed ossa. Verrebbe da dire, “guarda, un nord coreano”. La Corea del Nord diventa così qualcos’altro, non più un paese ammantato da quel modo di dire, “succede in Corea del Nord”, che sembra ormai significare qualcosa come “al confine dell’universo”, o anche “chissà dove”. Un mistero svelato che in realtà ha una storia, una distesa da sempre turbolenta e già vittima di scorribande, indole confuciana e da secoli impegnato a gestire il gioco delle altre potenze, minacciando e rinculando, promettendo e provocando. Proprio come adesso.

E nei negozi gestiti da cinesi allora, tra matrioske e vestiti tradizionali, succhi e snack di ogni tipo, signore coreane confabulano tra loro per scegliere gli abiti da portare al di là del confine. Altri coreani ci sono ma non si vedono. Fanno parte dei 45mila, così ci viene detto, che lavorano in pianta stabile nelle fabbriche cinesi sparpagliate nei dintorni da periferia semi rurale, strade sterrate, polvere, di Dandong. Lavorano, dormono e vivono lì, forse in ricordo delle antiche unità di produzione.

La Cina paga il lavoro a basso costo e il margine va al governo di Pyongyang. La cresta sul loro lavoro la fa il “comunista” Leader Kim Jong un. “Un giovane, uno che sta facendo una guerra psicologica per ottenere potere interno” è la diceria che sgorga dai banconi dei negozi di Dandong. Alla guerra non crede nessuno, neanche oggi, mentre un vento improvviso, che poi diventa costante a scandire la serata, alza sabbia e porta notizie di nuove provocazioni. Tutto tranquillo ripetono a Dandong, anche nella giornata in cui il regime nordcoreano avrebbe intimato a Russia, Gran Bretagna, Giappone e Germania di evacuare gli uffici delle ambasciate a Pyongyang entro il 10 aprile.

Una data sottolineata anche a Dandong. 10 aprile, come limite e come punto di avvicinamento al 15 aprile, quando la Nord Corea festeggerà il compleanno dell’iniziatore di questa dinastia comunista, unica nel suo genere: Kim il Sung, l’Eterno Presidente. La Germania avrebbe convocato l’ambasciatore nordcoreano, mentre gli inglesi avrebbero specificato di aver ricevuto un messaggio direttamente dal governo di Pyongyang, secondo il quale il regime di Kim Jong un non potrebbe garantire l’incolumità del personale delle ambasciate dal 10 aprile in avanti.

Un regime nelle mani del giovane Kim: a Dandong i cinesi non ci credono al ragazzo. Dicono che voglia farsi forte, guadagnare consenso. Un cinese racconta che una guida nord coreana, a Pyongyang gli avrebbe detto qualcosa come “voi ne sapete qualcosa del nostro Leader? Perché noi ne sappiamo poco”. Non è un buon segno e i cinesi sono rapidi a tirare conclusioni: sta portando acqua al suo mulino, sta disegnando il suo mito, niente da temere.

E infatti gli affari proseguono, il centro “doganale” di Dondang avanza nella sua attività quotidiana. I cinesi prendono carbone, investono nelle miniere, i coreani, quelli che hanno i contatti giusti o le parentele ancora più giuste, con un visto di un mese soggiornano in Cina e fanno acquisti. E nel ponte accanto a quello distrutto, una locomotiva monorotaia con lentezza estenuante, impiega quasi mezz’ora a tornare nel covo nord coreano. La minacce di Kim  hanno cambiato qualcosa? “Qui non è cambiato niente” specificano i cinesi.

Nonostante la calma di Dandong, il fronte militare, però, avanza nella sua ragnatela di provocazioni, supposizioni, analisi. Secondo quanto ha riferito l’agenzia sudcoreana Yonhap, i nordcoreani hanno caricato due missili a medio raggio su rampe mobili in una qualche località segreta sulla costa orientale. Sulla reale entità del rischio, sembra non avere le idee chiare neanche la Corea del Sud. Il ministro della Difesa di Seul, Kim Kwan-jin ha detto che il missile potrebbe essere usato “per una dimostrazione di forza o per un’esercitazione”.

E qui entriamo nell’ambito degli specialisti: il missile pare non sia un KN-08, che secondo gli esperti militari sarebbe quanto la Corea del Nord ha di più simile ad un missile balistico. Il KN-08 è stato mostrato esattamente un anno fa dal leader di Pyongyang durante una delle tante parate militari auto celebrative. Secondo i funzionari militari della Corea del Sud citati dai media nazionali, però, il missile sarebbe invece il Musudan che ha una portata di quasi 2mila miglia e potrebbe raggiungere Guam, nella peggiore delle ipotesi. Poi in giornata il ministero ha provato a rassicurare tutti: non ci sarebbero movimenti di truppe nel Nord, in preparazione di un conflitto su larga scala. “Retorica”, hanno specificato da Seul.

Allora in questo contesto, riducendo la possibilità suicida di un attacco nucleare, ecco che lo spettro Cheonan, del 2010, torna di moda. Lo sostiene anche un cinese che scherzando in un bar gestito da un canadese, in Cina dal 1984, ricorda quando la Corea del Nord negò completamente il proprio coinvolgimento nell’affondamento della corvetta sudcoreana. Più che un conflitto aperto, l’ipotesi dell’incidente è quella che sembra avere le maggiori probabilità di accadere. E’ quanto ha sostenuto anche Ian Buruma, giornalista e grande conoscitore dell’Asia, quando sulle pagine del The Globe And The Mail ha scritto che “per ora siamo alle parole. Ma piccole cose, come uno sparo a Sarajevo, possono portare catastrofi”.

E da questo complesso quadro, che non può essere più letto con la lente che tratteggia una sorta di revival della guerra fredda, perché nell’area quasi tutto è cambiato, chi manca? La Cina, lo storico alleato della Corea del Nord. E Pechino è proprio l’elemento che suggerisce il cambiamento più clamoroso nel contorno alla vicenda nord coreana. Se nel periodo di Hu Jintao, considerandosi paese in via di sviluppo, Pechino non aveva cambiato niente nell’approccio agli alleati nord coreani, Xi Jinping – il neo Presidente – concepisce il Dragone ormai come una grande potenza. E la Corea del Nord diventa un fratello minore, qualcosa con cui averci a che fare, ben sapendo che i tavoli dei grandi sono altri. Ci sarebbe forse il tentativo di mollare l’alleato, ma Dandong insegna che i legami tra i due paesi sono forti, radicati e difficili da estirpare con un colpo di mano. Serviranno anni, forse, se Pechino lo vorrà davvero.

[Scritto per il Manifesto]