Come le maree, le folle di Hong Kong si propagano e si ritirano. A governarle però, a differenza delle prime, nessuna legge della fisica.
Solo un’incredibile volontà collettiva che ha fatto dell’anonimato la sua strategia vincente. Difficile credere che milioni di persone possano mobilitarsi e spostarsi spontaneamente senza che ci sia qualcuno a capeggiarle.
Tuttavia, quello che sta andando avanti da mesi ad Hong Kong mostra come, nell’era della rivoluzione digitale, anche le proteste di piazza possano mutare di natura fino al punto da diventare leader free.
Una condizione, che più che essere voluta dai manifestanti è l’effetto collaterale delle politiche repressive adottate dalle autorità governative. Dopo anni di arresti e incarcerazioni sistematiche, i dissidenti hanno imparato la lezione: esporsi pubblicamente contro Pechino comporta ritorsioni. Un problema non di poco conto quando si vuole coinvolgere nell’azione di dissenso il maggior numero di persone. Ad Hong Kong però, di necessità si è fatta virtù. Accantonando la rischiosa logica di militanza mainstream per una più «sicura» forma d’aggregazione autonoma e decentralizzata.
In altre parole, niente più movimenti ed associazioni a guida delle proteste ma solo forum e chat su internet. Sia beninteso, i social di proprietà di Mark Zuckerberg sono esclusi. Troppi gli scandali e le violazioni che ne hanno minato l’affidabilità.
Inoltre, l’algoritmo che governa Facebook non privilegia il dibattito costruttivo ma anzi dà maggiore risalto a tutti quei commenti che esprimono un parere contrario rispetto all’argomento della conversazione.
Ed è quanto di più controproducente nel processo di creazione del consenso. A riprova di ciò, le manifestazioni di Hong Kong di cinque anni fa. Come scritto su EconReporter «nel 2014, Facebook ha fatto da amplificatore del disaccordo tra le diverse “scuole di pensiero” in seno alla protesta». In sostanza, le divergenze tra le varie anime dell’Umbrella Movement penalizzarono l’elaborazione di un’unica strategia che, oltre a tutelare i partecipanti dal rischio di future ritorsioni da parte del governo, si rivelasse vincente. Oggi però, a luglio del 2019, è evidente che qualcosa sia cambiato nel modo di protestare ad Hong Kong.
Il successo delle azioni dimostrative di questi ultimi mesi passa per tre atti fondamentali: pianificazione anonima, rapidità d’esecuzione e coordinazione.
Il primo avviene su Lihkg. Un forum online dove gli utenti registrati possono lanciare appelli di mobilitazione mantenendo la propria identità celata. Inoltre, a differenza di Facebook, viene dato risalto solo ai commenti che ottengono il maggior numero di voti da parte della community.
Le opinioni impopolari e le critiche sterili finiscono inevitabilmente in fondo al flusso di notizie e per tanto ignorate. Ciò significa che su Lihkg si passa meno tempo a litigare e più a pianificare una strategia condivisa. Per quanto concerne invece la rapidità d’azione e la coordinazione, i manifestanti hanno utilizzato per diverso tempo l’app di comunicazione mobile Telegram. Su questa piattaforma di messaggistica criptata avevano creato diverse chat all’interno delle quali decidevano dove e quando incontrarsi, come spostarsi e cosa portare con sé durante le manifestazioni. Malgrado l’elevato standard di sicurezza garantito da Telegram alcuni episodi ne hanno messo in discussione l’inviolabilità. Il primo riguarda la vicenda di «Parade 69». Una chat, gestita da uno studente di 22 anni di Hong Kong, che contava più di 30mila contatti. Lo scorso 12 giugno agenti delle forze dell’ordine hanno fatto irruzione nel suo appartamento.
Portato in caserma, con l’accusa di cospirazione contro l’ordine pubblico, al ragazzo è stato intimato di sbloccare il proprio telefono e consegnare le conversazioni contenute nella chat privata. A questo fatto si sommano anche i continui tentativi di oscuramento e sabotaggio della stessa app da parte di alcuni hacker. Secondo Pavel Durov – fondatore e sviluppatore di Telegram – dietro questi attacchi ci sarebbe la Cina. Per far fronte a questa situazione i manifestanti hanno adottato una serie di accortezze e comportamenti che rendessero la loro rintracciabilità sempre più difficile.
Utilizzare sim monouso, conversare solo su chat temporanee gestite da più provider, cancellare tutte la app cinesi dal telefono e mai adoperare la carta di credito nei giorni delle manifestazioni. Quale sarà l’esito di questa ondata di protesta non è ancora dato sapere, ciò che è certo però è che a Hong Kong la partita si gioca su livelli mai visti prima d’ora.
Di Alessandro Gorini
[Pubblicato su il manifesto]