Ci si muove su vecchi traghetti, lenti, traballanti, in parte arrugginiti, popolati da assonnati pendolari, mamme con bambini ululanti e vecchi lupi di mare a riposo. Una menzione particolare meritano i marinai che lavorano su questi traghetti: nessuno di loro è giovane, quasi tutti hanno i capelli grigi, in genere corti; indossano divise blu scuro, non molto diverse da quelle degli ammutinati del Bounty.
La loro principale funzione è quella di alzare e abbassare le porte dei traghetti per far salire e scendere i passeggeri ma quando riparano le spesse corde che usano per ormeggiare i barconi dimostrano una perizia da navigatori dei sette mari: dei lupi di mare anche loro, non ancora a riposo.
La Interislands line, che collega tra loro le isole minori della Speciale Regione Amministrativa di Hong Kong non ha niente a che vedere con le speed boat che portano a tutta velocità gli espatriati nelle plasticose enclave di Discovery Bay o di Lamma, fatte a loro immagine e somiglianza con i ristoranti vegani, i caffè eleganti, gli studi di yoga e – per i ragazzi – gli immancabili MacDonald e Submarine. Il viaggio è particolarmente affascinante di notte, quando il cielo e il mare sono neri e le scie lasciate dai motori dei traghetti scintillano nel buio. «Un vero viaggio alla Sandokan», ha commentato un amico in visita. Abitata da 20mila persone che vivono di pesca e soprattutto di turismo, Cheung Chau è la Rimini degli hongkonghesi ed il punto di partenza per il giro delle outer islands. Formata da due colline unite da una striscia di terra larga poche decine di metri, l’isola ha molti volti.
L’attrazione irresistibile che esercita sui locali si spiega con le due spiagge e con la striscia che unisce le due colline, piena di negozi che vendono cianfrusaglie assortite, ristoranti e banchetti che offrono pesce fresco e – soprattutto – le fish balls, il cibo di strada inspiegabilmente popolare dato che queste polpettine di pesce non hanno praticamente sapore a parte quello che gli viene dato dalle salsette con le quali vengono servite, alcune delle quali notevoli (se non vi mandano a fuoco la bocca, cosa che può succedere).
Per raggiungerla da Hong Kong island ci vuole mezz’ora con i traghetti veloci, quasi un’ora con quelli lenti – ma gli hongkonghesi non se ne preoccupano, e la passano mangiando le suddette fish balls o altre schifezze tipo gli instant noodles che si comprano a prezzi ragionevoli in tutti i piers di Hong Kong Central, i moli dai quali partono i traghetti.
Oltre alle spiagge e ai ristoranti, a Cheung Chau c’è la cava del pirata Po Tsai, che ai tempi dell’ Impero cinese comandava – secondo la leggenda – duemila tagliagole che terrorizzavano tutto il Mar della Cina. È un buco su una scogliera che si raggiunge attraverso uno dei magnifici boschi semitropicali dell’isola. Sono boschi abitati soprattutto da uccelli – i nibbi, una specie di aquile marine che volano altissime prima di planare sul mare, e migliaia di altri più piccoli che vi assordando costantemente con i loro canti -, da minuscoli rospi che nella stagione degli amori lanciano richiami che ricordano i muggiti dei bovini e da qualche serpente tra cui – assicurano gli animalisti – una specie locale di cobra.
Spesso, i boschi si aprono su dei panorami mozzafiato: il mare, le navi, un isolato surfista, e in lontananza le sagome di Hong Kong e di Kowloon. D’altra parte della stessa collina, quella che si trova nel sud dell’isola, si domina la spiaggia di Kwan Yum, che poi sarebbe Gwan Yin, una manifestazione di Avalokistevara, che poi sarebbe il Buddha. Kwan Yum è la più piccola – e quella più bella – delle due spiagge e si trova subito sotto a un tempio, uno dei tanti dell’isola. Sono tutti piacevoli – piccoli, vecchi, spesso arroccati sugli scogli.
Il più antico è quello dedicato a Pak Tai, il Misterioso Supremo Imperatore del Cielo della tradizione taoista, vincitore del Re dei Demoni in una delle tante battaglie mitologiche tra Bene e Male. Sulla piazza davanti al tempio, in maggio, si svolge una pazzesca festa per il compleanno del Buddha. Una saga paesana che porta la popolazione dell’ isola a triplicarsi. Il clou si raggiunge a mezzanotte quando una dozzina di giovani dei due sessi – i campioni che hanno superato tutte le selezioni – si arrampicano su una piramide di bun, una specie di ravioli cinesi.
Sono dei pezzi di mollica di pane ripieni di pasta di sesamo, fagioli dolci e loto che non sanno assolutamente di niente e vanno a ruba, proprio come le fish balls. In precedenza, per tutto il giorno l’isola è stata attraversata dalle processioni di finti draghi, sbandieratori, esperti di kungfu e improbabili tamburini, organizzate dai vari quartieri e dalle scuole di arti marziali. Nei giorni normali decine di turisti e di locali passeggiano lungo il porto di Cheung Chau, che dal pier del ferry arriva alla zona chiamata Sai Wan – passaggio obbligatorio per raggiungere la cava dei pirati. All’imbruire, si accendono le luci sulle colline e sulle barche ancorate nel porto.
Può capitare di incontrare degli scoppiati di varie età e nazionalità che arrangiano una jam session musicale, in genere davanti al Pink Pig, un minuscolo bar gestito da una simpatica coppia di giovani locali. Una fauna simile a quella che si incontra a Peng Chau, altra tappa obbligata dell’Interislands Magical Tour. Molto più piccola di Cheng Chau che a sua volta è molto più piccola delle altre isole come Lantau, Lamma e Hong Kong, Peng Chau si può girare da un capo all’ altro in un paio d’ore. C’è un piccolo e antico tempio di Tin Hau – la Dea protettrice dei marinai e dei pescatori, popolarissima in tutta la Cina meridionale – frequentato dai pochi turisti, qualche vecchietta locale e un buon numero di cani randagi che non sono aggressivi, perché i locali li rimpinzano di cibo in continuazione. Prima di ripartire per le altre tappe – due enclave sull’isola di Lantau – è piacevole mangiare un boccone in uno dei numerosi ristoranti thailadesi che sorgono sul lungomare.
Sia Cheng Chau che Peng Chau sembrano dei vecchi quartieri di Hong Kong. Sono abitate e frequentate da gente semplice e da turisti soprattutto hongkonghesi: coppie di giovani, famiglie con bambini, studenti in gita, qualche backpacker occidentale; ci sono anche gli immancabili mainlanders ma sono diversi da quelli che affollano i negozi di lusso di Kowloon; a Cheung Chau vivono persone come Violet (che viene dal Guangdong) e le sue ragazze, che per una manciata di Hong Kong dollars fanno i migliori – o quasi – foot massage della Cina meridionale.
Non ci sono grattacieli, negozi di Prada, veri o presunti businessmen con le loro giacchette corte, scarpe lunghe e pantaloni alla caviglia che infestano Central e Tsim Shai Tsui. Le outer islands sono un mondo che si muove al rallentatore e che è lontano anni luce dallo sterotipo caro agli occidentali (e ai governanti di Pechino), di una Hong Kong supermoderna e unidimensionale, ossessionata dal business e in perenne adorazione del dio Dollaro.
Di Beniamino Natale*
**Si occupa di Asia dalla fine degli anni Settanta, quando ha iniziato la sua carriera di giornalista e autore. Dal 1992 al 2002 è stato corrispondente dell’ ANSA da New Delhi. In questo periodo ha stretto un’amicizia con Tiziano Terzani, col quale ha condiviso una serie di importanti esperienze professionali e umane, tra cui la copertura della guerra in Afghanistan del 2001. Negli anni seguenti si è spostato a Pechino, sempre come corrispondente della principale agenzia d’informazione italiana.
[Pubblicato su il manifesto]