Il fisico Marco Casolino, in apertura del suo volume Come sopravvivere alle radioattività, fa alcune precisazioni per sfatare i miti circolati tra un’opinione pubblica in preda al panico nucleare. China Files, che le ha trovate molto utili, ve le ripropone (per gentile concessione della Cooper edizioni).
Prima di addentrarmi nei territori più scientifici legati alla radiazione, vorrei innanzitutto sgombrare il campo da possibili equivoci intorno alla situazione attuale di Fukushima e permettere un’adeguata comprensione degli argomenti trattati.
Non c’è stata un’esplosione nucleare.
I reattori delle centrali nucleari non sono in grado di esplodere come le bombe atomiche, dato che la densità di materiale è troppo bassa. Nei quattro edifici della centrale è esploso l’idrogeno formatosi a causa delle alte temperature.
Non c’è stata fusione nucleare.
Le centrali nucleari sono a fissione, ossia rompono i nuclei di atomi grandi in nuclei più piccoli; soltanto il nostro sole e le altre stelle producono energia con la fusione nucleare, ossia aggregando nuclei di atomi leggeri per produrne di più pesanti. Se potessimo ottenere la fusione nucleare in una centrale avremmo risolto (quasi) tutti i problemi energetici del pianeta in quanto avremmo a disposizione grandi quantità di energia pulita.
Fukushima non è come Chernobyl e meno che mai come Hiroshima e Nagasaki.
Nella centrale ucraina ci fu un’esplosione che spaccò il guscio del reattore e distrusse l’edificio, spargendo radioattività per mezza Europa. A Fukushima i reattori sono relativamente intatti e la quantità materiale radioattivo disperso è minore di quello della centrale ucraina. Paragonare la detonazione delle bombe nucleari sulle città giapponesi all’esplosione di Fukushima è come paragonare il piombo di un proiettile sparato da una pistola con quello sparso nell’aria delle città inquinate.
Chi è stato esposto a radiazioni anche intense non diventa radioattivo e tanto meno “contagioso”.
Una volta effettuata la procedura di decontaminazione, che consiste in una doccia molto accurata e nella distruzione dei vestiti, le persone esposte a Fukushima emanano la stessa radioattività di quelle non esposte. Che è piccola ma non è zero.
Non esiste un vento radioattivo.
Probabilmente l’unico vento radioattivo nel raggio di milioni di chilometri è quello di origine solare. Infatti il sole emette continuamente un plasma ionizzato di bassa energia che si propaga in tutto lo spazio interplanetario e – nei giorni di particolare attività – è causa delle aurore polari.
Le particelle di materiale radioattivo vengono diffuse dalle correnti e dal vento come il polline. Il materiale radioattivo è pericoloso, soprattutto se la pioggia lo fa accumulare al suolo, ma a distanze oltre i 50 chilometri – stando ai rilevamenti sino ad ora praticati – è completamente innocuo.
Le mascherine che indossano gli abitanti di Tokyo non servono per la radioattività, ma per proteggersi dai batteri e dal polline.
In Giappone è uso comune andare in giro protetti da una maschera facciale sia per non essere contagiati da eventuali germi ma soprattutto per non infettare gli altri quando si è malati. Peraltro le mascherine offrono una protezione minima o nulla dalla radiazione, per la quale sono necessarie maschere stile Prima guerra mondiale con filtri e protezioni ben più consistenti.
Non ci sono kamikaze tra i lavoratori a Fukushima.
I giapponesi non usano mai il termine kamikaze (letteralmente "vento divino"), non lo usavano neanche al tempo della Seconda guerra mondiale, quando la designazione era tokko, "attacco speciale".
I lavoratori della centrale (che comunque temono seriamente per la loro vita) sono stati esposti a dosi elevate, qualche centinaio di milliSievert circa, che però non li pongono in pericolo immediato di vita, pur esponendoli al rischio di patologie nei decenni a venire.
Ai più esposti sono state praticate terapie specifiche per ridurre i danni da radiazione, per cui si può sperare che non manifesteranno tumori o altri effetti negativi nei prossimi anni: ma non c’è la certezza né in un senso né nell’altro.
La notizia che sei persone dell’esercito giapponese sono morte a causa dell’esplosione di uno dei reattori è priva di fondamento.
Non c’è stato panico nei negozi o accaparramento di cibo.
Anche se i supermercati hanno in vendita meno prodotti del solito, i giapponesi hanno rispettato le raccomandazioni del governo che invitavano a non comprare più cibo del necessario. In questa maniera è stato possibile rifornire le zone colpite dallo tsunami e dalla radiazione di tutti i medicinali e del cibo necessario.
Anche nei giorni in cui l’acqua di Tokyo aveva una radioattività superiore alla soglia di sicurezza per i bambini, non sono mancate acqua e bibite in bottiglia. I pochi che compravano grandi quantità d’acqua o cibo sono stati considerati con disprezzo.
La quantità di materiale radioattivo giunta in Italia a causa dei venti da Fukushima è infinitesimale e a malapena misurabile.
La fonte di radiazione più elevata è nelle nostre cantine, sotto forma di radon, un gas radioattivo che penetra dal terreno.
Per i fumatori la fonte maggiore di radiazione proviene dal polonio contenuto nelle sigarette.
Per chi viaggia in aereo o nello spazio la dose più alta proviene invece dalla radiazione cosmica che permea tutta la galassia e il nostro sistema solare.
In volo verso Tokyo si è soggetti a una dose venti volte pù alta che nella capitale giapponese.
*Marco Casolino è un fisico, ricercatore dell’INFN e dell’Istituto Riken di Tokyo. Il libro Come sopravvivere alla radioattività è stato pubblicato da Cooper editore nel maggio 2011.