A tre anni dall’incidente alla centrale nucleare di Fukushima, il Giappone cerca di tornare alla normalità. La strada è però tutta in salita. E in molti casi accompagnata da un’informazione parziale e non accurata. Proviamo qui a fare il punto. E a sfatare alcuni miti riguardo all’impatto dell’incidente sulla natura e sull’uomo. Nei tre anni trascorsi dallo tsunami e dall’incidente alla centrale nucleare di Fukushima-1, il nord-est del Giappone ha cercato di tornare alla normalità. La ricostruzione e bonifica delle aree distrutte dal maremoto è proseguita velocemente, così come i lavori di messa in sicurezza della martoriata centrale.
Leggi e norme di sicurezza sono state aggiornate, ad esempio innalzando l’altezza minima delle barriere anti tsunami; inoltre è stata creata la Nra (Nuclear regulation authority) che dovrebbe avere un maggior peso nei confronti della potente lobby nucleare.
Tuttavia, a differenza dell’industria aerospaziale, dove ogni malfunzionamento, da un bullone allentato ai disastri degli Space shuttle Challenger e Columbia, è stato sfruttato per migliorare norme di sicurezza e pratiche manageriali, non sembra che il governo giapponese abbia una reale intenzione di controllare realmente la gestione del nucleare privato. Le revisioni fatte finora sembrano essere solo di facciata.
Messa in sicurezza: le orecchie da mercante di Tepco
Infatti, in passato gli esempi virtuosi si devono ad iniziative indipendenti e non a regolamenti governativi: la centrale di Onagawa, gestita dalla Tohoku Electric Company, seppur più vicina all’epicentro del terremoto, non ha riportato alcun danno.
Il merito è da attribuirsi a Yanosuke Hirai, classe 1902. L’ingegnere e vicepresidente della Tohoku, deceduto nel 1986, riteneva che le disposizioni di legge fossero inadeguate ed insufficienti a proteggere completamente la “sua” centrale. Fece quindi installare una barriera frangiflutti di 14 metri ed una serie di sistemi di sicurezza che hanno consentito che la centrale non fosse minimamente danneggiata dal sisma e dallo tsunami del 2011.
D’altro canto la Tepco ignorò volutamente i rapporti archeologici che avvertivano che la zona di Fukushima era stata colpita nell’869 d.C. da un maremoto della stessa intensità di quello del 2011.
L’opera di messa in sicurezza prosegue, con la ricostruzione degli edifici esterni e la rimozione delle barre di combustibile (il 20 per cento) dalla piscina del reattore 4.
Roma più radioattiva di Tokyo
Nonostante le grida di profeti di apocalissi nucleari, la radiazione ambientale presente a Tokyo è circa la metà di quella di Roma (0.3microSv/ora o 2.6mSv/anno): la nostra capitale infatti ha un suolo vulcanico le cui rocce tufacee sono ricche di materiali radioattivi come il torio ed il radon.
Fuori della zona di esclusione, la regione di Fukushima non presenta alcun pericolo: una recente valutazione dell’università di Kyoto stima un incremento di radiazione pari a circa 1 mSv/anno – pari al fondo di Roma – nei distretti di Tamano e Haramachi, esterni ma in prossimità della zona di esclusione di Fukushima.
Il rischio aggiuntivo di tumori è stato stimato intorno all’ 1 per cento, inoltre uno screening più accurato della popolazione della zona comporterà una più rapida rivelazione di tumori.
Gli hotspot, vicino a ruscelli o grondaie, dove il fluire delle acqua ha concentrato il cesio della centrale sono comunque evidenti: in queste sia pur ristrette zone la radiazione può aumentare anche di un fattore 100 o 1000.
Più radioattività nelle sigarette
In ogni caso il cibo prodotto nella regione di Fukushima rispetta le restrittive norme giapponesi: dai 500 Bq/kg (ossia un massimo di 500 decadimenti al secondo in un kg di cibo) ammessi prima dell’incidente, si è passati a100 Bq/kq nell’aprile 2012.
Se confrontato con prodotti come le banane (che contengono 125 Bq/kg di potassio 40) o le noci del brasile (600 Bq/kg) questo valore risulta inutilmente severo. Infatti abbassare le soglie della radiazione senza un reale riscontro medico e biologico comporta dei costi sociali enormi senza che nessuno ne derivi alcun beneficio. Infatti, per misurare quantità così piccole di radioattività sono necessari test e strumenti più sensibili, con aggravi di costi, tempo e scarto di maggiori quantità di cibo non pericoloso per la salute.
Ciononostante, per quanto sicuri, i prodotti di Fukushima sono comunque evitati dalla maggior parte dei consumatori che non si fidano delle misure seppur indipendenti di coop e produttori, con conseguenti danni irreparabili all’economia della zona e suicidi tra gli agricoltori che non possono vendere i propri prodotti e vedono vanificati gli sforzi di un’intera vita.
Paradossalmente, la fonte maggiore di sostanze radioattive cui l’uomo è esposto è quella presente nel tabacco. Infatti sigari e sigarette contengono polonio 210, lo stesso isotopo utilizzato – seppur in quantità enormemente maggiori – per uccidere il dissidente russo Alexander Litvinenko nel 2006.
Le stime citate in letteratura scientifica variano, ma fumando due pacchetti di sigarette al giorno si è esposti a circa 100mSv/anno. Come conseguenza è stato stimato che ogni anno in Europa un decimo dei decessi per tumore polmonare, circa 20mila casi, siano dovuti all’esposizione al polonio nel tabacco.
Perdite nell’oceano
Le continue perdite delle centinaia di cisterne di stoccaggio d’acqua – peraltro spesso taciute o rivelate tardivamente dalla Tepco – mostrano come la NRA sia ancora incapace di far sentire la propria voce nelle operazioni di messa in sicurezza della centrale. Inoltre i continui versamenti rendono impossibile tornare a pescare nel tratto di mare prospiciente la regione di Fukushima.
D’altro canto la radioattività diffusa nelle vastità dell’oceano Pacifico non comporta alcun pericolo per le forme di vita che le abitano e per l’uomo che se ne ciba.
Infatti gli oceani contengono già isotopi radioattivi come il carbonio 14 o il potassio 40 in quantità circa un miliardo superiori a quanto versato sino ad ora dalla centrale di Fukushima. In quanto a contaminazione nucleare, inoltre, va ricordato che vi sono almeno sei sottomarini nucleari – due statunitensi e quattro sovietici – affondati nei mari del nord Europa.
Morti per le radiazioni o per trascuratezza?
Nessuno ha perso la vita a causa delle radiazioni emesse dalla centrale di Fukushima. Tuttavia le stime governative pongono a circa 1600 i decessi attribuibili all’incidente ed alla carente gestione dell’emergenza sia nei giorni delle esplosioni che nei mesi successivi. Le prime due vittime furono due dipendenti della centrale, spazzati via dall’onda più alta dello tsunami mentre verificavano lo stato dei generatori di emergenza dopo che i primi flutti si erano abbattuti sulle barriere frangiflutti della centrale.
Vi è poi il direttore della centrale, Masao Yoshida, le cui coraggiose decisioni in disaccordo con i suoi superiori della Tepco e con il governo hanno scongiurato danni ben più gravi alla centrale.
Yoshida è morto nel 2013 di tumore all’esofago: anche se tempi e modalità della malattia sono incompatibili con danni da radiazioni, è plausibile che le condizioni dell’eroico direttore si siano aggravate perché ha trascurato di curarsi nelle settimane in cui tentava di mettere in sicurezza la centrale.
Vi sono poi decine di anziani in case di riposo e pazienti di ospedali deceduti a seguito della forzata, fortunosa e spesso inutile – data l’età dei soggetti in relazione alla radiazione presente – evacuazione. Da ultimo i suicidi tra chi è stato costretto ad abbandonare le proprie case, ha perso il lavoro sia per la contaminazione diretta che per la mancanza di mercato per i prodotti della martoriata regione.
L’alternativa che non si trova
Prima dell’incidente di Fukushima, un terzo del fabbisogno energetico del Giappone era coperto dal nucleare. Con tutti i 48 reattori commerciali in stato di spegnimento è stato necessario aumentare le importazioni di gas liquido, con ulteriore aggravio di una bilancia commerciale già messa in crisi dalla svalutazione dello yen voluta dall’attuale governo.
Abe ha quindi dichiarato di voler procedere alla riattivazione delle centrali che hanno passato i test di verifica: come le recenti elezioni hanno mostrato, il tema del nucleare non è decisivo, o quanto meno passa in secondo piano rispetto alla politica nazionalista e revisionista dell’attuale governo.
Inoltre i piani di produzione di energie alternative sono rallentati da dispute su chi debba assumersi l’onere della realizzazione degli elettrodotti che li colleghino alla rete nazionale.
Al momento sembra che la Tepco quindi abbia compiuto il delitto perfetto: nessuno sarà processato per negligenza in quanto gli impianti erano formalmente a norma; i costi dei rimborsi, centellinati agli sfollati, sono coperti – previa a compilazione di decine di moduli – dall’incremento del 7 per cento delle bollette elettriche; nulla si sta facendo perché incidenti del genere non si possano ripetere in futuro.
[Foto credits: rt.com]
*Marco Casolino – fisico, è primo ricercatore presso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, insegna “raggi cosmici e strumenti spaziali” all’Università di Roma Tor Vergata e lavora nei laboratori giapponesi del Riken. Si occupa di fisica fondamentale (materia, antimateria e ricerca di materia oscura), di fisica delle astroparticelle di alta energia e di metodi di protezione degli astronauti dalla radiazione spaziale. Nel 2011 ha pubblicato un saggio “Come Sopravvivere alla Radioattività” e un romanzo ambientato in Giappone:”Grikon”. Cura un blog su temi scientifici: La curva dell’energia di legame.