L’Indonesia è seconda solo alla Nigeria per il tasso di deforestazione, e questo è direttamente collegato all’emissione di gas serra. E oggi sta diventando una sorta di lavanderia verde dell’intero pianeta. Ma i risultati non sono sempre i migliori.
L’Indonesia è seconda soltanto alla Nigeria per il più alto tasso di deforestazione al mondo. È quanto emerge da uno studio della Maplecroft, società di analisi delle situazioni ambientali e sociali nel pianeta.
La ricerca che prende in esame 180 Paesi è stata pubblicata alla vigilia della conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà dal 28 novembre al 9 dicembre a Durban, in Sud Africa.
Ogni anno spariscono circa un milione di ettari; o sarebbe meglio dire vanno in fumo, per fare spazio alle coltivazioni legate alla produzione di olio di palma, che copre circa il 16 per cento delle aree verdi distrutte.
"La deforestazione ostacola la riduzione di anidride carbonica (CO2). Le foreste svolgono un ruolo fondamentale nel mitigare il cambiamento climatico globale attraverso l’assorbimento del carbonio", ha sottolineato Arianna Granziera, analista di Maplecroft.
Le colonne di fumo sono diventate una costante nel cielo della capitale Giacarta. Si alzano dai roghi illegali in spregio alla moratoria di due anni per bloccare nuove licenze per lo sfruttamento di foreste primarie e torbiere, e nonostante il sistema di controllo satellitare allestito dal governo per scovare i trasgressori.
L’Indonesia è il terzo paese al mondo, dopo Cina e Stati Uniti per emissione di gas serra. Un podio al quale più delle ciminiere contribuisce la deforestazione.
Lo scorso settembre il presidente Susilo Bambang Yudhoyono lanciava l’allarme: se a livello globale influisce per il 20 per cento all’emissione di gas serra, in Indonesia la distruzione delle foreste conta per l’85 per cento.
“Dedicherò gli ultimi tre anni del mio mandato a proteggere e valorizzare l’ambiente”, ha detto alla platea del Center for International Forestry Research. In privato, ha riferito l’Asia Sentinel, il capo di Stato si è dimostrato meno ottimista, lamentando la scarsa collaborazione dei propri ministri e di altri politici.
Secondo un’inchiesta dell’Indonesia Corruption Watch, il giro d’affari per lo sfruttamento delle foreste genera in tangenti l’equivalente di 2,3 miliardi di dollari l’anno. Un fenomeno che, per l’agenzia Reuters, mette in pericolo il programma di mercato delle emissioni.
Uno dei casi più eclatanti di corruzione ha toccato Wandojo Siswanto, capo negoziatore indonesiano alla Conferenza sui cambiamenti climatici di Copenaghen nel 2009 e architetto del programma Redd, acronimo per Riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado. Fu arrestato a dicembre del 2010 e condannato a tre anni per aver ricevuto tangenti per aver pilotato l’assegnazione di alcune commesse ministeriali.
Il progetto Redd va comunque avanti: l’obiettivo è favorire con incentivi la difesa delle foreste.
Nell’abito del programma la Norvegia finanzierà l’Indonesia con un miliardo di euro e più di recente anche l’Australia ha puntato sull’acquisizione di crediti di emissioni di Giacarta.
Il meccanismo, che i detrattori paragono a una sorta di “lavanderia verde”, ha alcuni punti deboli. Salvare un tratto di foresta non tutela altre aree nello stesso paese o all’estero, dunque se alcune zone sono protette con successo, in altre la deforestazione aumenta. Inoltre la riduzione delle emissioni, e le indennità, sono calcolate in base alla differenza tra lo scenario di base scelto e le emissioni effettive della foresta. Pertanto occorre sviluppare scenari di base realistici e accettati su larga scala.
Un’adeguata gestione del programma è comunque quanto auspicato dalla sezione indonesiana del Wwf, "Lo sviluppo di infrastrutture e adeguati metodi amministrativi a livello nazionale è necessario per trovare un accordo internazionale”, è la posizione dell’organizzazione ambientalista.
Per Louis Verchot, ricercatore del Center for International Forestry Research:“A Durban vorremmo vedere un’intesa riguardo i finanziamenti su cui governi e comunità potranno fare affidamento per la sostenibilità di un meccanismo che non è soltanto un progetto quinquennale, ma una componente a lungo termine della lotta contro i cambiamenti climatici”.
[L’immagine di copertina è un’infografica del Guardian datata 31 gennaio 2011]