Spartiti rossi – Musica immorale: alle radici del pop cinese

In Cina, Cultura, Spartiti Rossi by Redazione

Chi mastica un po’ di lingua cinese ha chiaro che esiste un chengyu 成语 (frase idiomatica) adatto a qualsiasi concetto si voglia esprimere. Per l’argomento di cui parleremo, ne esiste uno che affonda le proprie radici nelle prime dinastie cinesi, ma che è anche un diretto precursore della storia culturale post-dinastica: si tratta di靡靡之音 (mímí zhī yīn), un chengyu che indica un tipo di musica tanto sentimentale, quanto decadente e immorale. Questi quattro caratteri sono apparsi per la prima volta alla fine del periodo degli Stati Combattenti (V-III sec. a.C.) e raccontano come, già dal XII secolo a.C. con la dinastia Zhou, si usasse dividere la musica in morale, in quanto poteva aiutare un re a governare il paese con prosperità, e immorale, che poteve rendere debole la volontà del sovrano e rovinare la nazione.
Immagino che ciò suoni piuttosto familiare.

Ma facciamo un salto in avanti.

La Cina dei primi del Novecento stava subendo una trasformazione radicale. Il burrascoso addio all’immobilismo dinastico e la presenza di una quantità cospicua di stranieri nelle grandi città erano il terreno fertile per la nascita di un nuovo linguaggio musicale, qualcosa che unisse la musica popolare cinese, figlia delle successioni dinastiche, allo stile occidentale.

Volendo usare un’iperbole, si stava per mescolare l’opera cinese al jazz. Shanghai, grazie alla concessione internazionale degli anni 20 del secolo scorso, fu l’epicentro di questa trasformazione: viva, pulsante e multiculturale al pari di altre città europee. In quel periodo, Shanghai ospitava nel suo ballroom di punta, il Canidrome, stelle della musica internazionale del calibro di Buck Clayton, tra i più influenti artisti americani a esibirsi in Cina in quegli anni.

Per passare dal Huangpu ad Harlem bastava varcare una soglia.

Ad unire i due mondi in maniera definitiva fu黎锦晖(Lí Jǐnhuī), tra le figure più importanti e controverse della musica cinese. Un pioniere, per sua fortuna e suo malgrado. Considerato il fondatore dello 时代曲 (shídàiqǔ), tradotto come “musica del tempo” e per estensione anche della musica popolare cinese, fu il primo artista la cui musica fu bollata come yellow music, ovvero corrotta. All’ascolto del brano 毛毛雨(Máomaoyǔ) – da lui composto ma cantato da sua figlia Li Minghui – si percepisce il perché si individui la genesi del C-pop: una canzone in cui un’orchestra in stile jazz americano sorregge un cantato strettamente legato a caratteristiche operistiche cinesi.


Il successo di Li Jinhui ha rotto tabù (per esempio, pensiamo alla comparsa di performer femminili) e confini geografici, espandendosi in tutto il sud est della Cina, ma anche instaurando un legame indissolubile con il cinema progressista degli anni ‘30. Estremamente famose erano le attrici/cantanti dette “le sette grandi stelle del canto” (七大歌星qī dà gēxīng)


Perché allora Li fu bersaglio di critiche? La prima cosa interessante da considerare è che fu additato tanto dai nazionalisti del Guomindang, quanto dal Partito Comunista (immaginate sullo sfondo la violenta guerra sino-giapponese).

Le ragioni sono molteplici. Su un piano pratico, non è stata accolta positivamente la scelta di abbandonare la scrittura musicale pentagrammatica usata in Cina a favore di quella occidentale numerica, con strumenti come il piano che ha sostituito i tradizionali erhu e guqin.

Su un piano maggiormente sociale e filosofico, invece, cominciava a cambiare la figura del musicista. Da semplice intrattenitore o intellettuale, membro di una classe economica non abbiente, andava configurandosi il primissimo esempio di pop-star che, nonostante non avesse una formazione, godeva di seguito, ammirazione e ricchezza. Questa macchina, che cominciava a diventare economica, si scontrava con questioni etiche e morali: le prime più legate alla professione, e le seconde connesse a imposizioni politiche.

Il Partito comunista, proseguendo nell’idea del 靡靡之音(mímí zhī yīn), mutua un termine già in uso nella decade 20-30 del Novecento proveniente dalla “stampa gialla” americana: Yellow music 黄色音音乐 (huángsè yīnyuè) o Yellow songs 黄色歌曲(huángsè gēqǔ), un’espressione utilizzata per bollare il C-pop come corrotto, pornografico – giallo in Cina è anche il nostro equivalente di “a luci rosse”- e controrivoluzionario.

Lo 时代曲 (shídàiqǔ) e  黎锦晖(Lí Jǐnhuī) non avevano scampo. Lo stile musicale e il suo massimo esponente erano considerati troppo poco nazionalisti, eccessivamente aperti al moderno, riflesso di una borghesia marcia, corruttori dei valori rivoluzionari, licenziosi, molli, pretenziosi, erotici ed espliciti.
Tradotto: nessuno provi a diventare una pop-star (ante litteram, si capisce) e nessuno provi a sconfessare l’ideologia dominante, cantando d’amore o sentimenti.

Sarà poi il partito a creare le proprie stelle a immagine e somiglianza del Grande Timoniere, mentre altre stelle voleranno ad Hong Kong (e di queste poi parleremo).

Saltiamo al 2020.

Lo scorso ottobre, a un secolo dall’indice della Yellow music, sulle piattaforme streaming Yiqiyi e Bilibili andavano in onda rispettivamente le consuete edizioni di Rap of China e Rap for youth. Il primo talent, sebbene più famoso, ha subito spesso critiche per la sua natura sicura, prevedibile e allineata; il secondo show, invece, è stato apprezzato per essersi rivelato più urban e meno azzimato. La finale di Rap for youth si è conclusa con una polemica: durante l’ultima serata dello show, la partecipante Chen Jinnan ha pubblicato un post su Weibo con cui, in maniera arguta (il primo carattere di ogni riga del post formava un messaggio in codice), ha criticato la scelta della NRTA (National radio and television administration) di tagliare un brano del collega Sheng Dai nei punti in cui parlava di molestie sessuali sul lavoro e del conseguente stigma nei confronti delle vittime.

Questo il messaggio: 晚上总决赛圣代被剪广电过不了审 (Wǎnshàng zǒng juésài shèng dài bèi jiǎn guǎngdiànguò bu le shěn) “nella finale di stasera, Sheng Dai è stato tagliato dalla NRTA (che) non approvava”.

Nuovi media, nuovi linguaggi ma stessi vecchi sistemi. Chissà se la Cina moderna sarà capace di affrontare i cambiamenti richiesti dai rapidi mutamenti dello scacchiere internazionale.

Di Stefano Capolongo*

*Gestisce su Instagram la pagina cinesedabao, in cui racconta la musica cinese e quello che succede oggi in Cina attraverso i caratteri e i loro mutamenti