Tutte le fonti più o meno accreditate che parlano di rock ‘n’ roll in Cina datano la sua genesi intorno alla prima metà degli anni Ottanta. Come per moltissime altre istanze di natura culturale, lo spartiacque fondamentale furono le 改革开放 gaige kaifang, le riforme di apertura promosse da Deng Xiaoping nel 1978: prima di questa data, l’unica musica che i cittadini cinesi potevano ascoltare era la 通俗音乐 tongsu yinyue. In altre parole la cosiddetta “music for the masses”, innocua e sovente filodiffusa nelle città, precursore di quello che poi sarebbe stato il pop (流行 liuxing). Qualche suono nuovo dall’occidente (passando sempre per Taiwan ed Hong Kong) aveva cominciato a insinuarsi nelle maglie della politica denghiana grazie anche all’avvento di nuove tecnologie, sia a livello di strumentazione musicale sia a livello di supporti per la riproduzione.
Tra tutti, Cui Jian 崔健 (o Lao Cui) aveva formato nel 1984 la 七合板 qiheban o Seven Player Band con altri sei musicisti di formazione classica. Le influenze spaziavano all’interno degli ambienti folk, sia per provenienza di suoni esteri sia per la vicinanza alla musica tradizionale cinese. Tra i grandi meriti di Cui Jian c’è infatti quello di aver unito il genere popolare 西北风 xibeifeng (Northwest wind), che possedeva già una forma di canzone moderna, a un calderone fatto di riferimenti americani e inglesi come Simon&Garfunkel, Buffalo Springfield, Cat Stevens, George Harrison e, ovviamente, Beatles e Rolling Stones.
Tutto quello che questi musicisti avevano in mano erano una manciata di registrazioni ottenute in maniera semi-clandestina e cronologicamente sconnesse. Ad esempio, ex-abrupto nel pieno degli anni Ottanta, una cover di Scarborough Fair di Simon&Garfunkel del 1966.
Il rock (摇滚 yaogun) in Cina, seppur in ritardo, rocambolesco, sghembo e controllato a vista, poteva dirsi nato. E Cui Jian era (ed è ancora considerato tale) il suo padre naturale.
Ma è del tutto corretto attribuire ogni merito al vecchio Cui? In larga parte sì, ma esiste anche una storia che lega il rock cinese a Lin Biao, uno dei fedelissimi di Mao.
Il fil rouge, sottile ma significativo, ha il nome di suo figlio Lin Liguo. Nato nel 1945 e morto nel 1971 con il padre e gli altri componenti della famiglia nel misterioso incidente aereo, seguito al fallito colpo di stato ai danni di Mao (il progetto 571), era soprannominato “la tigre”. La leggenda vuole che nel 1970 Cui Jian abbia incontrato Lin Liguo in un compound dell’aeronautica (in quell’anno Lin era già vicedirettore delle forze aeree cinesi mentre il padre di Cui suonava nella band dell’aeronautica). Nella situazione specifica Lin avrebbe, chitarra alla mano, suonato e cantato Let it be dei Beatles, mentre un giovanissimo Cui lo ascoltava a pochi centimetri di distanza. L’evento, narrato nel volume del 2004 “La narrazione dei ribelli nella Cina contemporanea” (流氓的盛宴——当代中国的流氓叙事), spiegherebbe anche il perché della scelta da parte di Cui Jian di indossare una uniforme militare nelle sue prime esibizioni dal vivo. Una suggestione d’infanzia, un ricordo tanto vivo da dare vita ad un intero movimento culturale. Tutto molto romantico ma forse poco realistico.
Sorge spontaneo infatti chiedersi come il figlio di Lin Biao (e vice numero uno delle forze aeree) potesse vivere in un normale compound di Pechino con altri militari semplici e come, all’alba di un tentato colpo di stato che lo avrebbe visto tra gli organizzatori, Lin Liguo potesse trascorrere il suo tempo chitarra in spalla cantando i Fab Four. Difficile da dire.
Alcune cose però restano inconfutabili. Come riferito dalla moglie Zhang Ning, Lin era un fan dei quattro di Liverpool e, a differenza del resto del paese, già negli anni sessanta poteva avere accesso, data la sua posizione, a tutto ciò che era vietato: non solo poteva ascoltare la gialla e sconveniente musica rock proveniente da paesi rivali, ma anche sfogliare le pagine di libri di poesia occidentali, giunti dalla Yunnan attraverso un carico di funghi aerotrasportato, oppure aveva la possibilità di abbandonare l’abbigliamento maoista e vedere i model show in TV. In definitiva, se anche tutta la narrazione suggestiva che ruota intorno alla “tigre” fosse più frutto di una creazione ad arte che di realtà (Cui Jian ha effettivamente smentito quell’incontro), la sua attitudine ribelle post rivoluzione-culturale è sufficiente per ritrovare in esso i prodromi più genuini del rock ‘n’ roll cinese.
Di Stefano Capolongo*
*Gestisce su Instagram la pagina cinesedabao, in cui racconta la musica cinese e quello che succede oggi in Cina attraverso i caratteri e i loro mutamenti