Snowden, la grande fuga

In by Simone

Destinazione Mosca, quindi l’Havana e poi? Quito, secondo le voci più insistenti, ma potrebbe anche essere Caracas. Edward Snowden si è così sfilato sotto il naso degli Usa, salendo su un aereo russo e lasciando Hong Kong in un percorso che sembra la trama di un film sulla Guerra Fredda. E non è mai salito sull’aereo diretto a Cuba.
Ora che Edward Snowden ha lasciato Hong Kong anche il principale quotidiano dell’ex colonia britannica comincia con le rivelazioni. Così il South China Mornig Post oggi titola: “Confessioni della cybertalpa”. Snowden, si legge nell’articolo, si sarebbe fatto assumere dalla Booz Allen solo per ottenere le prove del fatto che la NSA spiava i cittadini. “La mia posizione nella Booz Allen Hamilton mi ha garantito l’accesso alle liste delle macchine che la NSA ha hackerato in tutto il mondo” – avrebbe detto nell’intervista esclusiva al Post lo scorso 12 giugno – “è per questo che tre mesi fa ho accettato il lavoro”. Aggiungendo che tra le tante aziende per cui ha lavorato la Booz non era certo quella che lo ha pagato di più.

Trent’anni appena compiuti, Snowden non sarebbe quindi entrato involontariamente in possesso delle informazioni che poi ha reso pubbliche. E come se non bastasse sarebbe in possesso di altre informazioni da divulgare una volta lette e verificate da lui stesso. Un dato che non è di poco conto e che ha subito scatenato le reazioni piccate di Stati Uniti e, indirettamente, Cina. Fortuna che la cybertalpa è già lontana. Ma dove?

Ieri è volato su Mosca e si pensava che avrebbe subito preso un volo per l’Avana nel suo tentativo di seguire la “strada sicura” promessa da Wikileaks per l’asilo in Ecuador. Il fatto è che nessuno pare essere sicuro che Snowden abbia lasciato Mosca, e anzi gli Stati Uniti hanno esercitato diverse pressioni nei confronti della Russia che però si è rifiutata di rilasciare qualsiasi dichiarazione ufficiale in merito. I giornalisti che hanno comprato un biglietto sul Mosca-Avana che doveva prendere Snowden sono rimasti con un palmo di naso. Su twitter le foto dell‘ennesima sedia vuota: il sedile 17A riservato a suo nome. Secondo i funzionari russi Snowden non è in contatto con le autorità russe e non doverebbe essere uscito dall’aeroporto. Qualcuno già fa il paragone con il protagonista di The Terminal, che non avendo più una nazionalità valida agli occhi del mondo si trova costretto a non poter lasciare l’aerea franca dell’aeroporto internazionale.

Così dell’uomo più ricercato d’America si sono momentaneamente “perse” le tracce. La Casa Bianca se l’è presa con il governo di Hong Kong, accusandolo di aver seriamente danneggiato le relazioni sino-americane permettendo a Snowden di lasciare la città nonostante gli Usa gli avessero revocato il passaporto. Hong Kong nega che una misura del genere gli sia stata notificata per vie ufficiali, mentre il fondatore di Wikileaks Julian Assange sostiene che Snowden abbia lasciato Hong Kong con un documento da rifugiato fornito dall’Ecuador.

Nel frattempo, seppure in maniera ufficiale Pechino non abbia dichiarato altro che il caso doveva seguire l’iter legale preposto da Hong Kong, nessuno che conosca almeno un poco le relazioni che intercorrono tra la città e la “madrepatria” (ricordiamolo: un paese, due sistemi), è convinto che la decisione di far partire Snowden possa essere stata presa da Hong Kong senza – almeno – il beneplacito di Pechino. Le relazioni sino-americane in questo momento sono troppo importanti e la momentanea irritazione degli Stati Uniti, secondo la maggior parte degli analisti, non è nulla se confrontata alla pericolosità potenzialmente in nuce nel suo restare a Hong Kong o, peggio ancora, nella possibilità in cui la Cina si sarebbe trovata a porre il veto sull’estradizione o addirittura ad offrirgli asilo.

Secondo qualcuno con contatti molto in alto nella leadership cinese – una fonte anonima citata da Reuters – questo sarebbe il modo cinese di ripagare un recente debito diplomatico con l’America. A febbraio dello scorso anno l’ex capo della polizia di Chongqing e braccio destro dell’allora ancora potentissimo Bo Xilai (il carismatico leader che si pensava potesse mettere a rischio il cambio ai vertici senza sorprese avvenuto lo scorso novembre) si rifugiò nel consolato americano di Chengdu. Ne uscì 48 ore dopo, consegnandosi direttamente alla polizia di Pechino. Nessuno sa cosa Wang Lijun abbia rivelato alla diplomazia americana in quell’occasione. Si pensa che abbia chiesto asilo e che l’America, cosciente dell’importanza politica del personaggio all’interno del difficile scacchiere della politica interna cinese, glielo abbia rifiutato. “La Cina sta restituendo il favore”, avrebbe dichiarato la fonte. Staremo a vedere.

[Scritto per Lettera43; foto Cecilia Attanasio Ghezzi]