La discussione ha come (s)oggetti le comunità di etnia Tai/Dai di cinque villaggi agricoli che sono stati gradualmente incorporati nella città di Jinghong a partire dagli anni ’90: Jinglan, De, Tin, Long Khwan e Long Feng. Integrando un’analisi spaziale da una prospettiva urbanistica e degli ‘urban studies’ con un’indagine etnografica della città come luogo di vita sociale, riproduzione culturale e modulazione di nuove soggettività urbane e moderne, appare come l’urbanizzazione di frontiera nella Cina post-socialista si fonda su una relazione dialettica tra centro e periferia. Essa non è semplicemente un corso lineare di sviluppo caratterizzato da una pianificazione statale dall’alto verso il basso avulso dalle pratiche sociali di produzione del luogo da parte di comunità Tai/Dai. Piuttosto è un processo circolare di mutua trasformazione, sebbene iniqua, tra ville e cité, ovvero, tra spazio statale e luogo etnico. Discorsi post-socialisti di modernizzazione, civilizzazione, armonia, estetica, e peculiarità e unità etnica strutturano le pratiche statali di pianificazione dello spazio. Tuttavia, gli attori sociali Tai, a loro volta, partecipano alla creazione della città simultaneamente contrastando, manovrando e appropriandosi selettivamente delle idee e delle modalità di costruzione spaziale urbana formulate dall’alto per produrre e dare significato al proprio luogo urbano. La città di Jinghong, quindi, emerge come un campo di contesa dove da un lato lo stato persegue con l’autorità l’integrazione dei gruppi etnici minoritari nella modernità nazionale, mentre dall’altro gli individui etnici minoritari cercano di affermarsi come cittadini urbani nella Cina moderna, non senza rinunciare alla propria identità culturale di periferia.
L’urbanizzazione è stata uno dei principali motori del cambiamento sociale e della politica orientata verso l’economia di mercato nella Cina post-Maoista. Dagli anni ’80, i tradizionali centri metropolitani si sono espansi, mentre nuove città si sono formate a un ritmo sorprendente. L’urbanizzazione ha interessato anche le zone periferiche della Cina, tra cui la provincia dello Yunnan, dove ha assunto caratteristiche distinte da quelle della Cina ‘centrale’. La trasformazione di Jinghong incarna al meglio tale specificità di frontiera.
1. La costruzione dello spazio urbano di Jinghong di impronta statale
Jinghong, da dormiente centro semi-rurale a hub urbano turistico-commerciale
Situata nella valle dove confluiscono il fiume Mekong (Lancang in cinese) e il suo affluente Namkham, la città di Jinghong propriamente detta è parte dell’omonima Municipalità ed è sede amministrativa, economica e culturale della Prefettura Autonoma Dai di Xishuang banna. Sedici villaggi o quartieri (村社区 cunshequ), di cui sette classificati come ‘villaggi Dai’ (傣族村 daizu cun) inglobati nello spazio urbano a partire dagli anni ’90, fanno oggi parte del territorio della città di Jinghong. Quest’ultimo nel 2016 contava 158.581 dei 421.072 residenti permanenti e 54.756 dei 115.828 residenti temporanei (流动人口 liudong renkou) dell’intera Municipalità. Dall’inchiesta effettuata sul campo è emerso che il gruppo etnico che definisce se stesso come Tai Lue, avente affinità linguistiche e culturali con le altre popolazioni della famiglia linguistica Tai-Kadai sparse per il Sud-Est Asiatico continentale, denominato Dai (Daizu)8) nella classificazione ufficiale delle nazionalità cinesi, costituisce circa il 35% della popolazione permanente della città. Altri gruppi minoritari quali gli Hani, Wa, Yao, i Bulang e i Jinuo e i membri della maggioranza etnica Han rappresentano il 5% e il 60%, rispettivamente. Sono di etnia Han anche il 90% del crescente numero di residenti temporanei che lavora e opera nella città in vari settori economici.
La presenza Han nella frontiera sud-occidentale dello Yunnan è stata costante sin dal XVIII secolo. Tuttavia solo le ondate migratorie Han degli ultimi sessanta anni hanno alterato il tessuto multi-etnico che dal XIV secolo aveva avuto al suo centro i Tai Lue. Fino al 1950 un principe ereditario Tai Lue governava sulla principalità semi-indipendente di Sipspongpanna, di cui Tseng Hung (oggi Jinghong) era il centro amministrativo, che intratteneva relazioni tributarie con l’impero cinese Qing e con il regno della Birmania. I Tali Lue detenevano il potere politico e socio-economico nelle valli e regnavano su altri gruppi che popolavano le aree montane della principalità, tra cui gli Akha, i Lahu, i Bulang, gli Yao e i Miao. Nel 1950 l’Armata di Liberazione Popolare Cinese invase Sipsongpanna, annettendolo alla Repubblica Popolare Cinese come Xishuang banna Dai Autonomous Prefecture, di cui Jinghong fu nominata capitale.
Sotto il regime comunista, Jinghong è stata trasformata da dormiente cittadina rurale in una città di confine in forte espansione. Mentre la pianificazione economica e urbana centralizzata di Mao dagli anni ’50 agli anni ’70 produsse minime modifiche al layout, alle infrastrutture e all’architettura della città, è solo a partire dal programma di Riforma e Apertura (Gaige Kaifang) inaugurato da Deng Xiaoping nel 1979 che una significativa ristrutturazione spaziale ha avuto luogo all’inizio degli anni ’90 per essere amplificata negli anni 2000 e 2010 attraverso una pianificazione urbana più decentralizzata ma sistematica.
L’economia politica dell’urbanizzazione di frontiera sud-occidentale
A differenza delle città tradizionali del “centro”, come Pechino e Shanghai, la cui espansione si è accompagnata prima all’industrializzazione e poi all’espansione del settore terziario, delle attività offshore e del commercio oltre alla finanziarizzazione, la crescita urbana di Jinghong è stata sostenuta da una nuova strategia politico-economica di livello provinciale e regionale avente come focus il turismo e il commercio transfrontaliero. A partire dagli anni ’80, sfruttando il clima e l’ambiente naturale tropicale della zona insieme alle culture etniche indigene, Xishuang banna, designata come una delle sei zone turistiche della provincia dello Yunnan, è stata tramutata in un paradiso esotico per i turisti domestici. Jinghong ha guidato la svolta turistica della prefettura. Simultaneamente, la cittadina è stata gradualmente trasformata in un hubdel commercio transfrontaliero all’interno dei corridoi economici dell’Alto Mekong tra Cina, Laos, Birmania e Tailandia. La sua posizione strategica lungo l’autostrada Kunming-Bangkok costruita negli anni 2000 e lungo la ferrovia ad alta velocità Kunming-Singapore, il cui completamento è previsto entro il 2022, ha contribuito ad amplificare la centralità di Jinghong nell’economia regionale del Mekong e al suo più recente sviluppo urbano.
Inoltre, come per il resto della Cina, l’urbanizzazione di Jinghong si inserisce nel nuovo orientamento politico-economico post-socialista che intravede nell’urbanizzazione uno dei principali stimoli di crescita economica e di benessere e stabilità sociale nel quadro dell’economia di mercato. Nei primi anni 2000, il governo provinciale dello Yunnan indicò la costruzione urbana (城镇建设chengzhen jianshe) come via per generare risorse finanziarie per la spesa pubblica e attrarre investimenti domestici o esteri, ma soprattutto per trasferire gradualmente capitali e persone verso le zone economicamente meno sviluppate di frontiera e ridurre il gap economico con le regioni più ricche della costa orientale, integrando in tal modo la periferia nel cuore economico del paese.
Il discorso di legittimazione urbana
Se il discorso post-socialista formulato in termini di modernizzazione (现代化 xiandaihua), progresso (发展 fazhan), civilizzazione (文明 wenming) e armonia (和谐 hexie) per legittimare la riconfigurazione dello spazio urbano, accomunano l’urbanizzazione di Jinghong a quella delle altre aree del paese, l’enfasi sulle caratteristiche etniche (民族特色 minzu tese) e sull’unità etnica (民族团结 minzu tuanjie) la distinguono dalla crescita urbana nelle zone centrali. Come sarà illustrato di seguito, il rispetto delle specificità culturali dei gruppi etnici si è manifestato principalmente nell’inclusione di elementi architettonici ed estetici etnici nelle nuove architetture della città, oltre che nella mercificazione dell’esotismo etnico di festival, cibo, e costumi locali per sostenere un’industria del turismo ancella di quella edile e immobiliare. L’unità etnica, già parte delle politiche di frontiera sin dagli anni ’80, sebbene non dichiarato apertamente, continua a essere un meccanismo atto alla pacificazione e al controllo dei gruppi etnici minoritari di confine, costruiti come ‘recalcitranti’ (跳皮 tiaopi) nei discorsi non ufficiali di stato e popolari Han.
Le pratiche di spazializzazione di stato
Accogliendo la chiamata a urbanizzare da parte delle autorità nazionali e provinciali, fin dagli anni ’90, gli amministratori della Municipalità di Jinghong hanno approvato una serie di piani urbanistici che hanno articolato l’espansione urbana della cittadina in tre fasi: 1991-1995; 1996-2000; 2001-2020 . Tra i vari interventi spaziali vi sono stati la costruzione di un secondo ponte sul Lancangjiang, l’estensione dell’aeroporto di Xishuang banna e il potenziamento del sistema viario, ma soprattutto, la creazione ex novo di dozzine di quartieri residenziali, commerciali e di intrattenimento.
A seguito del decentramento economico da Pechino, l’amministrazione di Jinghong ha adottato la capitalizzazione sulla terra come strumento per mobilitare le risorse finanziarie adeguate a espandere e migliorare le infrastrutture, in previsione di imporre un’imposta sulla proprietà in futuro. Ha perseguito questo obiettivo stabilendo alleanze con compagnie edili private o semi-statali. Avvalendosi della Costituzione Cinese e della Legge sulla Proprietà della Repubblica Popolare Cinese (di seguito PRLPRP), secondo cui lo Stato è il proprietario in ultima istanza della terra, il governo locale di Jinghong ha proceduto alla espropriazione (征用 zhengyong) delle terre agricole dei villaggi rurali circostanti all’originario centro della cittadina. La confisca ha riguardato prima Jinglan, il villaggio Tai la cui terra si trovava in prossimità del centro originario della città, alla fine degli anni ’80, ed è continuata per tutti gli anni ’90 e 2000-2010 in questo e in altri villaggi circostanti, tra cui De, Tin, Long Khwan e Long Feng.
Come previsto dalla PLPRP, alle comunità agricole è stato concesso un indennizzo per la perdita della terra, il cui importo è variato nel corso degli anni da villaggio a villaggio, a seconda della tipologia di terra e della capacità di negoziazione delle comunità e dei loro leader. Per esempio, dopo aver ricevuto 10.000-20.000 RMB/1 mu per il primo appezzamento di terreno richiesto negli anni ’90 per istituire l’area turistica della prima fase di sviluppo, i residenti di Jinglan hanno ottenuto un risarcimento di 200.000 RMB/1 mu per terreni agricoli fertili confiscati nel 2001- 2004 e 70.000 RMB/1 mu per terreni boschivi. Gli altri villaggi Tai hanno ricevuto importi inclusi tra o pari a quelli di Jinglan. Tuttavia, tutte le comunità hanno lamentato all’unanimità l’insufficienza dell’indennizzo concesso.
Il processo di capitalizzazione sulla terra ha avuto connotazioni inique e poco trasparenti che hanno favorito gli interessi dell’asse stato-capitale pubblico/privato. Il governo municipale ha venduto ai developers i diritti d’usufrutto della terra espropriata per cifre dieci-quindici volte superiori al risarcimento offerto ai villaggi, non rendendole pubbliche. A loro volta, i developers e le società immobiliari hanno accumulato profitti di miliardi di Renminbi (RMB) dalle vendite delle proprietà. Nel 2018 i prezzi degli immobili di nuova costruzione a Jinghong erano i più alti dell’intera provincia dello Yunnan, variando tra i 13.000 e i 29.000 RMB/mq per una villa o casa singola in stile ‘occidentale’ o 9.000-20.000 RMB/mq per una casa a schiera a uno o due piani o un appartamento in un grattacielo, con diritti di proprietà inclusi tra i 40 e i 70 anni. I vantaggi economici per il governo locale e i developers sono stati considerevolmente maggiori rispetto a quelli degli ex usufruttuari terrieri Tai.
La pianificazione e ristrutturazione urbana di Jinghong di impronta statale ha posto più enfasi sull’ordine e l’estetica che sul benessere indistinto di tutti coloro che abitano lo spazio urbano, producendo una separazione tra ville e cité, ovvero sancendo il primato dello spazio sul luogo. I nuovi edifici dei quartieri residenziali sono stati organizzati in modo ordinato e secondo un assetto spaziale chiaro e leggibile. Nella sua metamorfosi, la città di Jinghong è diventata teatro di due spettacoli: primo, attraverso l’enfasi su ordine e leggibilità e un modello costruttivo che afferma la solidità delle forme fisse moderne, lo stato centrale ha messo in mostra la propria stabilità burocratica alla periferia;20) secondo, attraverso l’’abbellimento dell’ambiente’ (环境优美huanjing youmei), gli amministratori dei margini hanno esibito le proprie abilità di governanti ai loro superiori del centro, ostentando nel contempo “il potere sulle masse comuni”, attuando ciò che il dissidente politico Xu Zhangrun ha definito “politica di vanità”.
Inoltre, nella Jinghong post-socialista, il nuovo spazio urbano creato dal sodalizio stato-capitale, caratterizzato da chiusura formale e strutturale, è diventato un indicatore di distinzione sociale tanto quanto un demarcatore di confini etnici. Attingendo allo studio di Li Zhang effettuato a Kunming, denomino questo fenomeno ‘spazializzazione socio-etnica’, ovvero la distinzione di categorie socio-etniche attraverso la produzione dello spazio abitativo. I proprietari o i sojourners degli edifici nei nuovi quartieri residenziali, che hanno le sembianze di gated communities, sono per lo più esponenti dell’emergente classe media Han, provenienti dalle regioni del nord e della costa orientale della Cina. Questi aspirano a distinguere sé stessi dalle classi più basse e dai gruppi etnici minoritari ritenuti ‘arretrati’ (落后 luohou), ostentando uno stile di vita e una modalità residenziale esclusivi. A parte limitate eccezioni, la maggior parte dei Tai non risiede nei nuovi quartieri sorti sulle proprie terre agricole. Le gated communities sono quindi non solo spazi divisori tra Han di classe differente, ma anche tra maggioranza Han e gruppi etnici minoritari.
La spazializzazione etnica descrive anche il modo in cui la costruzione dello spazio di impronta governativa ha usato, abusato e mercificato le caratteristiche culturali dei gruppi etnici per il duplice scopo del profitto e del consenso. In ottemperanza alla direttiva per cui l’urbanizzazione di confine dovrebbe rispecchiare le caratteristiche etniche (minzu tese), per ingraziarsi i membri delle minoranze e dare una parvenza di sensibilità etnico-culturale, nel progettare i nuovi edifici, gli attori dell’alleanza stato-capitale hanno attinto alle decorazioni e allo stile architettonico Tai. In alcuni casi tale appropriazione è stata fatta in modo dissacrante: forme architettoniche e ornamenti sacri dei templi Buddhisti sono stati utilizzati per disegnare ambienti destinati a essere adibiti come ristoranti, guest-houses o bar, andando contro la regola che vige tra le varie società Buddhiste Theravada del Sud-Est Asiatico per cui l’architettura deve rispecchiare la separazione tra sacro e profano.
2. La produzione del ‘luogo’ urbano dei Tai
La (ri)strutturazione dello spazio di stampo capital-socialista ha ingenerato nuovi modi di produzione del luogo nella sfera demografica, socio-economica, spaziale e rituale da parte delle comunità etniche locali Tai che sono state integrate nella sfera urbana di Jinghong.
Fino alla fine degli anni ’90, i ‘villaggi rurali’ Tai (傣族寨子 daizu zhaizi) attorno alla cittadina di Jinghong costituivano comunità sociali relativamente distinte, la cui popolazione era prevalentemente di etnicità Tai e comprendeva per lo più residenti permanenti, grazie anche a un’alta incidenza di endogamia di villaggio. Dagli anni 2000, a seguito della loro conversione in ‘villaggi urbani’ (市村 shicun), di fatto quartieri della città, le comunità Tai hanno subito un cambiamento del tessuto etnico, sociale e economico. Tuttavia, i residenti hanno continuato a riferirsi alle loro comunità come “villaggi Tai” (baan tai), mantenendo un forte senso identitario etnico in relazione al luogo.
Con l’integrazione nella città, i villaggi Tai hanno assunto la funzione di quartieri-dormitorio e di aree di commercio al dettaglio e di piccole attività economiche di vario genere per una nuova ondata di migranti Han. Attirati da aree centrali o costiere verso il confine meridionale dello Yunnan tanto dalle nuove opportunità economiche della crescita urbana quanto degli scambi transfrontalieri con i paesi del Mekong, questi si sono riversati nei villaggi Tai, dove i prezzi di locazione erano più bassi che nel centro della città o nei nuovi quartieri residenziali.
A partire dalla fine degli anni ’90, gli abitanti dei villaggi Tai hanno progressivamente abbandonato l’economia agricola, imperniata sulla coltivazione di riso, ortaggi e l’estrazione di caucciù, integrata da commercio al dettaglio di piccola scala e vendita di cibo da strada, per diventare rentiers urbani. Sulla terra dove già sorgevano le proprie case, l’80% dei residenti Tai del villaggi urbani ha costruito palazzine di cinque-otto piani (楼房 loufang), ciascuna organizzata in piccoli appartamenti per piano e magazzini al piano terra, che vengono affittate a migranti Han o a membri di altri gruppi etnici. La costruzione dei nuovi immobili ha significato per la maggior parte dei Tai l’indebitamento, quando non è stato possibile formare delle joint-ventures con piccoli imprenditori edili Han. Per le generazioni di Tai urbani dai trent’anni anni in su, che mancano di una buona istruzione in lingua cinese, requisito necessario per trovare occupazione nell’economia formale e incapaci di competere con gli Han in attività ad alto reddito, la locazione immobiliare è stata ritenuta come il più semplice e agevole modo di sopravvivere nel contesto urbano.
Se da un lato i Tai urbani hanno sperimentato un miglioramento generalizzato dei loro standard di vita, dall’altro la stratificazione socio-economica dei loro villaggi è aumentata enormemente. Tra il 2008 e il 2010 il reddito lordo annuo Tai variava tra i 10.000 e i 35.000 RMB a famiglia, ma in generale la diseguaglianza socio-economica restava minima. Nel 2018, nei villaggi studiati vi erano diverse classi di reddito. Coloro i cui edifici si trovavano in aree di interesse commerciale e turistico avevano introiti da locazione pari a 200-350.000 RMB annui e costituivano i nuovi ricchi della comunità, mentre coloro le cui case erano situate nelle strade secondarie guadagnavano fino a 150.000 RMB l’anno. Più in basso nella scala socio-economica vi erano coloro che né erano stati in grado di mobilitare il capitale per costruire palazzine né avevano le capacità per gestire altre attività ad alto reddito tra cui la ristorazione. Questi dipendevano dall’economia informale della vendita di cibo tradizionale Tai da strada o lavoravano come dipendenti di piccole imprese Han e affittavano le poche camere che avevano costruito al piano inferiore delle loro case in stile Tai. Sullo stesso o un gradino più basso vi era un’ampia massa di lavoratori migranti a basso reddito Han che viveva nei villaggi. Se posti questi individui Han in relazione con l’emergente classe media di rentiers Tai, le comunità Tai possono essere considerate come luoghi di cambiamento socio-etnico in cui il dualismo Tai-dominati e Han-dominatori prevalente nella letteratura sui rapporti inter-etnici in Cina perde valore in favore di una tesi di crescente disparità socio-economica etnicamente trasversale.
La noia, il consumo di alcol e il gioco d’azzardo sono dilaganti tra i rentiers e i loro figli disoccupati. In alcuni villaggi i giovani Tai fanno uso di meta-anfetamine provenienti dal Myanmar per combattere la noia e colmare il vuoto esistenziale. Provando un forte senso di insicurezza per il futuro, le giovani generazioni di Tai di età compresa tra i venti e i trenta incoraggiano sempre di più i loro figli a ricevere un’istruzione superiore nel sistema scolastico cinese. L’emancipazione giovanile Tai nelle aree urbane passa quindi attraverso la formazione in lingua cinese e l’abbracciare modelli economici di stampo Han.
Inoltre, la trasformazione urbana di Jinghong ha avuto un impatto sulla spazialità dei villaggi Tai. Contrariamente alla disposizione ordinata e leggibile dei nuovi quartieri patrocinati dallo stato, i villaggi urbani Tai sono sempre più caratterizzati da anomia spaziale. Nel costruire le palazzine al posto delle tradizionali case su pilotis, i proprietari Tai hanno mostrato scarso o nessun rispetto per le regole di pianificazione urbana del governo municipale. Di conseguenza, i quartieri di Tai hanno le sembianze di agglomerati spaziali densi e disordinati, in molti casi con ambienti bui, chiusi e poco ventilati. L’anarchia spaziale è apparentemente la forma di ri-territorializzazione urbana Tai in risposta all’espropriazione di terra autoritaria avviata dallo stato.
Infine, il rituale è il dominio in cui la produzione del luogo ha ricevuto la consacrazione suprema. Le comunità urbane Tai, sconvolte da meccanismi secolari di espropriazione della terra, hanno continuato a mantenere la solidarietà collettiva nella sacralità di cerimonie di due tipi: “nutrire lo spirito del villaggio” (liaen dun baan) e l’inaugurazione della nuova casa (kheun heun mai). Attraverso il primo rituale, col quale annualmente gli abitanti onorano con offerte lo spirito del fondatore del villaggio, sigillando il territorio per un giorno ai non-membri, le comunità Tai riaffermano simbolicamente la coesione di gruppo e ridisegnano i propri confini, contro la violazione del territorio da parte dei migranti e dell’imprenditoria edile forestiera. Le cerimonie di inaugurazione della nuova casa, che nella Jinghong urbana celebrano il completamento delle nuove palazzine Tai, affermano lo status sociale della famiglia proprietaria nella comunità e contribuiscono a tenere unita la collettività contro l’incipiente atomizzazione sociale.
3. Spazio statale e luogo etnico si intrecciano
Tuttavia, vi è una zona grigia in cui la costruzione dello spazio di impronta statale e di produzione del luogo di matrice etnica si sovrappongono, si mescolano e si influenzano a vicenda in modi complessi. Si disvela quindi un processo circolare di cambiamento urbano di confine in base al quale la pianificazione autoritaria capital-socialista struttura l’azione sociale e, a sua volta, gli attori sociali Tai influenzano la creazione dello spazio statale attraverso una dialettica di contestazione e consenso, ritagliandosi una nicchia come cittadini urbani nella Cina moderna.
La mobilitazione dal basso per contrastare gli abusi sulla terra
Una delle sfere in cui i Tai urbanizzati sono stati in grado di influenzare le pratiche spaziali stato-capitaliste è l’espropriazione dei terreni agricoli. Secondo i residenti dei villaggi Tai, il processo di confisca delle terre è stato poco trasparente, a causa non solo della corruzione dei quadri locali e dei funzionari della municipalità, ma anche per l’ambiguità e mutabilità delle condizioni contrattuali. Sebbene il fatto che in molti casi le leadership dei villaggi si siano schierate dalla parte delle autorità municipali e delle compagnie edili abbia ingenerato conflitti interni alle comunità e una frattura tra esse e il governo locale, l’attrito non si è sempre tradotto in resa o sottomissione alle condizioni imposte. Al contrario, in alcuni casi i cittadini Tai hanno trasformato la rabbia in azioni miranti a ottenere giustizia. A De, dove undici membri del Comitato del Villaggio avevano presumibilmente accettato tangenti dal Gruppo Haicheng, acquirente dei terreni della comunità, i residenti si sono mobilitati per presentare il caso al Dipartimento per le Petizioni (信访局 xinfangju). Qualche tempo dopo gli undici colpevoli sono stati incarcerati. Elettrizzati dal risultato, nella seconda ondata di requisizione di terreni agricoli, i residenti di De sono riusciti ad ottenere un accordo di compensazione di 40.000 RMB/mu, 10.000 RMB superiore rispetto a quanto concesso alla prima tornata. Le precedenti esperienze di perdita della terra hanno incoraggiato un movimento dal basso per contrastare nuovi abusi. L’indennità è stato il campo di contesa per gli attori etnici Tai per far valere i propri diritti di cittadinanza urbana.
La capitalizzazione sulla terra collettiva. I Tai urbani sposano il socialismo di mercato
Inoltre, la partecipazione attiva dei Tai alla creazione del luogo urbano si è manifestata nel modo in cui alcune comunità hanno capitalizzato sulla terra collettiva (集体 jiti) esclusa dall’espropriazione per creare un sistema di welfare di villaggio. Esse hanno affittato la terra comunitaria a imprenditori agricoli Han con contratti aventi validità di trenta-quaranta anni e un canone annuale compreso tra 1000 RMB/1 mu e 3.600 RMB/1 mu. A Long Khwan, per esempio, l’affitto annuale di 707 mu di terra a un imprenditore di banane per 1000 RMB/1 mu ha garantito alla comunità una somma di 707.000 RMB che è stata ridistribuita tra i residenti permanenti del villaggio sulla base dell’età. Parte delle entrate sono state destinate per la costruzione e manutenzione delle strade del villaggio, del tempio, del sistema fognario e per l’illuminazione pubblica. Pertanto gli attori Tai, se da un lato hanno manifestato il malcontento per la capitalizzazione sulla terra delle famiglie da parte del governo, dall’altro hanno a loro volta sposato il modello di socialismo di mercato, ricavando dei profitti sulla rendita della terra comunitaria.
I Tai come brokers della spazializzazione di stato
L’attuazione di progetti di stato nelle aree etniche non avrebbe potuto pienamente realizzarsi senza il coinvolgimento di attori Tai, oltre i quadri dei villaggi, che hanno mediato tra la comunità, gli imprenditori edili e lo stato, come brokers. Inoltre, vi erano alcuni giovani Tai che collaboravano con l’apparato di creazione spaziale su un altro livello. Essi includevano ragazze e ragazzi con istruzione superiore o universitaria che lavoravano come agenti per le società immobiliari. La nuova generazione di Tai urbani di confine paradossalmente si guadagna da vivere vendendo le proprietà costruite sulla terra che un tempo appartenevano alle loro comunità. Questa è l’ironia dell’essere tra i pochi cittadini istruiti di etnia Tai nella Jinghong moderna.
I margini si centralizzano, il centro si marginalizza. I Tai abbracciano la modernità di stato
Sebbene i benefici economici ricevuti dai nuovi rentiers Tai e da quelli che sono stati lasciati indietro nel processo di urbanizzazione non siano stati ingenti quanto quelli di cui hanno goduto le compagnie edili e gli apparati di stato, i proprietari terrieri o i sojourners privilegiati Han, la grande maggioranza dei Tai ha celebrato con entusiasmo ed orgoglio la moderna trasformazione del paesaggio urbano di Jinghong. La maestosità dei nuovi grattacieli, dei quartieri a parco-tema, delle autostrade e del Nuovo Grande Ponte sul Langcang è stata acclamata come un simbolo di progresso (fazhan) contrapposto alle case basse, costruite prima con ‘paglia e legno’ e in seguito con malta di scarsa qualità negli anni ’60-’70, e da sempre associate a povertà e ‘arretratezza’ (luohou). La transizione urbana ha significato per i Tai sposare la narrazione della modernità di stato, pur nella speranza di mantenere la propria identità culturale.
Conclusioni
L’urbanizzazione nella frontiera sud-occidentale della Cina è un processo dialettico tra creazione dello spazio di matrice capital-socialista e la produzione del luogo di stampo etnico. Attraverso la dialettica spazio-luogo, lo stato centrale cinese conferma con forza la propria legittimità nel nome della modernità, perseguendo l’integrazione delle aree periferiche abitate dalle minoranze etniche nel nucleo economico nazionale. Nel contempo, in una sub-dialettica di contestazione e di consenso per i modelli e le pratiche spaziali statali, gli attori etnici Tai cercano di affermarsi come cittadini urbani nella Cina moderna, senza tuttavia perdere la propria identità etnica di periferia.
La massima espressione dell’immedesimazione nel modello di modernità economico-spaziale di stato con caratteristiche etniche è la celebrazione del capodanno Tai, il ‘Water Splashing Festival’ (泼水节 poshuijie), che si svolge annualmente a metà aprile. Donne e uomini Tai sfilano, ballando e spruzzandosi reciprocamente d’acqua in segno di benedizione, abbigliati nei loro costumi tradizionali, su una piazza che prende il nome dallo stesso festival, costruita sulle terre espropriate ai villaggi di Jinglan e Tin. Quest’immagine incarna il paradosso della modernità urbana di Jinghong, fondata simultaneamente sulla requisizione delle terre e sulla mercificazione della cultura Tai. Nella finzione carnevalesca del capodanno, l’esclusione e la frustrazione lasciano il posto all’illusione di cittadinanza nella Cina moderna. Se questo status sia di prima o seconda classe nella realtà sarà il futuro prossimo a determinarlo.
[QUI PER LEGGERE L’ORIGINALE]Di Antonella Diana per Sinosfere*
**Sinosfere è una rivista che si occupa di cultura cinese, intesa come l’universo molteplice e mutevole delle rappresentazioni che, viaggiando storicamente nel tempo e nello spazio, hanno variamente influenzato i particolari modi di vedere, di parlare e di sentire che informano la vita delle società cinese odierne. Creata da un gruppo di studi di storia e cultura cinese, Sinosfere vuole essere – come meglio si chiarisce in altro luogo – una piattaforma volta a esplorare e una discussione sulle dinamiche socio-culturali cinesi indagando su una logica peculiare che il governano.