La letteratura della Cina maoista può essere considerata, nel suo complesso, una celebrazione del corpo collettivo. “Il controllo totale del discorso e della rappresentazione pubblica”, ovvero il Mao wenti 毛文体 (“discorso” o “stile maoista”) esercitato dal Partito Comunista Cinese aveva infatti reso impossibile una rappresentazione del soggetto individuale. L’individuo, infatti, non poteva che identificarsi con la propria classe sociale di appartenenza. È Yu Hua 余华 (n. 1960), nel suo celeberrimo Huozhe 活着 (Vivere!, 1992), uno dei primi scrittori a effettuare un’impietosa disamina del processo di annullamento del soggetto – ovvero del singolo individuo – nell’era maoista. Descrive infatti le rocambolesche peripezie del protagonista Fugui, che, perdendo tutte le sue proprietà al gioco, viene provvidenzialmente salvato dal “crimine” di essere un latifondista. La salvezza dell’individuo nell’era maoista – seguendo dunque la logica soggiacente alle sequenze narrative di Vivere! – consisteva proprio nella rinuncia e nel sacrificio dell’individuo a possedere una propria individualità. Lo stesso autore, nel romanzo successivo, Xu Sangguan mai xue ji 许三观卖血记 (Xu Sanguan vende il sangue, 1995), descrive invece il riscatto del soggetto che non solo si riappropria del proprio corpo, ma utilizza persino il proprio sangue come capitale per provvedere al sostentamento della famiglia. Questo è il motivo per cui non si può non considerare questa opera come una riflessione su quello che potremmo definire la nascita del corpo individuale che riesce finalmente a emanciparsi da quello collettivo.
Yu Hua non è certo l’unico autore ad affrontare questo tema. Tutti gli autori della corrente del neorealismo, quella della cosiddetta “narrativa neorealista” xin xieshi xiaoshuo 新写实小说,ripropongono una visione del reale che poggia sulla relazione tra corpo individuale e mondo esterno materiale. Autori come Su Tong 苏童 (n. 1963) , Liu Heng 刘恒 (n. 1954) e autrici come Chi Li 池莉(n. 1957) e Fang Fang 方方(n. 1955) ci propongono una rappresentazione dell’individuo alle prese con una realtà, quella postsocialista, sempre più complessa e inintelligibile. Non a caso, questi autori, abbandonando qualsiasi velleità epistemologica, ci lasciano intravedere non tanto la comprensione della vita da parte dei personaggi da loro creati, quanto piuttosto diverse e complesse modalità esperienziali del reale che guidano il loro agire. In questo senso, le riflessioni di Nan Fan sulla scrittura neorealista (la vita è vita, non ha alcun senso e nessun obiettivo; in altre parole, il senso della vita sta proprio nella vita stessa) riflettono appieno l’obiettivo che si prefiggono gli scrittori neorealisti: narrare e rappresentare la ricerca da parte del soggetto di nuove modalità esistenziali che possano conciliare la nuova realtà cinese con un soggetto finalmente dotato di agentività.
Liu Heng, per esempio, nella novella Fuxi, Fuxi 伏羲伏羲 (Fuxi, Fuxi, 1987) celebra l’erotismo – la forza di una passione trasgressiva che coinvolge più il corpo che la mente. La giovane e bella Judou, vittima degli abusi di un marito violento e impotente, scelto per lei dai genitori, trova appagamento nel rapporto erotico e sensuale che instaura con Tianqing, nipote di lui. Al lettore non vengono certamente risparmiate le numerosissime e dettagliatissime descrizioni di tutte le violenze che il corpo della giovane donna è costretta a subire; tuttavia, anche il piacere erotico e la passione sono oggetto di rappresentazione e disamina da parte dell’autore. Dopo la nascita del loro primo figlio, Tianbai, Judou e Tianqing continuano ad amarsi e a incontrarsi, a dispetto di Jingshan, marito di Judou, e del figlio che mostra unicamente disprezzo e rifiuto nei confronti del padre biologico. Non c’è modo per la coppia di rivelare il proprio amore perché nella conservatrice comunità rurale in cui vivono ogni rapporto adulterino viene considerato inaccettabile. Per questo motivo, la seconda gravidanza di Judou, dopo un incidente che porta Yang Jingshan alla paralisi, diventa un motivo di angoscia per la coppia che, per paura che la loro relazione clandestina diventi pubblica, cerca invano di sbarazzarsi in tutti i modi del feto. Il corpo, violentato e abusato, ma anche sorgente di piacere e godimento, diventa fulcro ed essenza della vita stessa. Non è un caso, dunque, che la scena conclusiva della novella descriva Tianbai mentre fissa lo scroto del padre naturale suicidatosi a causa del trattamento crudele del figlio. È così che Tianbai scopre il senso della sua esistenza:
Audacemente i suoi occhi fissarono lo scroto rilassato dell’uomo morto. Rimase lì, con lo sguardo fisso, catturato da quella cosa bellissima e al contempo orrenda. Ne studiò i contorni e i prodromi di una sorta di consapevolezza di appartenenza lo fecero rabbrividire come se avesse trovato quello che stava cercando. Si riattivò una memoria tenue e offuscata di un passaggio minuscolo e misterioso che lui aveva attraversato diciotto anni prima.
Da questo breve brano si può facilmente comprendere che il corpo è per Liu Heng sede primigenia di ogni forma di vita. La rappresentazione del figlio che comprende sé stesso solo dopo avere scrutato il corpo del padre deve essere concepita come strategia innovativa per configurare modalità epistemologiche fino ad allora inesplorate nel panorama letterario cinese. Come si è precedentemente accennato, la comprensione del mondo fenomenico e dell’altro non è più affidata alla razionalità del soggetto, ma, piuttosto, alle sue percezioni e alle sue sensazioni.
In un’opera successiva, Hei de xue 黑的雪 (Neve nera, 1988), Liu Heng si concentra, in maniera del tutto simile, sul soggetto senziente anziché su quello pensante. Neve nera esplora la condizione di alienazione e solitudine del protagonista Li Huiqian che, all’indomani della sua scarcerazione dal carcere dove era stato rinchiuso per avere commesso atti di teppismo, vorrebbe costruire per sé stesso una vita onesta. Nonostante il suo assiduo impegno a condurre una vita socialmente gratificante ed economicamente soddisfacente, si ritrova completamente solo e povero. Il suo amore non corrisposto per una giovane bellissima ma squattrinata che sbarca il lunario cantando in locali di infimo rango lo gettano nel più totale sconforto. Anche in questo caso, il corpo diventa l’unica valvola di sfogo, perché, come ci dice l’autore, “in superficie era privo di desideri e aspirazioni”, ma solo grazie alla “sua propensione per l’autoerotismo rimaneva indifferente alle tentazioni del corpo femminile”.4) La morte di Li Huiquan, vittima di omicidio da parte di una banda di balordi, serve solo a confermare l’impossibilità dell’individuo di venire a patti con una società sempre più violenta, complessa e mutevole.
Su Tong, un altro celebre autore che, come Yu Hua, si avvicina al neorealismo dopo un periodo iniziale di scrittura sperimentale con la corrente dell’avanguardia, offre una disamina del reale partendo dalla rappresentazione della relazione tra corpo individuale e mondo circostante. I suoi indiscussi capolavori, Qiqie chengqun 妻妾成群 (Mogli e concubine, 1989) e Mi 米 (Riso, 1991) seguono rispettivamente le vicende della giovane e vulnerabile Songlian e del vorace e rapace Wulong, i cui corpi diventano lo strumento principale della propria débâcle nel primo caso e del proprio successo nel secondo. Mogli e concubine narra le umiliazioni subite da Songlian, quarta concubina in una ricca famiglia cinese all’inizio del secolo. La sua monotona e insopportabile esistenza è scandita dalle visite del padrone di casa, suo marito, precedute da massaggi ai piedi talmente piacevoli da creare una vera e propria dipendenza e dai pasti luculliani consumati insieme alle altre mogli. Giovane e istruita, Songlian non può trovare sollazzo né nella lettura né in qualsiasi altro svago intellettuale. Il suo corpo, ben presto trascurato dal padrone, sembra incapace di generare il figlio maschio tanto agognato dal marito. Si inventa così una gravidanza per ritrovare le attenzioni fisiche del consorte e, soprattutto, il godimento dei massaggi ai piedi. Viene tuttavia smascherata dalla sua domestica Yan’er, gelosa e invidiosa dello status di concubina di cui gode Songlian. Come vendetta, Songlian costringe Yan’er a mangiare la prova che la serva voleva utilizzare per dimostrare che Songlian non era incinta – la carta igienica impregnata del sangue mestruale della sua padrona. Questa violenza, una violenza di natura del tutto fisica, sarà la causa di una serie di sciagure che si abbatteranno su Songlian che, alla fine del romanzo, finirà per impazzire. Anche se le vicende narrate in Riso sono molto diverse, il protagonista condivide con Songlian la propensione a usare il proprio corpo senziente per relazionarsi al mondo che lo circonda. Da umile servitore tuttofare del proprietario dell’emporio di riso della città, Wulong riesce a diventarne il padrone utilizzando il proprio corpo. Seduce e riesce a farsi sposare prima dalla primogenita del padrone dell’emporio, e poi, in un secondo tempo, anche dalla secondogenita. Violenze fisiche e stupri si susseguono senza sosta. Non è solo l’appagamento erotico quello di cui Wulong è alla ricerca, ma anche di riso che quotidianamente divora in grandi quantità. La montagna di riso del deposito dell’emporio, su cui Wulong giace e su cui si accoppia con le sue donne, diventa il capitale irrinunciabile, nutrimento del suo corpo, appagamento dei suoi sensi e, infine, la base del successo e del senso della sua vita.
Il corpo è lo strumento attraverso cui il protagonista di Riso costruisce il proprio essere e la propria fortuna. La violenza, che spesso nei romanzi cinesi delle correnti letterarie precedenti era, più spesso che non, rappresentata in maniera del tutto metaforica, diventa con Yu Hua e Su Tong qualcosa di reale e tangibile, esercitata da corpi su altri corpi. La violenza, sia nei racconti giovanili di Yu Hua, che in tutta la produzione di Su Tong, sembra essere l’unico “collante sociale” che lega i corpi ad altri corpi.
È però Mo Yan 莫言 (n. 1955), vincitore del Premio Nobel nel 2012, a costruire, in maniera del tutto originale, il suo mondo narrativo sulla base di ciò che potremmo definire, in mancanza di altri termini, come “conoscenza incarnata”. In modo particolare, in Hong gaoliang jiazu 红高粱家族 (Il clan del sorgo rosso, 1985) – tradotto in italiano come Sorgo rosso – e Shengsi pilao 生死疲劳 (La fatica di vivere e morire, 2006) – tradotto in italiano come Le sei reincarnazioni di Ximen Nao – la performatività dei protagonisti, siano essi umani o animali, è determinata da un’osmosi a livello fisico dei personaggi con il mondo circostante. Come molti critici hanno osservato, la forte influenza del Buddhismo e del Daoismo, costante in tutte le opere di Mo Yan, non è da sottovalutare. Queste correnti filosofiche, che propongono una visione non antropocentrica del cosmo, è un’importante fonte di ispirazione per questo autore che non esita a offrire ai propri lettori animali pensanti e senzienti il cui agire condiziona quello umano. Sin dal suo primo romanzo Sorgo rosso, uomini e animali sono rappresentati come esseri viventi che popolano un unico mondo e che devono confrontarsi e guerreggiare per stabilire il proprio dominio sull’altro. Questa convivenza è stata spesso interpretata come frutto dell’esigenza dell’autore di descrivere l’esistenza in termini darwinistici, affermando la necessaria affermazione della specie umana sulle altre specie. Questa interpretazione appare riduttiva e non convincente se seguiamo la complessa evoluzione del mondo narrativo di questo autore.
Nel mondo diegetico di Mo Yan appaiono due modalità esistenziali: sheng 生 (la vita biologica) e huo 活 (vita intesa come praxis). Il primo termine è collegato al soddisfacimento da parte del corpo di tutti i bisogni primari (l’atto del nutrirsi e il processo riproduttivo della specie, ad esempio, sono temi centrali nella narrativa di Mo Yan). Il concetto di huo, invece, è collegato con ciò che Aristotele e Hannah Arendt hanno definito “vita activa” (la performatività, il manifestarsi dell’agente nell’atto, il rapporto tra l’individuo e l’ordine sociale). In altre parole, le opere di Mo Yan, spesso rappresentano la vita come frutto del complesso rapporto tra quello che Aristotele definiva zoe – la vita nuda (sheng) – e bios – la cosiddetta “vita activa”, ovvero la vita politica. L’enfasi su una rappresentazione dell’esistenza come “esistenza esperita” attraverso i sensi e della conoscenza come “conoscenza incarnata” è decisamente innovativo in quanto è controcorrente rispetto alla dominante etica confuciana che privilegia praxis.
Sorgo rosso narra le gesta eroiche di un esercito di banditi durante il conflitto sino-giapponese. Esso celebra, per dirla con Choy, “la passione per il sesso e la violenza [che] oltrepassano e vanno oltre le trame dell’ideologia politica”. La figura centrale del romanzo, Dai Fenglian, una donna sessualmente disinibita e impavida, riesce a tenere uniti tutti questi banditi sotto il tetto della distilleria di sorgo. Sarà lei ad aiutarli a trasformarsi in eroi che combattono senza paura l’invasore giapponese e sarà sempre lei a realizzare i loro desideri erotici. Se eros domina in questo romanzo, anche la controparte – thanatos – è ugualmente importante. Un esempio illuminante è la descrizione della morte dello zio Liu, il gestore della distilleria di sorgo:
Mio padre pensò anche allo zio Liu morto l’anno precedente sulla strada di Jiao-ping. Il suo corpo era stato fatto a pezzi e disperso tutto intorno. Mentre veniva scuoiato, le sue carni saltavano e fremevano come quelle di una grossa rana che aveva appena cambiato pelle. Ripensando a quel corpo, mio padre sentì un brivido freddo percorrergli la spina dorsale. Questo breve brano illustra appieno come morte e vita, nel mondo diegetico di Mo Yan non siano contrapposte. Al contrario, sono due modalità esistenziali che vengono vissute attraverso la carne. Le carni dello zio Liu, che sembrano sopravvivere alla sua stessa morte e che fremono come quelle della rana, alludono a un concetto di vita ben diverso da quello proposto dal confucianesimo che concepisce la vita in funzione dell’agire etico e politico. Per Mo Yan, il senso dell’esistenza deve essere ricercato nella carnalità del corpo e non nella vacuità e inconsistenza delle parole (logos) o nell’eticità dell’agire del soggetto (dao 道). Per questo motivo, si può concludere che l’intelligibilità del mondo per questo autore non è più affidata al soggetto che razionalmente elabora il mondo fenomenico, ma al corpo che attraverso le sensazioni lo sperimenta. Questo spiega anche la scelta dell’autore di affidare a un gruppo di banditi il compito di liberare Gaomi dall’occupazione giapponese. Impavidi, irruenti e voraci questi banditi sperimentano sul loro corpo tutte le gioie, i dolori e le violenze che la vita può offrire. Attratti dai piaceri della carne, mangiano e bevono a sazietà e indulgono, inoltre, in ogni forma di passione senza alcun freno inibitore. Le autorità politiche, invece, corrotte, politicamente inette, e moralmente bigotte esercitano una biocrazia che funge da ostacolo all’emancipazione di Gaomi dall’invasione giapponese e esercita un potente effetto inibitorio sul popolo su cui esercitano il potere.
In Sorgo rosso non c’è una critica esplicita al Partito Comunista Cinese. Tuttavia, attraverso la rappresentazione della diversa gestione del biopotere da parte delle autorità politiche e dei banditi Mo Yan riesce, attraverso il ribaltamento dei rapporti di forza tra bios e zoe , a ridefinire il concetto di esistenza. Questo ribaltamento è ancora più evidente in Le sei reincarnazioni di Ximen Nao, che racconta le vicende di un proprietario terriero che, a causa del suo status, viene ucciso e finisce per reincarnarsi in diversi animali: asino, toro, maiale, cane e scimmia. Alla fine, ritornerà nuovamente un essere umano, riconciliandosi così col mondo. Ximen Nao non è solamente costretto ad assumere le sembianze animali. Il suo relazionarsi con il mondo circostante e, soprattutto con i membri della sua famiglia, varia a seconda delle caratteristiche dell’animale che lui è costretto a reincarnare. Per esempio, durante la sua prima reincarnazione in asino vede e sente l’umanità che lo circonda in maniera completamente nuova:
Lei [mia moglie Yingchun] mi si accovacciò vicino con uno sforzo e asciugò il liquido appiccicoso che mi ricopriva con una salvietta di spugna a quadri blu. La sensazione della salvietta che strofinava il mio manto bagnato era davvero piacevole. […]. Nominava una parte del mio corpo e con il panno la strofinava […]. Ero asciutto. Non tremavo più. Mi si erano rinsaldate le ossa e rinvigorite le zampe. Una forza e un desiderio mi animarono.
– Ehi è un maschietto.
Lei mi passò il panno sui genitali. Provai un senso di imbarazzo: a un tratto i giochi di letto con lei nel mio vissuto da uomo mi apparvero davanti in tutta la loro chiarezza.8)
Il corpo senziente diventa chiaramente uno strumento per interrogarsi sull’umanità da un punto di vista non antropocentrico. I genitali, sede privilegiata di eros, mettono Ximen Nao/asino in relazione con Yingchun. Il rapporto uomo-animale è rappresentato qui in maniera non dissimile da quello che intercorre tra due esseri umani. Eppure, esiste un chiaro confine e limite: l’asino Ximen, che non può intrattenere relazioni sessuali con la donna, è costretto a rappresentare in maniera del tutto diversa il sentimento che lo lega a lei. Attraverso l’ambivalente personaggio di Ximen Nao, né interamente umano né interamente animale, Mo Yan riesce così a offrirci una rappresentazione della vita, una vita che non può prescindere dalla corporeità dell’essere vivente e che altro non è che una pulsione potente, esperibile ma non razionalmente comprensibile.
Nel romanzo le molteplici reincarnazioni di Ximen Nao sono strumentali a una disamina del rapporto tra l’esistenza umana del singolo individuo e il contesto sociale in cui il singolo individuo vive ed opera. In qualità di asino, toro e maiale riesce a “impedire” la requisizione del piccolo possedimento di terra di sua proprietà e la sua conseguente collettivizzazione. Anche in questo caso, la vicenda descritta da Mo Yan diventa una potente analisi sul rapporto tra l’individuo e la truce storia cinese. Oggetto di critica dell’autore non è tanto il potere politico, quanto piuttosto il biopotere che annienta l’individuo. Attraverso il tropo della trasmigrazione del corpo, Mo Yan ci parla della disintegrazione dell’io durante l’era maoista, una disintegrazione che finisce solo nell’epoca postsocialista, quando all’individuo viene nuovamente concesso di recuperare non solo il controllo delle proprie proprietà ma anche, e soprattutto, il controllo del proprio corpo. La finale rinascita di Ximen Nao in essere umano sancisce la fine di una dolorosa odissea dell’uomo costretto a rinunciare a sé stesso.
Il rapporto tra zoe e bios, un rapporto necessariamente mediato dal corpo individuale, è il fulcro narrativo di altri due importanti scrittori: Bi Feiyu 毕飞宇 e Yan Lianke 阎连科. In due opere giovanili del primo, il racconto Yaokong 遥控 (Il telecomando, 1997) e la novella Qingyi 青衣 (Vestito di scena, 1998), i corpi sono i veri protagonisti dell’opera. Nel primo racconto, un giovane obeso trascorre tutto il suo tempo sul suo divano, vivendo alle dipendenze dei telecomandi che attivano e controllano i vari dispositivi elettronici di cui lui si serve per allietare la propria esistenza. Nella seconda novella, una ex cantante d’opera di mezza età che sogna nuove luci della ribalta infierisce sul proprio corpo sottoponendosi a cure dimagranti talmente estenuanti da provocarle, alla fine dell’opera, la morte. In entrambi i casi, queste due opere sono rappresentative del rapporto disfunzionale che l’io instaura con il proprio corpo. Ne Il telecomandoil protagonista, prigioniero del proprio corpo, è incapace di stabilire un contatto diretto con il mondo esterno. In Vestiti di scena, invece, la protagonista prima aliena il proprio corpo da sé stessa, poi, in un secondo tempo, lo reifica trasformandolo in oggetto di contemplazione e adorazione del pubblico.
In un altro indiscusso capolavoro di Bi Feiyu, Tuina 推拿 (Tuina, 2008), il complesso rapporto che si instaura tra il soggetto e il proprio corpo, è affrontato adottando una prospettiva completamente diversa. Il romanzo, infatti, narra le rocambolesche avventure di un gruppo di ciechi costretti a relazionarsi con il resto del mondo in maniera ovviamente diversa rispetto alle persone sane. In un mondo dominato dall’oculocentrismo, che come ci ricorda Martin Jay è un pesante lascito dell’era illuminista,9) i ciechi sono costretti a toccare e annusare la realtà senza mai poterla vedere. Scegliendo per i suoi protagonisti la professione di massaggiatori di tuina, Bi Feiyu ricorre al tema del contatto fisico tra le persone e dela sensibilità tattile per approfondire il rapporto che sussiste tra l’interiorità dell’individuo e la sfera esterna. Se da una parte, come l’autore non manca di farci notare, questi ciechi hanno delle ovvie limitazioni fisiche, dall’altra riescono a sottrarsi alle logiche imperanti tipiche delle società neoliberiste. Questi personaggi scoprono, attraverso il contatto con l’altro, nuove forme di umanità e solidarietà precluse a quella che loro stessi chiamano “la società dominante”. La loro cecità consente loro non solo di ignorare lo sguardo sprezzante e crudele delle persone sane, ma anche di sottrarsi al giudizio di una società consumistica che soggiace unicamente alle logiche di mercato. I reciproci abbracci e il forte richiamo dei profumi emanati dai loro corpi offrono loro un porto sicuro, un rifugio da un mondo costellato da egoismo e indifferenza.
Altrettanto importante è il messaggio dello scrittore Yan Lianke in Shouhuo 受活 (Vissuto, 2004) e Ding zhuang meng 丁庄梦 (Il sogno del villaggio dei Ding, 2006). Il primo romanzo descrive in dettaglio le vicissitudini della popolazione del villaggio di Shouhuo 受活 (“Vissuto”), composta interamente da disabili. L’arrivo di un nuovo sindaco, Capo Liu, inviato dalle autorità per porre rimedio alla carestia che ha imperversato nel villaggio, stravolge le esistenze dei cittadini di Vissuto. Liu, che si accorge ben presto che questi attori disabili sono dotati di doti eccezionali (ciechi in grado di riconoscere il minimo rumore; sordi in grado di vedere il minimo dettaglio, altri disabili in grado di compiere peripezie rocambolesche), decide di organizzare uno spettacolo di freak con lo scopo, altrettanto grottesco, di acquistare dalla Russia la salma di Lenin. L’intento del sindaco di far costruire un mausoleo ospitante la salma in grado di attirare una folla di turisti per risollevare l’economia del villaggio, però, fallisce per due motivi. Da un canto, nonna Mao Zhi, la guida spirituale del villaggio, si oppone per timore delle conseguenze dell’introduzione dell’economia di mercato nel villaggio di Vissuto; dall’altro, le autorità politiche vorrebbero fagocitare i proventi delle esibizioni. Questi disabili, costretti a esibire i loro corpi menomati e deformi per soddisfare il perverso gusto per il grottesco del pubblico pagante, sono sottoposti a ogni sorta di controllo. Incapaci di ribellarsi alle volontà predatorie e alle smanie di potere del sindaco Liu, gli attori-disabili di Vissuto, vengono ben presto derubati dei guadagni dei propri spettacoli. Al sindaco Liu viene ovviamente proibito di importare la salma di Lenin e le autorità, dietro richiesta di Mao Zhi, pongono il villaggio al di fuori di qualsiasi giurisdizione politica. Il corpo patologico è anche il soggetto tematico di Il sogno del villaggio dei Ding. Ispirato a una storia realmente accaduta, narra le vicende degli abitanti del villaggio dei Ding che, spinti dai trafficanti del sangue, vendono il sangue e finiscono tutti per contrarre l’AIDS. Anche in questo caso, il romanzo è una disamina del diffuso biopotere delle autorità politiche ed economiche sui diseredati e contadini. È infatti sul corpo, in carne e ossa, che le autorità e le nuovi classi agiate esercitano il controllo. I contadini cercheranno invano di resistere al graduale deperimento del proprio corpo, ma finiranno tutti per soccombere.
Questo breve excursus della produzione narrativa incentrata su tematiche afferenti alla questione del corpo ha voluto descrivere brevemente il tentativo da parte degli autori della narrativa postsocialista cinese di liberarsi della pesante eredità dell’era socialista in cui l’individuo era visto solamente come un soggetto politico. Sin dalla fine degli anni ’80 gli scrittori cinesi hanno rappresentato l’individuo non più in qualità di soggetto discorsivo, ma come essere umano – ovvero come soggetto fenomenologico – le cui modalità relazionali con l’esterno si attuano attraverso il corpo. Non è più la razionalità (o epistemologia) dei personaggi ad essere l’oggetto di indagine degli autori cinesi che si sono affermati nell’era postsocialista, ma piuttosto una forma di conoscenza prima realizzata attraverso il mondo sensoriale (la vista, il tatto, l’olfatto, l’udito) e poi, in un secondo tempo esperita. È una vera e propria rivoluzione dei sensi e del sentire la realtà, una rivoluzione senza precedenti e aperta ad ulteriori sviluppi.
[Qui per leggere l’articolo originale]Di Melinda Pirazzoli per Sinosfere*
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